tag:blogger.com,1999:blog-330554282024-03-07T20:02:19.733+01:00SetalendViaggiare amplia la visuale, si conoscono posti nuovi, gente diversa, si guarda il mondo, mentre piedi e gambe divorano distanze; si scattano foto, si catturano immagini, colori e forme, e il mondo riempie dentro...
Qui chi viaggia è l'anima...nel mondo dell'interno, le istantanee emergono in superficie come le cartoline una volta incollate sulle valigie...danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.comBlogger290125tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-70095769909135333092010-02-26T11:51:00.002+01:002010-02-26T11:55:36.364+01:00Responsabilità IN PRIMA PERSONA: la responsabilità di sapere.<a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/politica/2010/02/26/news/prova_menzogne-2433189/"><span style="font-size:180%;">La prova delle menzogne</span><br />di GIUSEPPE D'AVANZO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">DAVID MILLS è stato corrotto. È quel che conta anche se la manipolazione delle norme sulla prescrizione, che Berlusconi si è affatturato a partita in corso, lo salva dalla condanna e lo obbliga soltanto a risarcire il danno per il pregiudizio arrecato all'immagine dello Stato. Questa è la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione. Per comprenderla bisogna sapere che la corruzione è un reato "a concorso necessario": se Mills è corrotto, il presidente del Consiglio è il corruttore.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Per apprezzare la decisione, si deve ricordare che cosa ha detto, nel corso del tempo, Silvio Berlusconi di David Mills e di All Iberian, l'arcipelago di società off-shore creato dall'avvocato inglese. "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l'esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario" (Ansa, 23 novembre 1999). "Non conosco David Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l'Italia" (Ansa, 20 giugno 2008). Bisogna cominciare dalle parole - e dagli impegni pubblici - del capo del governo per intendere il significato della sentenza della Cassazione.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Perché l'interesse pubblico della decisione non è soltanto nella forma giuridica che qualifica gli atti, ma nei fatti che convalida; nella responsabilità che svela; nell'obbligo che oggi incombe sul presidente del Consiglio, se fosse un uomo che tiene fede alle sue promesse.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Dunque, Berlusconi ha conosciuto Mills e, come il processo ha dimostrato e la Cassazione ha confermato (il fatto sussiste e il reato c'è stato), All Iberian è stata sempre nella sua disponibilità. Sono i due punti fermi e fattuali della sentenza (altro è l'aspetto formale, come si è detto). Da oggi, quindi, il capitolo più importante della storia del presidente del consiglio lo si può raccontare così. Con il coinvolgimento "diretto e personale" del Cavaliere, David Mills dà vita alle "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest". Le gestisce per conto e nell'interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere da quella galassia di cui l'avvocato inglese si attribuisce la paternità ricevendone in cambio "somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali" che lo ricompensano della testimonianza truccata.</span><br /><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Questa conclusione rivela fatti decisivi: chi è Berlusconi; quali sono i suoi metodi; che cosa è stato nascosto dalla testimonianza alterata dell'avvocato inglese. Si comprende definitivamente come è nato, e con quali pratiche, l'impero del Biscione; con quali menzogne Berlusconi ha avvelenato il Paese.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Torniamo agli eventi che oggi la Cassazione autentica. Le società offshore che per brevità chiamiamo All Iberian sono state uno strumento voluto e adoperato dal Cavaliere, il canale oscuro del suo successo e della sua avventura imprenditoriale. Anche qui bisogna rianimare qualche ricordo. Lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che ricompensano Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi mentre, in parlamento, è in discussione la legge Mammì. In quelle società è occultata la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche. Da quelle società si muovono le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (assicurano al Cavaliere il controllo della Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favoriscono le scalate a Standa e Rinascente. Dunque, l'atto conclusivo del processo Mills documenta che, al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c'è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">La sentenza conferma non solo che Berlusconi è stato il corruttore di Mills, ma che la sua imprenditorialità, l'efficienza, la mitologia dell'homo faber, l'intero corpo mistico dell'ideologia berlusconiana ha il suo fondamento nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">E' la connessione con il peggiore passato della nostra storia recente che, durante gli interminabili dibattimenti del processo Mills, il capo del governo deve recidere. La radice del suo magnificato talento non può allungarsi in quel fondo fangoso perché, nell'ideologia del premier, è il suo trionfo personale che gli assegna il diritto di governare il Paese. Le sue ricchezze sono la garanzia del patto con gli elettori e dell'infallibilità della sua politica; il canone ineliminabile della "società dell'incanto" che lo beatifica. Per scavare un solco tra sé e il suo passato e farsi alfiere credibile e antipolitico del nuovo, deve allontanare da sé l'ombra di quell'avvocato inglese, il peso di All Iberian. È la scommessa che Berlusconi decide di giocare in pubblico. Così intreccia in un unico nodo il suo futuro di leader politico, responsabile di fronte agli elettori, e il suo passato di imprenditore di successo. Se quel passato risulta opaco perché legato a All Iberian, di cui non conosce l'esistenza, o di David Mills, che non ha mai incontrato, egli è disposto a lasciare la politica e addirittura il Paese. Oggi dovrebbe farlo davvero perché la decisione della Cassazione conferma che ha corrotto Mills (lo conosceva) per nascondere il dominio diretto su quella macchina d'illegalità e abusi che è stata All Iberian (la governava). Il capo del governo non lo farà, naturalmente, aggrappandosi come un naufrago al legno della prescrizione che egli stesso si è approvato. Non lascerà l'Italia, ma l'affliggerà con nuove leggi ad personam (processo breve, legittimo impedimento), utili forse a metterlo al sicuro da una sentenza, ma non dal giudizio degli italiani che da oggi potranno giudicarlo corruttore, bugiardo, spergiuro anche quando fa voto della "testa dei suoi figli". </span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">© Riproduzione riservata (26 febbraio 2010)</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 0);">La Repubblica</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-88504861166553930892010-02-16T10:19:00.002+01:002010-02-16T10:24:20.030+01:00Dormendo sonni tranquilli, ci pensa "LUI"...<a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/politica/2010/02/16/news/ma_adesso_bertolaso_deve_lasciare-2314726/"><span style="font-size:180%;">Ma adesso Bertolaso deve lasciare</span><br />di EUGENIO SCALFARI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">COMMENTANDO ieri la lettera con la quale Guido Bertolaso rispondeva alle mie dieci domande ricostruendo a suo modo la verità dei fatti e la loro sostanza politica, ho volutamente tralasciato di approfondire la questione dell'atteggiamento del Quirinale di fronte all'ampliamento dei compiti della Protezione civile, alle normative che l'hanno resa possibile e alla loro costituzionalità. È una questione delicatissima poiché chiama in causa il Capo dello Stato, cioè la più alta istituzione della Repubblica.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Bertolaso non si è fatto carico di questa delicatezza ed ha tentato di coprire l'operato suo e del governo sostenendo che il Quirinale ha sempre appoggiato il suo fare e non ha opposto alcun limite al sistema delle ordinanze e alla creazione della Protezione civile Spa, che ne rappresenta il coronamento e l'esternalizzazione.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">L'ho tralasciato perché su quell'aspetto della vicenda non si può andare a tentoni e per approssimazioni successive. Perciò ho raccolto i miei appunti in proposito, ho interpellato fonti qualificate ed ho riscontrato date, documenti e testimonianze dirette. Come sospettavo già a prima vista, la ricostruzione di Bertolaso è arbitraria e non corrisponde alla realtà. Ed ecco perché.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">1. La legge del 1992, che di fatto è quella istitutiva della Protezione civile come servizio permanente della Pubblica amministrazione, limitava quel servizio alle catastrofi naturali.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">2. Fu innovata con decreto del 2001, convertito in legge. C'era già in quella legge un primo allargamento di competenze della Protezione civile a grandi eventi sganciati dalle catastrofi naturali, purché ricorressero caratteristiche che rendessero necessaria un'amministrazione straordinaria per ragioni di necessità ed urgenza chiaramente indicate nella motivazione. Il Presidente della Repubblica dell'epoca varò la legge insistendo sull'importanza delle motivazioni come requisito essenziale.</span><br /><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">3. A partire da quel momento il Quirinale non ha più avuto l'occasione di "intercettare" la normativa delle ordinanze e dei decreti della presidenza del Consiglio poiché si trattava di una produzione di carattere amministrativo. Una produzione, come abbiamo già sottolineato ieri, che è cresciuta su se stessa ad un ritmo velocissimo passando da una o al massimo due ordinanze nel periodo del governo Prodi ad una media di 80-100 nel periodo berlusconiano.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">4. Il presidente Napolitano ha assistito con crescente preoccupazione all'estendersi del sistema delle ordinanze emesse dalla Protezione civile e l'ha detto in diverse occasioni. L'ha detto direttamente allo stesso Bertolaso in occasione d'una sua visita a L'Aquila subito dopo il terremoto. Si compiacque con lui per l'efficienza con cui la Protezione civile aveva fronteggiato l'emergenza post-terremoto ma elevò dubbi sul lavoro che quella stessa struttura avrebbe dovuto mandare avanti per completare le infrastrutture della Maddalena ed altre incombenze nel frattempo maturate.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">5. Intanto gli impegni del sistema Bertolaso si moltiplicavano e l'albero della Protezione civile stava diventando una foresta. Leggiamo insieme quanto il Capo dello Stato ha detto nella cerimonia degli auguri di fine anno svoltasi lo scorso dicembre al Quirinale nella Sala dei corazzieri dinanzi alle Alte Magistrature dello Stato: "Il continuo succedersi di decreti legge - 47 dall'inizio di questa Legislatura - e il loro divenire sempre più sovraccarichi ed eterogenei nel corso dell'iter parlamentare di conversione, hanno continuato a produrre forti distorsioni negli equilibri istituzionali. Tutto ciò finisce per gravare negativamente sul livello qualitativo dell'attività legislativa. Non a caso gli studiosi si domandano se abbia finito per attuarsi, anche attraverso il crescente uso e la dilatazione di ordinanze d'urgenza, un vero e proprio sistema parallelo di produzione normativa". L'allarme del Presidente della Repubblica è netto ed esplicito e l'assemblea dinanzi alla quale è stato formulato lo rende ancora più solenne e preoccupante.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">6. Si arriva così all'ultimo decreto legge, quello attualmente in discussione dinanzi alle Camere, nel quale viene promossa la creazione della Protezione civile Spa.