13 ottobre 2008

Certo che fa bene...


Poesia. Oggi, ieri, domani, ho bisogno della poesia.
Oggi torno alla poesia e attingerò non da me stessa, ma da altre parole incontrate che, con tocchi di pennello, delinenano immagini.

Senza poesia il mondo è grigio. Si spegne la speranza, si inaridisce il cuore, i suoni trovano il vuoto del nulla.

“Coltivare lo spirito poetico nella nostra vita
significa nutrire di speranza il futuro della Terra”
(da “Buddismo e Società”, n°130-Sett/Ott 2008)


Estratto da: “Il cuore è una piazza” - di Gianna Mazzini

Poesia.
Non è solo il modo in cui si accostano le parole, o in cui si costruiscono i versi a commuovere. Non è mai solo la metrica, il ritmo, la rarefazione delle parole nello spazio bianco.
È piuttosto il modo di guardare alle cose. Lo spirito poetico è un modo di guardare alle cose libero, sganciato da ogni schema.
Spirito poetico è parlare con un muro o con la luna sapendo che ascoltano.
Oppure dire dell'alba che è ansiosa, dare il buongiorno alla mezzanotte, desiderare il tramonto in una tazza. Quando vive lo spirito poetico, sono possibili tutti i discorsi, tutti i pensieri e tutti gli interlocutori.


I bambini sono poeti per natura. Perché guardano con meraviglia e si domandano tanti perché e hanno tutti un senso. Non ha ancora prevalso quella griglia rigida che divide quello che è sensato da quello che non lo è. Per i bambini non esiste solo quello che è ragionevolmente possibile. Per questo il cielo può essere di tutti i colori, nei disegni, e le case possono avere porte ovunque o da nessuna parte.
Bisognerebbe fare in modo che questo "spirito poetico" duri più a lungo possibile, che non sparisca quando si cresce, né quando qualcosa o qualcuno ci delude.
Perché lo spirito poetico aiuta ogni impresa umana.
Quando la poesia sta negli occhi di chi fa scienza, aiuta a scoprire cose mai viste prima; quando sta nel cuore di chi combatte un'ingiustizia risveglia e aumenta la possibilità di farcela.
È uno sguardo capace di legare quello che è fuori a quello che è dentro.
Capace di creare ponti fra le sensazioni e gli oggetti, di riempire lo spazio fra il buio e il "non so", tra il piccolo e il grande. Fa usare l'immaginazione come fosse calce e mattoni, per costruire il pezzo che manca. Porta conforto e incoraggia.
Non è mai una cosa di lusso, né dovrebbe essere privilegio di pochi; perché è piuttosto una cosa come il pane o l'acqua, un bene che si rivela necessario quando non c'è più altro, qualcosa che serve proprio nei momenti più difficili.
(da “Buddismo e Società”, n°130-Sett/Ott 2008)



Estratto da: “Parlando di verità invisibili” - di Manuela Vigorita

Quello che credo è che le parole della poesia siano in grado di portare con sé la gioia di esistere. Che possano portarla in giro per il tempo e nei luoghi e nei cuori. Che sappiano ricordarla, ricordare quanto vale. Come le note, o una danza, un'armonia di colori.
In fondo anche oggi che sono sole in un libro e prendono vita solo se qualcuno le legge, anche oggi ci sono parole che portano con sé la memoria tutta.
Ti ricordano che esistere è qualcosa di più profondo del possesso, del successo, dell'avidità con cui spesso la vita si divora. Va al di là dei confini giuridici, spaziali, di razze o religioni. È la memoria della nostra umanità che sa vedere e abbracciare. Ogni essere, ogni persona, ogni cosa. Che sa far risuonare il particolare, persino il nulla. Sa riconoscere quando la vita canta felice ed è protetta e curata, quando gli errori fanno stragi di ricchezze e di popolazioni. Sa cosa dire.
Per questo ho sempre provato tanta gratitudine per chi scrive, chi dipinge, chi suona, chi dedica una vita a raccontarti qualcosa. Non perché siano sempre persone speciali.
Sono persone.
Coi loro difetti, i loro errori.
Ho però gratitudine per la loro ostinazione, per il loro cercare su di una strada infinita. Perché non si sono arresi. Per il dono che lasciano e che non sempre trova ascolto, non sempre trova fortuna o amore.
Perché mi ricordano che non c'è galera non c'è prigione in cui possa rinchiudersi la meraviglia dell'essere umano.


Ecco. Per me la poesia è uno di quei miracoli che mi fanno amare l'essere umano. Che mi ricordano quanta meraviglia possa esistere dentro ognuno di noi, uno per uno. Mi ricorda che non sono nata per fare guerre, accumulare beni, dettare leggi agli altri, inquinare i mari e le terre di arroganza con la mia cecità. Né per odiare chi mi è diverso, per cercare il potere o sostenerlo. Non sono nata per distruggere speranze, togliere orizzonti agli sguardi, far finta di niente di fronte al dolore. Non sono nata neppure per contare i miei beni come se fossero miei, né per tacere. Né per chiudere gli occhi o morire.

Sono nata per partecipare, con gioia. Per ricordarmi di essere insieme nella gioia della vita. Per sostenerla, farle omaggio e onore. Per arricchire gli altri di quel poco o quel tanto che ho.

Forse, come tutti, sono nata per continuare a cercare quella bellezza che ogni poeta, ogni musicista, ogni scultore, ogni artista, ogni persona che cerca davvero con tutta se stessa mi giura. Mi giura che c'è.
(da “Buddismo e Società”, n°130-Sett/Ott 2008)




Certo che fa male, quando i boccioli si rompono.
Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera?
Perché tutta la nostra bruciante nostalgia
dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro?
Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno.
Cosa di nuovo ora consuma e spinge?
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono,
male a ciò che cresce
male a ciò che racchiude.

Certo che è difficile quando le gocce cadono.
Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese
si aggrappano al piccolo ramo si gonfiano, scivolano
il peso le trascina e provano ad aggrapparsi.
Difficile restare incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo che trae, che chiama
e lì restare ancora e tremare soltanto
difficile voler stare
e voler cadere.

Allora, quando più niente aiuta
si rompono esultando i boccioli dell’albero,
allora, quando il timore non più trattiene,
cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo,
dimenticano la vecchia paura del nuovo
dimenticano l’apprensione del viaggio –
conoscono in un attimo la più grande serenità
riposano in quella fiducia
che crea il mondo.


(“Certo che fa male” Karin Boye/1990-1941)