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Dalle mie informazioni molto attendibili risulta che Napolitano non ravvisava i requisiti di necessità ed urgenza, almeno per la parte dedicata alla Spa, e propendeva piuttosto verso la presentazione di un disegno di legge. Si trovò tuttavia di fronte (così dicono le mie fonti) ad una resistenza infrangibile opposta da Gianni Letta che avrebbe prospettato al Capo dello Stato l'ipotesi che Bertolaso potesse dimettersi dai suoi incarichi se il decreto non fosse stato autorizzato. Ipotesi che avrebbe creato un vuoto operativo di notevole gravità.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">7. È accaduto tuttavia che nel corso dell'iter parlamentare al Senato il decreto venisse "stravolto" rispetto alla sua originaria stesura autorizzata dal Quirinale. Una decina di nuovi articoli e sessanta commi furono aggiunti sulla base di altrettanti emendamenti proposti dalla maggioranza parlamentare, allargando ancora di più il ventaglio delle competenze, la produzione di ordinanze, una sorta di scavalcamento nei confronti degli organi di controllo e di giurisdizione. Fonti non ufficiali ma attendibili segnalano che il Quirinale segue con estrema attenzione l'iter del decreto. Si dice (anche se si tratta d'una voce) che il Capo dello Stato avrebbe fatto pervenire al presidente del Consiglio il suo allarme per questa situazione. È noto che il Quirinale tace quando il Parlamento è all'opera, riservandosi di giudicare la costituzionalità della legge quando l'iter parlamentare sarà concluso.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Questo è lo stato dei fatti, almeno prima che arrivasse la notizia dello stralcio. Il sottosegretario Gianni Letta ci aveva informato l'altro ieri che la Protezione civile rimane un Dipartimento della Pubblica amministrazione e che la Spa sarebbe stato soltanto un organo tecnico. Questo lo sapevamo.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">È infatti della Spa che si sta discutendo poiché la sua istituzione svuoterebbe di fatto il Dipartimento di gran parte delle sue funzioni. La precisazione di Letta aveva dunque l'aria di voler frapporre una cortina fumogena che può annebbiare soltanto i gonzi e può servire ai vari Minzolini dell'informazione per celebrare la saggezza del governo nel momento in cui il governo si trova stretto da grandi difficoltà di fronte allo scandalo degli appalti e al verminaio che è stato scoperchiato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Quanto al sottosegretario Bertolaso - sulla cui buona fede fino a ieri avevo sperato ma che a questo punto è diventata un'ipotesi di terzo grado - egli ha perso pochi giorni fa la carica di commissario ai rifiuti di Napoli.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">È proprio sulla base di quella carica che aveva ottenuto di diventare membro del governo anche se essa era in palese contraddizione con l'incarico esecutivo di commissario. Non avendo più la carica esecutiva, è venuta ora meno anche la ragione del suo sottosegretariato. Perciò le sue dimissioni non sono più un suo atto discrezionale ma un obbligo che sta diventando sempre più tardivo ogni giorno che passa.</span><br /><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata (16 febbraio 2010)</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">La Repubblica</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-87672975005203477112010-02-15T16:25:00.002+01:002010-02-15T16:31:04.902+01:00"no Words"<span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">La lettera. </span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Elvira Dones, scrittrice e giornalista albanese replica alla battuta di Berlusconi</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">"Quelle donne le ho incontrate. Mi hanno raccontato le loro vite violate, strozzate, devastate"</span><br /><br /><span style="font-size:180%;"><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 0);">In nome delle belle ragazze albanesi</span><br /></span><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/politica/2010/02/15/news/scrittrice_albanese-2292563/"><span style="font-size:180%;">"Signor Berlusconi, basta battutacce"</span><br />di ELVIRA DONES *<br /></a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">Dalla scrittrice albanese Elvira Dones riceviamo questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle "belle ragazze albanesi". Durante il recente incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all'Albania. Poi ha aggiunto: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">"Egregio Signor Presidente del Consiglio,</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 102, 204);">In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(255, 255, 255);">* Elvira Dones, scrittrice-giornalista.</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(255, 255, 255);">Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all?Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">© Riproduzione riservata (15 febbraio 2010) </span><br /><span style="font-weight: bold;">da: La Repubblica</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-40326671643695128052010-01-08T11:05:00.004+01:002010-01-08T11:14:08.796+01:00Siamo ormai dei Signori in Italia!<span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Da oltre vent'anni vengono nel nostro Paese per la raccolta delle arance</span><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Quattordici ore di lavoro per 20 euro di cui 5 vanno al "caporale"</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/08/news/rivolta_dei_diseredati_a_rosarno-1873836/"><span style="font-size:180%;">Costretti nei campi dalle mafie. E' la rivolta dei diseredati d'Italia</span></a><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Dormono dove capita: tende, fabbriche abbandonate, casolari diroccati</span><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Sono spesso oggetto di comportamenti razzisti e vittime della criminalità organizzata</span><br /><span style="font-weight: bold;">di ATTILIO BOLZONI </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Uno dei capannoni in disuso dove vivono gli extracomunitari a Rosarno</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">È LA rivolta degli ultimi, la rivolta dei neri che vagano per la nostra Italia. Quelli che si spostano sempre, che sono in movimento perenne. Stagione dopo stagione, mese dopo mese e campo dopo campo. Per raccogliere arance o uva, olive o pomodori. Vivono per la terra e vivono nella terra. Senza una casa, senza niente. A settembre erano in Sicilia, intorno alle vigne di Marsala.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">A novembre erano in Puglia fra gli ulivi più belli del Mediterraneo. A primavera migreranno in Campania a spezzarsi la schiena negli orti. Oggi erano qui: nella Piana dove è padrona la mafia più feroce del mondo.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo, dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti 'italiani'. Per sopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono a prendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati in due a raccogliere le arance più profumate della Penisola e i mandarini - le clementine - più dolci.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila e forse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena in quindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che si trasporta come gli animali in branco non ha ancora trent'anni. Sono uomini, solo uomini.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tutto per loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria degli sperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo al nulla. Si accampano fra i pilastri arrugginiti di cemento sulla costa, nelle masserie, in riva al mare. Rosarno è come Castelvolturno. Come Campobello di Mazara. Come tutta l'Italia che hanno sempre conosciuto. Il campo e il sonno.</span><br /><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">È dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fiore dell'arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo e non hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I 'caporalì li prendono all'alba sui furgoncini, come al mercato del bestiame scelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 per loro: per i soprastanti che li fanno lavorare. È il pizzo che si fanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimane racimolano il loro gruzzolo per non morire.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: la giornata nel giardino di aranci.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Quelli del Magreb hanno trovato sette case pericolanti fuori dal paese, sulla strada per San Ferdinando. I sudanesi stanno da un'altra parte, sotto un grande tendone dove hanno sistemato i sedili squarciati di vecchie auto e i copertoni di un camion come comodini. E i senegalesi stanno ancora più in là, vicino all'inceneritore, in uno stabilimento che un tempo raffinava l'olio d'oliva. "Io dormo qui", raccontava un anno fa Stephan, un ragazzino di vent'anni. Qui è l'oblò di un silos dove una volta conservavano l'olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portato tutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, un fornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualche pezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan non ha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche verso Gioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi verso Rizziconi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">Tutti hanno visto per la prima volta l'Italia dagli scogli di Lampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia più vicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. Ci sono i neri più fortunati, quelli che hanno trovato un capannone come tetto per la notte. Ogni capannone ha una scritta di vernice che ricorda il luogo di partenza di ogni gruppo: Dakar, Rabat, Fes, Mombasa. Nei capannoni i letti sono di cartone. Anche Yasser ha il suo letto di cartone fradicio. L'aveva in Puglia due mesi fa, ce l'ha qui a Rosarno. "Ci dormo poco", racconta. All'alba è già fra gli aranceti. E solo al tramonto torna nel capannone dove c'è la scritta Casablanca. E dice: "Vivo nella paura, la paura di far sapere alla mia famiglia come vivo qui in Europa".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 255, 255);">È da quasi vent'anni che il popolo degli ultimi vaga di terra in terra per l'Italia. Nel silenzio, nell'indifferenza. Nessuno lo dice mai chiaramente ma sono le 'ndrine, le famiglie della mafia calabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le 'ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosi li aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo di raccolta.</span><br /> <br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(08 gennaio 2010)</span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-37371057936187761462009-11-23T10:56:00.003+01:002009-11-23T11:04:22.522+01:00AMMIRAZIONE<span style="font-weight: bold;">LA LETTERA</span><br /><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 204);">Saviano risponde a Bondi</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-18/saviano-risposta/saviano-risposta.html"><span style="font-size:180%;">"Ecco perché non possiamo tacere" - Appello sulla giustizia: lo scrittore sulla lettera con cui il ministro della Cultura lo invita a non schierarsi</span><br />di ROBERTO SAVIANO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Caro ministro Sandro Bondi, la ringrazio per la sua lettera e per l'attenzione data al mio lavoro: ho apprezzato il suo tono rispettoso e dialogante non scontato di questi tempi e quindi con lo stesso tono e attitudine al dialogo le voglio rispondere. Come credo sappia, ho spesso ribadito che certe questioni non possono né devono essere considerate appannaggio di una parte politica. Ho anche sempre inteso la mia battaglia come qualcosa di diverso da una certa idea di militanza che si riconosce integralmente in uno schieramento.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Ho sempre creduto che debbano appartenere a tutti i principi che anche lei nomina - la libertà, la giustizia, la dignità dell'uomo e io aggiungo anche il diritto alla felicità in qualsiasi tipo di società si trovi a vivere. E per questo ho sempre odiato la prevaricazione del potere, che esso assuma la forma di un sistema totalitario di qualsiasi colore, o, come ho potuto sperimentare sin da adolescente, sotto la forma del sistema camorristico.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Anch'io auspico che in Italia possa tornare un clima più civile e ho più volte teso la mano oltre gli steccati politici perché sono convinto che una divisione da contrada per cui reciprocamente ci si denigra e delegittima a blocchi, sia qualcosa che faccia male.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Eppure oggi il clima in questo paese è di tensione perché ognuno sa che, a seconda della posizione che intende assumere nei confronti del governo, potrà vedere la propria vita diffamata, potrà vedere ogni tipo di denigrazione avvenire nei confronti dei propri cari, potrà vedere ostacolate le proprie possibilità lavorative.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Qualche giorno fa la Germania mi ha onorato del premio Scholl, alla memoria dei due studenti dell'organizzazione cristiana Rosa Bianca, fratello e sorella, giustiziati dai nazisti con la decapitazione per la loro opposizione pacifica, per aver solo scritto dei volantini e aver invitato i tedeschi a non farsi imbavagliare.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Tutte le persone che ho incontrato lì alla premiazione, all'Università di Monaco, erano preoccupate per quanto accade oggi in Italia nel campo della libertà di stampa e del diritto. Non era un premio di pericolosi sovversivi o di chissà quali cospiratori anti-italiani. Tutt'altro. Raccoglieva cristiani tedeschi bavaresi che commemorano i loro martiri. Tutti seriamente preoccupati quello che sta accadendo in Italia e tutti pronti a chiedermi come faccio a tenere alla libertà d'espressione eppure a continuare a lavorare in Italia.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Non è un buon segnale e, in quanto scrittore non posso che raccogliere l'imbarazzo di essere accolto come una sorta di intellettuale di un paese dove la libertà d'espressione subisce un'eccezione. Il programma da lei apprezzato ha mostrato, in prima serata, il terrore causato dal regime comunista russo, e persecuzioni castriste agli scrittori cubani e l'inferno nell'Iran di Ahmedinejad.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Tutto andato in onda in una trasmissione come "Che tempo che fa", su una rete come RaiTre, così spesso tacciata di essere faziosa, ideologizzata, asservita alla sinistra che persino un boss come Sandokan si compiaceva di chiamarla "Telekabul". Questo a dimostrare, Ministro, quanto siano spesso pretestuose e false le accuse che vengono fatte contro chi invece si prefigge il compito di raccontare per bisogno - o dovere - di verità.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Però sono altrettanto convinto che a volte, proprio per semplice senso civile, non si possa stare zitti. Che bisogna prendere posizione al costo di schierarsi. E schierarsi non significa ideologicamente. La paura che questa legge possa colpire il paese sia per i suoi effetti pratici, sia per l'ingiustizia che ratifica, in me è assolutamente reale e per niente pretestuosa.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">In questi anni, ossia da quando vivo sotto scorta, ho avuto modo di poter approfondire cosa significhi, tradotto nel funzionamento di uno stato democratico, il concetto di giustizia. Ho potuto capire che non tocca solo la difesa della legalità, ma che ciò che più lo sostiene e lo rende funzionante è la salvaguardia del diritto e dello stato di diritto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Ho deciso di pubblicare quell'appello perché la legge sul processo breve mi pare un attacco pesante - non il primo, ma quello che ritengo essere finora il più incisivo - ai danni di un bene fondamentale per tutti i cittadini italiani, di destra o di sinistra, come ho scritto e come credo veramente. E le assicuro che lo rifarei domani, senza timore di essere ascritto a una parte e di poterne pagare le conseguenze.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Non vi è nulla in quel gesto che non corrisponda a ogni altra cosa che ho fatto o detto. Le mie posizioni sono queste e del resto non potrei comportarmi diversamente. Ciò che mi spinge a raccontare, in prima serata, dei truci omicidi di due giovani donne, la cui colpa era stata unicamente l'aver manifestato in piazza, in maniera pacifica.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Ciò che mi spinge a raccontare dei crimini del comunismo in Russia e dei soprusi delle multinazionali in Africa non è un "farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura" bensì un altro demone. Quello che ha lo scopo di raccontare le verità o almeno provarci. Un'informazione scomoda per chi la da e per chi l'ascolta, la osserva, la legge. In Italia la deriva che lo stato di diritto sta prendendo è pericolosa perché ha tutte le caratteristiche dell'irreversibilità. È per questo che agisco in questo modo, perché è l'unico modo che conosco per essere scrittore, è questo l'unico modo che conosco di essere uomo.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">La saluto con cordialità</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255); font-style: italic;">© 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /> <span style="font-style: italic; font-weight: bold;">(23 novembre 2009)<span style="color: rgb(204, 204, 204);"> ....</span></span><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">...................................................</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">.............................................................................</span><br /><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">L'ex presidente: "Io non uso aderire ad appelli, ma condivido quello di Saviano"</span><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Preoccupato per la salute della nostra democrazia: "Manipolazione delle regole"</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-18/intervista-ciampi/intervista-ciampi.html"><span style="font-size:180%;">Ciampi: "Basta leggi ad personam, Berlusconi delegittima le istituzioni"</span><br />di MASSIMO GIANNINI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">«Viviamo un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell'azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l'amarezza. Un'amarezza profonda, sul destino dell´Italia e sulle condizioni della nostra democrazia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">E mai come in questa occasione l'ex capo dello Stato, da vero "padre nobile" della Repubblica, lancia il suo atto d'accusa contro chi è responsabile di questo "imbarbarimento" e di questa "aggressione": Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a "colpi di piccone" i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè "la nostra Bibbia civile".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">"Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile". Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L'intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un'opera di progressiva "destrutturazione". "Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell'edificio democratico, cioè le istituzioni, e si umiliano i valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo "paesaggio in decomposizione". "Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d'anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l'uomo che difende le istituzioni, e dall'altra parte Berlusconi, l'uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">L'ultimo capitolo di questa nefasta "riscrittura" della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfano e ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell'intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: "Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L'ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare". Fa di più, l'ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: "Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all'opinione pubblica". Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: "Credo che per chi ha a cuore le istituzioni, oggi, l'unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell'ordinamento giudiziario di Castelli: "È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C'è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell'informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse, e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Ma in tanto buio, secondo Ciampi c'è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l'appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull'abbreviazione dei processi, la "norma del privilegio". "Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all'ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c'è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c'è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(51, 255, 51);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /> <span style="font-style: italic;">(23 novembre 2009)</span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-9893408183418139472009-11-23T09:24:00.004+01:002009-11-23T11:48:06.575+01:00Illustre William Shakespeare, conosce Giustizia?L'INCHIESTA<br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-18/inchiesta-davanzo/inchiesta-davanzo.html"><span style="font-size:180%;">Per Silvio Berlusconi 18 salvacondotti in 15 anni</span><br />di GIUSEPPE D'AVANZO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">ANCHE William Shakespeare può essere utile per comprendere come Berlusconi si difende da quell'umana, precaria "verità" che la magistratura ha il dovere di ordinare. In Misura per misura - "commedia oscura" che racconta di giustizia, potere, autorità, morale, dignità umana - il Lord vicario Angelo incontra Isabella che lo implora di salvare suo fratello dalla pena di morte (scena IV, II atto). Il Lord: "Egli non morrà, Isabella, se voi mi darete amore". Isabella: "Io ti denunzierò Angelo, bada! Firma subito il perdono di mio fratello, o ch'io proclamerò a voce spiegata, davanti a tutti, che specie di uomo sei". Il Lord: "E chi vuoi che ti creda, Isabella? Il mio nome (...) e il posto che occupo nello Stato avranno un peso maggiore di quello della tua accusa. Tutto quello che dirai avrà il sapore di calunnia (...) Dì pure in giro tutto quello che credi. La mia menzogna avrà più peso della tua verità".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Il modo con cui Silvio Berlusconi si difende dalla magistratura è in quelle poche parole: "La mia menzogna avrà più peso". Per dirla con una formula di Massimo Nobili (L'immoralità necessaria, il Mulino), è "la forza del potere contro la verità". Questo è il paradigma che da sempre il capo del governo oppone alla giustizia. Se si vuole averne un'idea concreta, è interessante riportare alla luce il frammento di una storia del 1994.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">In quell'estate, le cose vanno così: Berlusconi ha vinto le sue prime elezioni, è sistemato a Palazzo Chigi. In un altro angolo d'Italia, a Sciacca (Agrigento), i carabinieri friggono nel caldo d'agosto dietro le tracce lasciate da Salvatore Di Ganci, mafioso di alto grado. Il mafioso se l'è svignata sotto il loro naso. In meno di un'ora, ha abbandonato la sua scrivania di direttore della Cassa Centrale di Risparmio per farsi latitante ed evitare l'arresto. Adesso i carabinieri lo cercano e confidano che i suoi amici al telefono, prima o poi, possano dare una mano con una parola imprudente. Hanno linee telefoniche sotto controllo. Tra gli altri, anche il numero di Massimo Maria Berruti. Bel tipo, questo Berruti, ormai da tre legislature parlamentare della Repubblica (Forza Italia, PdL).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Nel 1978, da capitano della Guardia di Finanza, controlla la Edilnord (azienda del Gruppo Fininvest, all'epoca Edilnord S. a. s. di Umberto Previti & C.). Interroga Silvio Berlusconi. Che, con faccia di cuoio, gli dice di ignorare chi fossero i soci della società: "Io sono un semplice consulente". Berruti beve la frottola. Chiude il controllo. Poco dopo, lascia il Corpo e, come avvocato, prende a curare gli interessi di alcune società della Fininvest.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">In quell'estate del 1994, Berruti è attivissimo come il suo telefono. L'uomo ha un problema: sa che i pubblici ministeri di Milano ronzano intorno ai militari del Nucleo tributario della Guardia di Finanza che, nel 1991, si sono messi in tasca 130 milioni di lire per chiudere gli occhi in una verifica fiscale alla Mondadori. L'8 giugno Berruti incontra, a Palazzo Chigi, Berlusconi e, nelle settimane successive, cerca un "contatto" con l'ufficiale corrotto per dirgli di tenere la bocca chiusa sulla Mondadori, se dovesse essere interrogato dai pubblici ministeri. La manovra non sfugge alla procura. Arresta il mediatore (un sottufficiale della Guardia di Finanza). Che racconta delle pressioni. Berruti sente che per lui le ore sono contate. Sarà interrogato, forse arrestato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Ora è il 10 agosto 1994, sono le 10,29, e i carabinieri di Sciacca intercettano la conversazione di Berruti con Berlusconi. Il documento fonico, raccolto nell'indagine del mafioso Di Ganci, non potrà per legge essere utilizzato in un altro procedimento. Tuttavia, ancora oggi, quel colloquio tra Berruti e il suo Capo rivela e custodisce l'intero catalogo degli argomenti che, in quindici anni, Berlusconi utilizzerà per difendersi dal suo passato, convinto che la menzogna del potere abbia, debba avere più peso della "verità". Per lui, convincere non è altro che ingannare, null'altro.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Dunque, esordisce Berruti (chiama da casa, sa o presume di essere ascoltato): "Sono Massimo, presidente... [I pubblici ministeri] Mi vogliono parlare. Sembra che qualcuno abbia detto che io sono andato a chiedere a qualcuno di non parlare delle cose Fininvest".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Tocca a Berlusconi spiegare che cosa l'uomo deve fare e dire ai pubblici ministeri: "Vabbé, lei dice, ma voi siete pazzi... Dice, io non ho niente da nascondere. Voi fate una cosa di questo genere su un cittadino della Repubblica, voi pigliate... e lei si mette a urlare: voi siete dei pazzi, delle belve feroci, lei non può mettermi in galera, questo è sequestro di persona, eccetera... [Dell'uomo che l'accusa, dirà]: pezzo di rincoglionito che capisce lucciole per lanterne... Poi faccia dichiarazioni ai giornalisti: non se ne può più di questi matti. Faccia dichiarazioni prima di entrare dentro. [Dica] Con tutto questo non si fa altro che andare contro l'interesse del Paese, perché il Paese ha bisogno di lavorare in fiducia, in tranquillità, bisogna ricostruirlo!.. Questi [magistrati] ... sono dei nemici pubblici".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Se si sbrogliano queste frasi - le più sinceramente bugiarde che Berlusconi abbia mai detto - si ritrova, denudato, il nucleo più autentico delle ragioni che l'Egoarca oppone a una magistratura che si ritrova tra le mani le concrete evidenze di un sistema economico costruito grazie alla corruzione e la frode. Berlusconi non accetta di discutere le abitudini della sua bottega né di dimostrare che il dubbio dei pubblici ministeri sia infondato, un indizio senza certezza, un documento - in apparenza, opaco - a doppia lettura. Rifiuta alla radice la legittimità di chiedergli conto del suo comportamento. Non riconosce alcuna fondatezza e costituzionalità al lavoro della magistratura (accertare che cosa è accaduto, per responsabilità di chi). E' l'unica via di fuga che può liberarlo da contestazioni che non può affrontare. Quegli uomini in toga sono dei "pazzi".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Prima di sapere che cosa sanno o hanno raccolto o vogliono chiedere, bisogna subito urlargli contro; gridare allo scandalo, alla violenza; denunciarli come eversori che distruggono la "fiducia del Paese". Sono "nemici pubblici" che bisogna allontanare e annichilire. Pur di non rispondere di ciò che è stato, il capo del governo è disposto anche a sopportare il peggiore dei sospetti.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Ancora oggi, nella ricerca di impunità, Berlusconi si muove lungo la via che, quindici anni fa, indica a Massimo Maria Berruti. Si tiene lontano dalle aule. Arringa al "pubblico" la sua innocenza e le cattive intenzioni di quei "matti" in toga nera. Invoca il maglio dell'informazione (che controlla) per intimidirli, umiliarli, screditarli e la manipolazione dei media (che influenza) per distruggere il passato, oscurare con la menzogna i fatti, lasciar deperire - nell'opinione pubblica - la memoria. E' "la forza del potere contro la verità", come dirlo meglio? Berlusconi rivendica il suo potere per eliminare ogni accusa, ogni prova, ogni testimonianza e, insieme, degradare a funzione sottordinata ogni altro potere dello Stato che possa obbligarlo a fare i conti con la "verità". La manovra è addirittura trasparente. "Se [Silvio] non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi [di Mediaset] oggi saremmo sotto un ponte o in galera con l'accusa di mafia", confessa Fedele Confalonieri (Repubblica, 25 giugno 2000). Berlusconi, quell'arma impropria del potere politico, l'ha agitata senza risparmio.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Delle diciotto leggi ad personam che si è scritto, otto proteggono e rafforzano i suoi affari, dieci lo tutelano dalla legge. Si è riscritto le regole del processo (i tempi della prescrizione), dei codici, della procedura (il divieto di appello del pubblico ministero per le sentenze di proscioglimento). Ha legiferato per abolire reati (il falso in bilancio), rimuovere i giudici (legittimo sospetto), annullare fonti di prova (le rogatorie). Infine, per rendersi immune (le leggi "Schifani" e "Alfano"). All'inizio, ha travestito il suo conflitto di interessi con pose umili: "Il presidente del Consiglio, che è un primus inter pares e coordina l'attività degli altri ministri, ha l'obbligo morale di astenersi quando sono sul tappeto decisioni che potrebbero riguardare anche i suoi interessi" (Corriere, 20 settembre 2000).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Oggi, dopo la bocciatura della "legge Alfano", anche questa maschera è caduta e il capo del governo rivendica di essere "primus super pares". Se ne deve dedurre che "la legge è uguale per tutti, ma non sempre lo è la sua applicazione", in particolar modo per il capo del governo, "investito del suo ruolo dalla sovranità popolare" (Nicolò Ghedini alla Corte Costituzionale, 6 ottobre 2009). E' la pretesa di un'indivisibilità della sovranità che eclissa ogni divisione dei poteri istituzionali. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole perché è "un'esperienza eterna" che chi ha il potere, se non trova un limite, ne abuserà. Come il Lord vicario di Shakespeare, 1604.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Stupefacente è che questo avvenga nel 2009, nell'Occidente liberale, in Italia. Dove con la leggenda di un "accanimento giudiziario" (16 processi non 106, come dice il capo del governo), anche soi disantes liberali possono sostenere che il rispetto delle regole sia più nefasto della loro violazione o, in alternativa, che per salvare la Repubblica bisogna immunizzare un solo cittadino del Paese. Con l'esito - è questo che ci attende, se Berlusconi la spunterà - di depenalizzare addirittura il reato di corruzione in una scena pubblica dove è abolita ogni distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario con la creazione di uno "stato d'eccezione" che annulla e contraddice ogni aspetto normativo del diritto, anche quello fondamentale di essere eguali davanti alla legge. E' un paradigma di governo che invoca, in nome della sovranità, "pieni poteri" (plein pouvoirs). Come se potessimo trascurare, anche soltanto per un attimo, che l'esercizio sistematico dell'eccezione conduce necessariamente alla liquidazione della democrazia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">(Le prime due puntate sono state pubblicate</span><a href="http://setalend.blogspot.com/2009/11/se-paghi-la-tua-vita-viaggia-leggera-la.html"> il 18</a> <span style="color: rgb(255, 255, 255);">e</span> <a href="http://setalend.blogspot.com/2009/11/come-si-costruisce-un-impero.html">il 20 novembre</a><span style="color: rgb(255, 255, 255);">)</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(204, 51, 204);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(23 novembre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-57222731492889395532009-11-22T22:49:00.004+01:002009-11-22T22:57:10.339+01:00Forum "Donne della Realtà" alla Casa delle Donne<span style="font-weight: bold;">CRONACA</span><br /><br /><span style="font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204); font-weight: bold;">Convegno organizzato dal gruppo "Donne della realtà" con la collaborazione della Fnsi e del nostro giornale</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/donne-realta/convegno-21nov/convegno-21nov.html"><span style="font-size:180%;">Convegno a Roma: "Il rischio del ritorno di un sessismo ostile a tutte le donne"</span><br />di MARIA NOVELLA DE LUCA</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 255);">ROMA - Un dibattito appassionato, concreto, forte. Tra generazioni di donne che si confrontano e decidono di contare di nuovo, di influenzare il presente, mentre la società italiana sembra camminare all'indietro, rimuovendo diritti e libertà che parevano sicure e consolidate. Uno smantellamento continuo e costante, attraverso campagne mediatiche mai così martellanti, che del lato femminile mostrano sempre più corpi nudi, sottomissione, compiacenza. Di questo si è discusso ieri a Roma, in un affollatissimo convegno organizzato dal gruppo milanese "Donne della realtà", con la collaborazione della Fnsi e di Repubblica che con l'appello per la dignità delle donne ha raccolto nelle scorse settimane oltre centomila firme. Un forum lanciato per parlare delle "altre donne", quelle che sfuggono al ritratto che ne fanno i giornali, le televisioni e la pubblicità, dove l'unico obiettivo del genere femminile sembra quello "di ingraziarsi il maschio più ricco e potente possibile".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 255);">A riflettere e a confrontarsi alla Casa delle donne di Roma con un pubblico "transgenerazionale", la filosofa Michela Marzano, firmataria insieme a Barbata Spinelli e Nadia Urbinati dell'appello di "Repubblica", Chiara Volpato, docente di Psicologia Sociale all'università "Bicocca" di Milano, Miriam Mafai, le fondatrici di "Donne della realtà". E come sottofondo, su uno schermo bianco, le gallerie fotografiche inviate al nostro giornale dalle lettrici di Repubblica, 350mila volti di donne allegre, ironiche, serie, vere, "donne della realtà" appunto, 350mila storie diverse ma tutte "offese dal Premier". Perché quello che sta accadendo oggi nella società italiana, ha spiegato Chiara Volpato, è il ritorno "di un sessismo ostile a tutte le donne che mostrano competenze, che rifiutano lo stereotipo di "ornamento" sia nei talk show che nella vita reale". E quando una donna resiste, come nell'ormai celebre "non sono a sua disposizione" di Rosy Bindi al premier, "ecco che gli uomini attaccano e insultano". "In molti paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti, il sessismo è in diminuzione, da noi è in aumento. E sono proprio alcuni politici ad esserne i portavoce". Con un linguaggio che altrove sarebbe vietato e Volpato cita la Bbc, dove esiste un decalogo di norme con cui questi temi "sensibili" vanno trattati. Argomento ripreso da Miriam Mafai che ha lanciato l'idea di proporre alla Rai di adeguarsi alle norme della</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 255);">Bbc...</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 255);">Molto si è fatto in termini di pari opportunità, ma il cammino sembra a ritroso. Uno stile di vita e di pensiero che per Michela Marzano si è tradotto in nuova dittatura sul corpo delle donne "a cui è vietato mostrare il limite, la malattia, l'invecchiamento, mentre una società "tuttora patriarcale continua ad emettere norme per controllare la vita e la sessualità femminile". Esempio emblematico il rovente e recente dibattito italiano, "sulla pillola Ru496, dove politici uomini hanno preteso di decidere cosa fosse giusto o sbagliato per la salute delle donne".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 153, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica - <a href="http://tv.repubblica.it/copertina/donne-e-media-alla-casa-delle-donne/39361?video"><span style="font-family: verdana; color: rgb(51, 255, 51);">VIDEO</span></a></span><br /><span style="font-style: italic; color: rgb(204, 51, 204);">(22 novembre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-4475639101597592752009-11-21T10:18:00.002+01:002009-11-21T22:44:16.547+01:00Criminalità e Poteri: 50'anni di trame da talpe che tessono reti sotterranee e sempre più fitte<span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Il verbale del pentito Spatuzza. Il 4 dicembre deposizione al processo Dell'Utri</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">La "rivelazione" attribuita a uno dei fratelli Graviano. Che ha rifiutato il confronto</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/mafia-10/verbale-spatuzza/verbale-spatuzza.html"><span style="font-size:180%;">"Ho un patto con Berlusconi - Questo mi rivelò il boss"</span><br />di FRANCESCO VIVIANO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">PALERMO - I boss di Cosa Nostra avrebbero avuto un rapporto "diretto" con Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Non ci sarebbero stati "mediatori" nel patto che sarebbe stato stretto tra la mafia ed i leader del nascente partito di Forza Italia per fare cessare le stragi iniziate nel '92 e continuate nel '93 con gli attentati di Firenze, Roma e Milano.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Ad affermarlo è l'ultimo pentito di mafia, Gaspare Spatuzza, i cui verbali con le dichiarazioni rese nell'estate scorsa ai magistrati di Firenze sono stati depositati ieri nel processo d'appello a carico del senatore Marcello Dell'Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">L'interrogatorio è del 18 giugno. È lì che Spatuzza racconta ai magistrati fiorentini di avere appreso direttamente dal boss Giuseppe Graviano, nel gennaio del '94 al bar Doney di via Veneto a Roma, che si erano messi "il paese nelle mani" perché - secondo quanto si legge nei verbali - avevano raggiunto un accordo con Dell'Utri e Berlusconi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Spatuzza dice ai pm Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi della Dda di Firenze: "Ritengo di poter escludere categoricamente, conoscendoli assai bene (i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano ndr) che i Graviano si siano mossi nei confronti di Berlusconi e Dell'Utri attraverso altre persone. Non prendo in considerazione la possibilità che Graviano abbia stretto un patto politico con costoro senza averci parlato personalmente".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Spatuzza era il braccio destro dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano (entrambi in carcere con ergastoli per stragi e omicidi tra i quali quello del sacerdote Don Pino Puglisi e del figlioletto del pentito Di Matteo). Quando Giuseppe Graviano gli rivelò il "patto" che sarebbe stato stretto con Berlusconi, si trovava a Roma per preparare il fallito attentato allo Stadio Olimpico per uccidere decine di carabinieri.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Il pentito parla quindi dall'alto dei suoi rapporti privilegiati con i boss e ai pm fiorentini aggiunge: "Non posso sapere quale fosse il proposito che Berlusconi e Dell'Utri avessero in mente stringendo questo patto. La mia esperienza di queste vicende, ma è una mia deduzione, è che costoro (Berlusconi e Dell'Utri ndr) che in primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa Nostra, si volevano poi accreditare all'esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare. E quando poi li vedo scendere in politica, partecipando alle elezioni e vincendole, capisco che sono loro direttamente quelli su cui noi (Cosa Nostra-ndr) abbiamo puntato tutto".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Spatuzza racconta nei dettagli il colloquio avuto con il boss Giuseppe Graviano quando si incontrarono a Roma per la preparazione dell'attentato allo stadio Olimpico. In quell'occasione il boss gli parlò dell'intesa che a suo dire era stata raggiunta con Berlusconi: "Graviano era euforico e gioioso, sprizzava felicità, normalmente era una persona abbastanza controllata, quindi era difficilissimo che si lasciasse andare in quel modo, le sue parole sono state le seguenti: 'tutto si è chiuso bene, abbiamo ottenuto quello che cercavamo, le persone che hanno portato avanti la cosa non sono come quei quattro crasti (montoni-ndr) dei socialisti che prima ci hanno chiesto i voti e poi ci hanno venduti. Si tratta di persone affidabili'. A quel punto mi fa il nome di Berlusconi e mi conferma che si tratta di quello di Canale 5. Poi mi dice che c'è anche un paesano nostro e mi fa il nome di Dell'Utri e aggiunge che grazie alla serietà di queste persone "ci siamo messi il paese nelle mani'".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Queste dichiarazioni sono entrate nel processo a Palermo a Dell'Utri. Il pentito Spatuzza probabilmente il 4 dicembre prossimo nell'udienza fissata a Torino per il suo interrogatorio, potrà spiegare meglio all'accusa ed alla difesa il significato di queste pesanti affermazioni riguardanti Berlusconi e Dell'Utri.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Agli atti del processo sono finiti anche i confronti tra lo stesso Spatuzza ed i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano avvenuti rispettivamente il 20 agosto ed il 14 settembre. Confronti interessanti che possono contenere anche dei messaggi che gli inquirenti stanno tentando di decifrare perché nella storia di Cosa Nostra non s'è mai visto che i boss trattino un pentito come se fosse un amico. Giuseppe Graviano, che si è rifiutato di rispondere nel confronto, ha però detto in una recente udienza pubblica di "rispettarlo".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 255, 255);">Filippo Graviano ha invece accettato il confronto confessando di avere avuto intenzione di "dissociarsi" da Cosa Nostra nei primi anni del 2000 quando l'allora procuratore nazionale, Pierlugi Vigna, aveva avviato una serie di colloqui investigativi, negando però di avere mai detto a Spatuzza che "se non arriva niente da dove deve arrivare - avrebbe detto Graviano riferendosi ai politici - anche noi cominciamo a parlare con i magistrati". Segno che, secondo Spatuzza la "trattativa" era ancora aperta. Ma nel confronto con Filippo Graviano, Spatuzza lo scagiona da pesantissime accuse, sostenendo di non avere mai ricevuto dal boss ordini per commettere omicidi e stragi invitandolo però a collaborare.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(51, 204, 255);">© Riproduzione riservata: </span><span style="font-style: italic; color: rgb(51, 204, 255);">La Repubblica </span><br /><span style="font-style: italic;">(21 novembre 2009) </span></span><br /><span style="color: rgb(204, 204, 204); font-weight: bold;">--------------------------------------------------------</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Il mafioso ai giudici di Palermo parla dell'ultimo atto della "trattativa" tra cosche e Stato</span><span style="color: rgb(204, 204, 204);"> - </span><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Nel verbale il racconto dell'incontro nel '94 con Graviano che gli parlò di Berlusconi e Dell'Utri</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/mafia-10/spatuzza-bolzoni/spatuzza-bolzoni.html"><span style="font-size:180%;">Mafia, la verità del pentito Spatuzza - "Il boss mi disse: il Paese è in mano nostra"</span><br />di ATTILIO BOLZONI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">PALERMO - C'è un mafioso che parla dell'ultimo atto della "trattativa". E di un altro attentato, di altri cadaveri, di altre protezioni politiche, dell'altro accordo che i boss cercavano con "con il nuovo partito". Così la racconta un pentito, quello che ha fatto riaprire tutte le indagini sulle stragi.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">La testimonianza di Gaspare Spatuzza, uomo d'onore della "famiglia" di Brancaccio: "Giuseppe Graviano mi disse che la persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri... mi disse anche che ci eravamo messi il Paese nelle mani".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Era lui, Spatuzza, che avrebbe dovuto uccidere cento carabinieri allo stadio Olimpico di Roma all'inizio del 1994. Dopo Falcone e Borsellino nell'estate del 1992, dopo le bombe di Firenze e Milano e Roma nel 1993, i mafiosi avevano bisogno di "fare morti fuori dalla Sicilia per avere poi benefici per i carcerati e anche altri". L'ultimo massacro prima del patto finale.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Un verbale di 75 pagine riapre uno scenario che sembrava sepolto per sempre e fa scivolare ancora una volta - era già accaduto dopo il 1994 alle procure di Caltanissetta e di Firenze, procedimenti archiviati negli anni successivi - i nomi di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri "nell'ambito delle stragi". Era la deposizione che mancava ai procuratori di Palermo nella loro investigazione sulla "trattativa" per legare ogni passaggio fra la prima e la seconda repubblica, fra Capaci e la nascita di Forza Italia, fra i primi contatti avuti dagli ufficiali dei Ros dei carabinieri con Vito Ciancimino nel giugno del 1992 alla mediazione "del compaesano Dell'Utri" del gennaio 1994. Una trama - secondo i magistrati - che troverebbe appunto "conferme" nelle rivelazioni di Gaspare Spatuzza, mafioso testimone delle manovre e dei giochi cominciati con l'uccisione di Giovanni Falcone. Dice Spatuzza nel suo verbale del 6 ottobre scorso al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e ai sostituti Nino Di Matteo e Lia Sava: "Incontrai Giuseppe Graviano all'interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. E mi spiega che si era chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione... e che non erano come 'quei quattro crasti dei socialisti'.. ".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Il mafioso, che data questo suo incontro con Graviano a metà del gennaio 1994, ricorda dei socialisti - "crasti", cioè cornuti - che avevano promesso la "giustizia giusta" nell'87 e che erano stati votati da Cosa Nostra. Poi parla ancora del patto riferito da Giuseppe Graviano: "... Tutto questo grazie a Berlusconi, la persona che aveva portato avanti questa cosa diciamo, mi fa (Graviano, ndr) il nome di Berlusconi, io all'epoca non conoscevo Berlusconi, quindi gli dissi se era quello del Canale 5 e mi disse che era quello del Canale 5.. ".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Il racconto del mafioso fa un passo indietro. E riporta tutti i dubbi degli uomini d'onore su quello che era accaduto nell'estate del 1992 in Sicilia e, soprattutto, i dubbi sulla strategia stragista che i Corleonesi non volevano fermare: "Noi ci stavamo portando avanti un po' di morti che non c'entravano niente con la nostra storia... per me Capaci... è stata una tragedia che entra nell'ottica di Cosa Nostra, però quando già andiamo su, su Costanzo (il fallito attentato al giornalista, ndr), su Firenze... su.. ci sono morti che a noi non ci appartengono, perché noi abbiamo commesso delitti atroci, però terrorismo, sti cosi di terrorismo non ne abbiamo mai fatti". E' a quel punto che Gaspare Spatuzza manifesta altre perplessità a Graviano sulla strage che proprio lui - il mafioso di Brancaccio - sta preparando allo stadio Olimpico. Gli risponde il suo capo: "Con altri morti, chi si deve muovere si dà una mossa... significa che c'è una cosa in piedi, che c'è qualcosa che si sta trattando". Gaspare Spatuzza è insieme a Cosimo Lo Nigro, un altro boss. E Graviano chiede a tutti e due "se capiscono qualcosa di politica". E poi dice "che lui è abbastanza bravo, quindi è lui che sta trattando".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Nelle ultime pagine del verbale Gaspare Spatuzza ricostruisce il suo pentimento, il primo colloquio con il procuratore antimafia Pietro Grasso: "Sulla questione di via D'Amelio... siccome si erano chiusi tutti i processi, quindi sapevo a cosa andavo incontro, però mi dicevo: ho prove schiaccianti, perché se c'erano solo le mie parole sarei stato un pazzo a muovermi in questa storia, siccome avevo delle cose, riscontri oggettivi, quindi andavo sicuro. ". E' nell'aprile del 2008 che ha iniziato a parlare: "Il soggetto che io dovevo indicare aveva vinto le elezioni perché noi parliamo, aprile... Io arrivo fine, 17 aprile e quindi il soggetto che io dovevo accusare me lo trovo come capo del Governo... Al di là di questo, il ministro della Giustizia, quel ragazzino così possiamo dire... la figura di Dell'Utri... ". Il verbale di Gaspare Spatuzza nelle pagine seguenti alla numero 61 è fitto di omissis.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(24 ottobre 2009)</span></span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">---------------------------------------</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">21/11/2009 - L'INCHIESTA - La Stagione Delle Bombe</span><br /><span style="color: rgb(192, 192, 192);font-size:130%;" ><span style="font-weight: bold;">Mafia, un pentito contro il premier </span></span><span style="font-weight: bold; color: rgb(192, 192, 192);">[da: "La Stampa"]</span><br /><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200911articoli/49602girata.asp"><span style="font-size:180%;">Ecco i veleni del verbale Spatuzza: «Dietro le stragi ci sono Berlusconi e Dell'Utri»</span><br />RICCARDO ARENA</a><span style="font-weight: bold;"> </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">PALERMO. Entrano nuovi atti nel processo di Palermo contro Marcello Dell'Utri. Arrivano da Firenze, dove l'inchiesta sulle autobomba di Roma, Firenze e Milano, è in pieno svolgimento e potrebbe portare presto a clamorosi sviluppi sul fronte dell'individuazione dei mandanti esterni a Cosa Nostra.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Ieri il procuratore generale di Palermo Nino Gatto ha messo i verbali a disposizione dei legali del senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, imputato di concorso in associazione mafiosa e già condannato a nove anni in primo grado. Si tratta delle dichiarazione del pentito Gaspare Spatuzza, da tempo al centro di voci che agitano la politica romana. Spatuzza sarà di nuovo ascoltato, dalla seconda sezione della Corte d'appello di Palermo, il 4 dicembre. L’interrogatorio si terrà, per motivi di sicurezza, lontano dalla Sicilia: a Torino, al palazzo di giustizia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Nelle carte, l'ex reggente del mandamento di Brancaccio fa continui riferimenti ai propri referenti, i capicosca Filippo e Giuseppe Graviano, come fonti delle proprie informazioni su quella che, senza mezzi termini, definisce una trattativa con Silvio Berlusconi e Dell'Utri, per avere una sorta di copertura politica sulle stragi ancora da compiere: dopo gli obiettivi già attaccati si doveva colpire ancora, dare quello che il boss definisce «il colpo di grazia»: il devastante attentato all'Olimpico di Roma, contro i carabinieri. Racconta a verbale Spatuzza: «Gli infedeli erano Berlusconi e Dell'Utri... Prima gli hanno fatto fare le stragi e poi si sono accreditati come coloro che avevano la possibilità di farli smettere...».</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">E i boss, nel rivolgersi all'attuale premier e al suo delfino, trattarono attraverso intermediari, o direttamente? «No, non esiste - risponde Gaspare Spatuzza -. Conoscendo l'abilità e la personalità di questi soggetti, dei Graviano, non trattano con le mezze carte. Hanno sempre avuto nella vita i contatti diretti». Con il premier e con il «paesano» (concittadino) Dell'Utri, «che potrei anche dire che è una cosa nostra», i contatti sarebbero stati diretti. I pm toscani, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, giocano il tutto per tutto e mettono a confronto Spatuzza con gli stessi Giuseppe e Filippo Graviano. E qui le sorprese non mancano.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Perché più che un confronto, il faccia a faccia con Filippo è un colloquio tra vecchi amici. «Io voglio bene ai fratelli Graviano», dice Spatuzza. «Ma io non ho parlato con ostilità di te», risponde quello. «Tu mi rappresenti mio padre. Tuo fratello rappresenta mio padre». «Una fratellanza, okay. Ci siamo». È uno scambio di convenevoli. Forse anche di messaggi. E di «benedizioni»: è il primo dichiarante, cioè, ad essere in qualche modo avallato da un boss non pentito, irriducibile. Se proprio Graviano deve dire cosa diversa, è quasi in imbarazzo: «Mi dispiace dovere contraddire Spatuzza...». Conferme piene però non ne arrivano: «Non è vero che, come sostiene lui, io abbia detto che "se non arriva quello che deve arrivare dalla politica, è bene che noi parliamo con i magistrati". Non mi aspetto niente dalla politica...».</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Ma la porta non è del tutto chiusa: «Non ricordo di averlo detto...». Spatuzza parla di conversione religiosa, di legalità, discorso che il capo irriducibile approva, gli mostra la famosissima foto del bimbo ebreo impaurito, a braccia levate del ghetto di Varsavia: «Queste sono le nostre vittime, don Puglisi, il piccolo Di Matteo...». All'altro fratello, Giuseppe, che rifiuta il confronto, consegna invece una lettera, che si conclude con una serie di messaggi e la firma di «tuo fratello in Cristo, Gaspare Spatuzza». Giuseppe Graviano, del resto, era già stato chiamato a esprimersi su Spatuzza in un pubblico dibattimento, contro l’ex senatore Dc Enzo Inzerillo, imputato a Palermo di mafia: in quella occasione Graviano era stato esplicito dicendo a chiare lettere che «io Spatuzza lo rispetto».</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Ora Filippo Graviano, che ai pm presenta il suo ottimo curriculum universitario, una serie di 30 e 30 e lode ottenuti in esami sostenuti in carcere, lancia una serie di messaggi: «Non ti dico che stai mentendo, ti dico che io le cose non le ho dette. Mi dispiace» Potrebbe essere il nuovo passaggio, clamoroso, quelle che non fa dormire sonni tranquilli al premier: l’eventuale collaborazione di uno dei fratelli boss di Brancaccio.</span><br /><span style="color: rgb(204, 204, 204); font-weight: bold;">-------------------------------------</span><br /><br />IL RACCONTO/<span style="font-weight: bold;">Viviamo in un Paese che da anni è sotto la morsa di consorterie occulti</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Nel 1983 la Banda della Magliana si era spaccata tra due "anime"...</span><br /><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/caso-orlandi/decataldo/decataldo.html"><span style="font-size:180%;">Emanuela Orlandi, mistero italiano tra Vaticano, ricatti e De Pedis</span><br />di GIANCARLO DE CATALDO</a><br /><span style="font-size:130%;"><br /></span><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);font-size:130%;" >LA (probabile) identificazione del (presunto) rapitore di Emanuela Orlandi, (forse) legato al boss Renatino De Pedis, personaggio di spicco dell'ormai mitizzata "Banda della Magliana". Le rivelazioni del pentito Spatuzza e la ricostruzione dei (possibili) retroscena delle stragi, ufficialmente mafiose, del '92/'93. Il rinvenimento del corpo carbonizzato di Brenda. Ci sono giorni in cui una persona normale apre il giornale e ha tutto il diritto di chiedersi: ma in che razza di Paese viviamo?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 102, 0);">Per uno scrittore di romanzi criminali, la risposta è fin troppo facile: <span style="font-size:130%;">viviamo in un Paese che da anni è sotto il ricatto di consorterie occulte che interferiscono pesantemente con l'ordinato procedere della democrazia. </span>Viviamo in un Paese percorso e agitato dalle scorribande di <span style="font-size:130%;"><span style="color: rgb(204, 102, 204);">tessitori di trame che non si riescono mai ad afferrare nella loro astuta, ma talora persino trasparente, complessità.</span></span> Viviamo in un Paese nel quale, in coincidenza con momenti topici di crisi economica, politica, sociale, la violenza, sia essa terroristica, mafiosa ovvero appaltata alla criminalità di strada, irrompe prepotente sulla scena. Per lanciare messaggi che soltanto "chi di dovere" è in caso di interpretare, per depistare, per condizionare, per seminare la paura <span style="color: rgb(204, 102, 204);font-size:130%;" >o per distogliere l'attenzione generale da altre, più pressanti emergenze. Quasi che fossimo alle prese con una ormai endemica, eterna strategia della tensione.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Una strategia che si alimenta dei delitti di oggi e della bava vischiosa e torbida degli antichi misteri irrisolti. Irrisolti grazie al silenzio dei protagonisti, <span style="font-size:130%;">alla protezione di altolocati complici, alla menzogna e alla reticenza sistematicamente opposte a quei poliziotti, carabinieri e magistrati</span> tenacemente impegnati a ricostruire, tessera dopo tessera, il mosaico. Irrisolti, infine, grazie al piombo e al tritolo con il quale "i buoni" sono stati fermati quando la loro opera si faceva troppo pericolosa.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Viviamo, in altri termini, in un Paese che ha scritto, negli anni, una sanguinosa epopea criminale. Dove, certo, non tutto è crimine, ma il crimine è una delle variabili costanti della Storia stessa. La recente storia criminale italiana ha caratteristiche così peculiari che se ne potrebbe persino tracciare una sorta di legge regolatrice, una ipotetica, amara "costituzione dei misteri". Dietro ogni crimine si può rinvenire una singolare, ferra eterogenesi dei fini. Ogni singolo crimine rimanda a un altro crimine, legato al primo da uno o più fini comuni. Il crimine si fa catena criminale.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">La parola "mistero" consegna il tutto alla categoria dell'incognito. Non fa eccezione la vicenda umana e personale di Emanuela Orlandi, scomparsa da casa una sera d'estate di ventisei anni fa. Una storia che si intreccia indissolubilmente, da ventisei anni, con l'omicidio (ormai possiamo pacificamente definirlo per quello che fu: un omicidio) del banchiere Calvi, sconfinando in un intrigo internazionale che coinvolge servizi segreti stranieri e nostrani, il taciturno, riservatissimo mondo Vaticano, e, da qualche tempo, anche la Banda della Magliana.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Dall'inchiesta in corso ci si attende la risposta a domande anch'esse vecchie di ventisei anni. Nel corso del tempo si sono avanzate, su questa vicenda tanto oscura quanto straziante, svariate teorie. In estrema sintesi, tre gli scenari principali che vengono prospettati. Emanuela rapita per ricattare il Vaticano. Emanuela vittima, magari accidentale, di qualcuno interno al mondo Vaticano o comunque ad esso collegato. Emanuela scomparsa e vittima di qualcuno che non aveva niente a che vedere con il Vaticano. In queste due ultime ipotesi, un'azione criminale sarebbe stata utilizzata in un secondo momento per colpire il Vaticano: a sostegno di questa teoria, le dichiarazioni di alcune ex-spie dell'Est, che negano qualunque coinvolgimento reale nel caso e rivendicano di essersi abilmente inserite nel "gioco" con un sofisticato depistaggio.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">E c'è chi sostiene (Pino Nicotri, in un suo documentatissimo saggio sulla vicenda) che furono "fonti aperte" a trasformare la scomparsa in rapimento, imprimendo una svolta decisiva, ma sciagurata, all'intera storia. Lo stesso ruolo della Banda della Magliana, adombrato da una dichiarazione televisiva dell'ex-boss e collaboratore di giustizia, Antonio Mancini, e poi ripreso dalle dichiarazioni, meno recenti e più attuali, della Minardi, non sfugge a questa alternativa: responsabilità diretta della Magliana nel fatto, o subentro, in una seconda fase, per aiutare qualcuno e danneggiare qualcun altro?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Ma altre questioni pone l'evocazione della Magliana. Delle imprecisioni nelle quali sarebbe incorsa, un anno fa, l'ultima testimone si è scritto e detto ampiamente. E infatti, sulla stampa, nei giorni scorsi, abbiamo letto di "rettifiche". In lunghissimi anni di storia processuale, poi, nel corso della quale si sono raccolte dichiarazioni sui più svariati delitti del tempo (dal caso Moro all'omicidio del giornalista Pecorelli, dalla morte di Calvi ai legami con neofascismo, logge massoniche e servizi deviati) mai si era accennato alla scomparsa di Emanuela Orlandi. O i non pochi "pentiti" del tempo di questa storia non ne sapevano niente, o sono stati accortissimi a parlare di tutto, meno che di Emanuela Orlandi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Se fosse vera la prima ipotesi, se ne dovrebbe concludere che è improprio parlare, oggi, di un coinvolgimento della Banda della Magliana. A quanto pare, tutte le voci si riferiscono a un intervento personale di De Pedis. Come accertato dai processi, nel 1983 già la Banda si era spaccata fra le due "anime", quella più popolare, di strada, della Magliana vera e propria, e quella, più abile, spregiudicata e ben ammanicata, dei "Testaccini" di De Pedis. Fra capi e gregari era iniziato il regolamento dei conti, che sarebbe culminato, nel febbraio del '90, con l'uccisione dello stesso De Pedis.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">La diffidenza regnava sovrana. Alcuni segmenti operativi dell'organizzazione agivano per proprio conto, spesso e volentieri all'insaputa gli uni degli altri. Ad esempio, l'uccisione di Danilo Abbruciati nel corso dell'attentato al vicedirettore dell'Ambrosiano, Rosone (Milano, aprile 1982) è un'azione che implica il coinvolgimento di un malavitoso di alto spessore, sicuramente legato alla Banda, in un delitto molto più complesso di una rapina o di un traffico di droga, sia pure su vasta scala. Sta di fatto che "quelli della Magliana" apprendono la notizia dal Telegiornale, e restano non poco sorpresi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Possibile che sia andata così anche per Emanuela Orlandi? L'Italia, lo ripetiamo, ci ha abituato a tutto. Sappiamo che la Magliana, nelle sue varie anime, fu una holding criminale dai contorni tuttora inesplorati: ma sarebbe pericoloso, e fuorviante, farne un "brand" multiuso, una sorta di contenitore utile per l'attribuzione della paternità di delitti "scomodi". Sta di fatto che, con buona pace di revisionisti e normalizzatori, e dell'imperante narcosi da avanspettacolo, i misteri italiani continuano a ossessionarci con le loro domande irrisolte. E il grumo nero che opprime la nostra democrazia è ancora vivo, vegeto e operante. Si tratta di capire, oggi, chi lo rappresenta, come agisce, e per quali scopi. Non è facile, ma nemmeno impossibile.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold;">(21 novembre 2009)</span><br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9GkoA-zSMoXhgkL8Ncr4vYE6cFRBBoPRxg431QfSR3IBZl2vDMrc0y_-959alJxQr9VsuS1J5r9AfofKmJOFHC2QssyXTpC0b8Vqr015SqM3UpOJQgoAuVVDi3K_h0jtT_-kB9w/s1600/stor_17260724_03480.jpg"><img style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center; cursor: pointer; width: 230px; height: 345px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9GkoA-zSMoXhgkL8Ncr4vYE6cFRBBoPRxg431QfSR3IBZl2vDMrc0y_-959alJxQr9VsuS1J5r9AfofKmJOFHC2QssyXTpC0b8Vqr015SqM3UpOJQgoAuVVDi3K_h0jtT_-kB9w/s400/stor_17260724_03480.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5406557888588618578" border="0" /></a>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-49109295895272458962009-11-21T09:48:00.000+01:002009-11-21T22:32:18.557+01:00"BRENDA"IL RACCONTO/<span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204); font-style: italic;">Dalla trans versioni contrastanti sulla sua frequentazione di Marrazzo. Ma alla fine ammette: c'era un video con noi due e un'altra trans, l'ho distrutto</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-spiato-1/bonini-21nov/bonini-21nov.html"><span style="font-size:180%;">Una vita tra alcol, droga e farmaci<br />la superteste che fa tremare Roma</span><br />di CARLO BONINI<br /></a><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">ROMA - Quando e dove la seppellirano, scriveranno che il suo ultimo giorno da viva è stato il 20 novembre 2009. Ma Wendell Mendez Paes, 32 anni che avrebbe compiuto tra sette giorni, brasiliano di Belem Para, "Brenda" per amiche (poche) e clienti (molti), ha cominciato a morire almeno un mese prima. In una sera di pioggia dell'ultima decade di ottobre. Quando un'auto civetta dei carabinieri del Ros iniziò la sua spola tra via Gradoli 98 e via due Ponti 180. Quando investiti dall'urto del "caso Marrazzo", i segreti di una comunità trans costretta in condomini ridotti a favelas smisero di essere tali. Quando qualcuno cominciò a parlare e molti cominciarono ad avere paura.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">La conoscevano tutti "la Brendona". "Quella con due tette così", disse Natalì, la "favorita" di Piero Marrazzo, prima ai cronisti e quindi ai carabinieri, indicandola come la trans che le aveva conteso il Governatore e che prima di tutti lo aveva "ricattato". "Con un video erotico girato insieme a un'altra trans", aggiunse. Simile a quello che i carabinieri della stazione Trionfale avevano rubato la mattina del 3 luglio in via Gradoli. Ma più lungo, articolato. E finito chissà dove.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Provò a nascondersi, Brenda, ma senza fortuna. La sera del 24 ottobre, il falansterio mangiato da ruggine e incuria di via due Ponti 180, dove lei viveva come un topo in un seminterrato soppalcato di scarsi dieci metri quadri, si consegnò ai suoi assedianti, sbirri e giornalisti, mostrando la sua preda. Una trans che si presentò come "China" e che per le cronache diventerà, senza esserlo mai stata, la convivente di Brenda, la indicò ai fotografi e alle telecamere, invitando a mollare finalmente la presa. Brenda, fasciata in una maglietta bianco panna, si mostrò per quel che era. Un donnone da un metro e 90, il corpo esile e le braccia lunghe e muscolose, con mani grandi quasi quanto il suo seno da cartoni Manga che le era costato una fortuna.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Parlava un ottimo italiano e aprì il suo "appartamento" dove, disse, almeno una volta era venuta a trovarla "Piero". E che sarebbe diventato la sua tomba. In un angolo, due fuochi e un lavandino che perdeva. Al centro un divano letto coperto da un foulard leopardato. Un piccolo armadio a due ante. Un soppalco dove infilarsi rannicchiati. Quella sera, Brenda ammise che quel secondo video dell'ex governatore del Lazio effettivamente esisteva. Che lo aveva girato nella primavera di quest'anno con una tale "Michelle", trans che lei sapeva ormai a Parigi. Ma che la sua copia, lei, l'aveva distrutta. Subito dopo l'arresto dei carabinieri del Trionfale. Subito dopo che la faccia di Piero aveva preso a occupare lo schermo tv per lo scandalo che lo aveva travolto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Il 30 ottobre, i carabinieri del Ros provarono a farle ripetere quella storia. Ma non ci fu verso. Brenda non ne voleva sapere. "Non conosco Marrazzo - si legge nel verbale redatto quel giorno negli uffici dell'Anticrimine dell'Arma - È vero, vivevo con una tale Michelle, ma lei è partita e Natalì ci accusa di cose non vere. Non ho mai subito né rapine, né minacce dai carabinieri. Metto a disposizione il mio cellulare, specificando che se avessi avuto qualcosa da nascondere lo avrei già distrutto". Non era una tipa semplice, Brenda. E i carabinieri lo avevano imparato subito. Fumava a catena e beveva in modo smodato, compulsivo. Fino a tre, quattro bottiglie di whisky scozzese "Ballantine's" al giorno, allungandolo quando capitava con "Red Bull" o sciogliendo nel bicchiere gocce di "Minias" (potente sonnifero e ansiolitico).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">La pressione per Marrazzo la attacca, se possibile, ancora di più alla bottiglia. Ma la convince, l'1 novembre, a raccontare al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo quello che ha taciuto ai carabinieri. "È vero - ammette a verbale - l'ex governatore è stato un mio cliente. Ho girato io il video che ci ritraeva insieme a Michelle. Ma l'ho distrutto. Durante i nostri incontri, facevamo uso di cocaina e la droga me la forniva Gianguarino Cafasso (il pappone che con i carabinieri organizza la trappola del 3 luglio in via Gradoli, che proverà a vendere il video del Governatore e verrà trovato morto per overdose in un albergo sulla via Salaria a metà settembre). Esistono anche delle foto con Marrazzo. Le scattammo in una casa con piscina". L'ex governatore, interrogato neppure ventiquattro ore dopo, confermerà quelle circostanze. Di Brenda storpia il nome ("una tale Blenda"), minimizza la frequentazione ("un paio di incontri"), ricorda l'uso di cocaina. E per Brenda (cui per altro, sebbene smentite da fonti inquirenti, si attribuiscono anche telefonate sull'utenza della segreteria del governatore negli uffici della Regione), evidentemente, comincia la fine. È diventata un problema. Per tutti e anche con se stessa.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Da quel giorno, i carabinieri non la cercano più. Ma per tutti Brenda è ormai la "trans che parla". La "fuori di testa" che verosimilmente custodisce segreti capaci di gettare nel fango altri nomi che contano. Se qualcuno si sente minacciato, il suo nome è ormai un'ossessione. Lei, in realtà, tace. Non alimenta "l'indovina chi" della sua clientela. Ha bisogno di soldi e si rimette sul marciapiede come sempre. Anche se, nella notte tra l'8 e il 9 novembre, dei romeni la aggrediscono rubandole il cellulare. La reazione è di furore e follia. Aggredisce la pattuglia dei carabinieri che le presta soccorso e prende a battere la testa sul marciapiede. Le sue amiche raccontano che torna a farsi di "Minias" per dormire.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Come la notte di giovedì, quando bussa a Veronica, perché le sue di gocce le ha finite. E' l'ultima richiesta. Intorno alle 4, Brenda si infila nel buco di via due Ponti 180 da cui non uscirà più.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(204, 204, 255);">© Riproduzione riservata / La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(21 novembre 2009) </span></span>................................................................................................<br /><br /><span style="font-weight: bold;">LE INDAGINI/<span style="font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Dopo il pestaggio la trans aveva paura, ma è stata lasciata sola</span></span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Se l'assassino le chiavi aveva tutto il tempo di portar via il pc e distruggerlo</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-spiato-1/davanzo-21nov/davanzo-21nov.html"><span style="font-size:180%;">Quei misteri e quei segreti<br />del computer di Brenda</span><br />di GIUSEPPE D'AVANZO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">C'È di certo che Brenda è morta distesa nel soppalco, asfissiata (forse) dai fumi di un incendio che si è sviluppato nei venti metri quadrati del suo minuscolo appartamento della Cassia. Si può escludere il suicidio. Troppo macchinoso per chi, come Brenda, era facile a gesti autolesionistici: si è tagliata braccia e vene appena qualche settimana fa. Due le ipotesi che sono in piedi. Omicidio o incidente domestico.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Brenda, come sempre, ha bevuto troppo whisky e ha buttato giù troppi psicofarmaci (ne ha comprati mercoledì sera e ne ha chiesto in giro, alle sue amiche, giovedì). Si addormenta. Nel "tugurio", come viene definito l'alloggio da chi l'ha visto, nasce un incendio lento. Il fumo la uccide nel sonno. L'ipotesi è sostenuta da qualche circostanza. La porta è chiusa a doppia mandata. Nessun segno di colluttazione. Nessuna traccia di violenza sul corpo del viado.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Le stesse circostanze, a sentire qualche voce di dentro in Procura, possono convincere, al contrario, per l'omicidio. L'assassino, gli assassini hanno le chiavi di casa e non hanno bisogno di manomettere la serratura. Attendono che Brenda si addormenti con calma e appiccano il fuoco. Si allontanano dopo aver infilato il computer sotto l'acqua del lavabo per cancellarne le immagini e i testi memorizzati. Proprio il computer potrebbe essere il grimaldello per scombinare l'ipotesi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Se l'assassino, gli assassini avevano le chiavi - e Brenda già si è assopita - hanno tutto il tempo per frugare nell'appartamento, trovato in ordine, e portar via il computer per poi distruggerlo con calma altrove, senza lasciarlo in quella casa presumendo che l'acqua ne rovini la memoria (e non è così, i tecnici delle polizie sono in grado di recuperarne i contenuti).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Perché lo abbandonano allora, in bella mostra, sulla scena del "delitto"? Giusto per farlo ritrovare - un po' a mollo, è vero - ma ancora in grado di liberare tutti i veleni che potrebbe contenere o contiene?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Comunque, queste sono tutte storie perché la pasticciona procura di Roma (due procuratori aggiunti e due sostituti sul luogo del delitto, ognuno con le sue opinioni e suggestioni, ognuno con i suoi orientamenti e indicazioni, tanto per fare maggiore confusione in un caso già ambiguissimo) apre un'inchiesta per "omicidio volontario". Una mossa tattica e consueta, va detto. Consente a chi indaga un'invasività investigativa che altre imputazioni non permetterebbero. E tuttavia un'accusa che oggi farà parlare, a buon diritto, di un omicidio nell'affaire Marrazzo - forse il secondo, dopo la "misteriosa morte" di Giangavino Cafasso, pusher, ruffiano, primo spacciatore alla stampa del video del governatore in compagnia del viado Natalie, "scoppiato" forse per overdose, forse per diabete, forse per mano assassina, in un albergo di Roma il 12 settembre.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Quale sarà l'esito dell'inchiesta, omicidio o incidente domestico, cambia poco - e si scuserà il cinismo - perché non è la morte di Brenda l'essenziale di questo nuovo capitolo dell'affaire Marrazzo.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Brenda era una vita alla deriva, una persona che nessuno ha saputo e voluto sostenere nel più difficile passaggio della sua vita già difficile. In queste settimane, nell'indifferenza di tutti, è stata minacciata, brutalmente picchiata, derubata del suo cellulare. Forse, il vero obiettivo del pestaggio. Brenda aveva paura. Lo diceva, lo gridava. Nessuno l'ha ascoltata o aiutata e chi oggi la piange ha lacrime di coccodrillo.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Quel che, alla fine, conterà in questa storia è quel che Brenda si lascia dietro: il computer. È, appunto, la memoria di quel computer, ora umido d'acqua, il nuovo centro della storia. Se assassini ci sono, forse, hanno ucciso non per cancellare tracce e prove, ma per far sì che tracce e prove siano trovate. Quel computer custodisce immagini e video che possono compromettere la congrega di nomi illustri o eccellenti che frequentavano il viado? Un fatto è certo. Brenda, approfittando della debolezza dei suoi ospiti o l'istupidimento provocato dalla cocaina che sniffavano con lei, "rubava" immagini di quegli incontri.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Nel caso di Piero Marrazzo, lo ha ammesso. Protagonisti del video: Brenda; un altro viado, Michelle; il governatore. Dice Brenda ai carabinieri nei primi giorni di novembre: "Certo, avevo quel video, lo custodivo nel mio pc ma l'ho distrutto perché avevo paura". È il video - "Marrazzo, con due viado, che sniffa cocaina" - di cui molto si parla nei circoli politici e giornalistici della Capitale, nell'ultima settimana di settembre. È una circostanza che, seppure confusamente, conferma anche Piero Marrazzo, il 2 novembre: "Ho avuto incontri con un'altra persona, un certo Blenda. Nell'occasione di un incontro con Blenda, ricordo che è passato anche un altro trans di cui non rammento il nome. Mi sembra che ho avuto solo due incontri con Blenda. Né Blenda o Natalie mi hanno mai chiesto del denaro o ricattato in relazione a foto o video che mi ritraevano. Non sono a conoscenza di video o foto scattate da Blenda in occasione di questi incontri, ma il mio stato confusionale, dovuto all'assunzione occasionale di cocaina, non mi mette in condizione di saperlo".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Si può distruggere una persona, anche senza torcerle un capello. La si può "assassinare" con un'immagine che può essere più minacciosa e mortale di un cappio o di un colpo di pistola. Il computer di Brenda, sia morta per omicidio o incidente domestico, potrà rivelarsi nei prossimi giorni e settimane un devastante arsenale di sopraffazione morale, alimentato dal sesso e dalle immagini catalogate in un computer.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Ogni delitto è sempre una catastrofe e ogni catastrofe ci svela sempre che è accaduto qualcosa che non capiamo perché quel che conta sapere - per capire davvero - non ci viene detto e non lo conosciamo. Ma, in questa storia di Piero Marrazzo e ora di Brenda, qualcosa si è già compreso o intuito: le abitudini private di un ceto politico, amministrativo, professionale, imprenditoriale sono state, sono e possono diventare gli strumenti di ricatti spietati e distruttivi, utili a modificare equilibri, risolvere conflitti; in qualche caso, adatti a "muovere le cose", concludere affari o farli saltare. Brenda, quale che sia la ragione della sua morte, si è trovata al centro di questo gorgo fangoso, attrice consapevole di una tragedia scritta e diretta da altri.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(204, 204, 255);">© Riproduzione riservata / La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(21 novembre 2009)</span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-14588888183370967862009-11-20T15:52:00.002+01:002009-11-20T15:55:57.804+01:00Come si costruisce un impero finanziario: lezione N° Uno<span style="font-weight: bold;">L'INCHIESTA/2</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-17/d-avanzo-facola-processi/d-avanzo-facola-processi.html"><span style="font-size:180%;">Il Cavaliere e la favola dei 106 processi</span><br />di GIUSEPPE D'AVANZO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">SI dice: il processo sia "breve" e se questa rapidità cancella i processi di Silvio Berlusconi sia benvenuta perché contro quel poveruomo, dopo che ha scelto la politica (1994), si è scatenato un "accanimento giudiziario" con centinaia di processi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Al fondo della diciottesima legge ad personam, favorevole al capo del governo c'è soltanto uno schema comunicativo, fantasioso, perché privo di ogni connessione con la realtà. È indiscutibile che un giudizio debba avere una ragionevole durata per non diventare giustizia negata (per l'imputato innocente, per la vittima del reato). "Processo breve", però, è soltanto un'efficace formula di marketing politico-commerciale. Nulla di più. Per credere che dia davvero dinamismo ai dibattimenti, bisogna dimenticare che le nuove regole (durata di sei anni o morte del processo) sono un imbroglio, se non si migliorano prima codice, procedura, organizzazione giudiziaria. Sono una rovina per la credibilità del "sistema Italia", se definiscono "non gravi" i reati economici come la corruzione. Con il tempo, la ragione privatissima del disegno di legge è diventata limpida anche per i creduloni, e i corifei del sovrano ora ammettono in pubblico che la catastrofica riforma è stata pensata unicamente per liberare Berlusconi dai suoi personali grattacapi giudiziari. L'effrazione di ogni condizione generale e astratta della legge deve essere sostenuta - per conformare la mente del "pubblico" - da un secondo soundbite, quella formuletta breve e convincente che, come una filastrocca, deve essere recitata in tv, secondo gli esperti, al ritmo di 6,5 sillabe al secondo, in non più di 12/15 secondi. Diffusa, ripetuta e disseminata dai guardiani vespi e minzolini dei flussi di comunicazione, suona così: Silvio Berlusconi ha il diritto di proteggersi - sì, anche con una legge ad personam - perché ha dovuto subire centinaia di processi dopo la sua "discesa in campo", spia di un protagonismo abusivo e tutto politico della magistratura che indebolisce la democrazia italiana.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Bene, ma è vero che Berlusconi è stato "aggredito" dalle toghe soltanto dopo aver scelto la politica? E quanto è stato "aggredito"? Davvero lo è stato con "centinaia di processi" tutti conclusi con un nulla di fatto? Domande che meritano parole factual, se si vuole avere un'opinione corretta anche di questo argomento sbandierato da tempo e accettato senza riserve anche dalle menti più ammobiliate.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Il numero dei processi di Berlusconi è un mistero misericordioso se si ascolta il presidente del consiglio. Dice il Cavaliere: "In assoluto [sono] il maggior perseguitato dalla magistratura in tutte le epoche, in tutta la storia degli uomini in tutto il mondo. [Sono stato] sottoposto a 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni" (10 ottobre 2009). Nello stesso giorno, Marina Berlusconi ridimensiona l'iperbole paterna: "Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte. Ma a suo carico non c'è una sola, dico una sola, condanna. E se, come si dice, bastano tre indizi per fare una prova, non le sembra che 26 accuse cadute nel nulla siano la prova provata di una persecuzione?" (Corriere, 10 ottobre). Qualche giorno dopo, Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, pompa il computo ancora più verso l'alto: "I processi contro Berlusconi sono 109" (Porta a porta, 15 ottobre). Lo rintuzza addirittura Bruno Vespa che avalla i numeri di Marina: "Non esageriamo, i processi sono 26".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Ventisei, centosei o centonove, e quante assoluzioni? In realtà, i processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono sedici. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills; istigazione alla corruzione di un paio di senatori (la procura di Roma ha chiesto l'archiviazione); fondi neri per i diritti tv Mediaset (in dibattimento a Milano); appropriazione indebita nell'affare Mediatrade (il pm si prepara a chiudere le indagini).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Nei dodici processi già conclusi, in soltanto tre casi le sentenze sono state di assoluzione. In un'occasione con formula piena per l'affare "Sme-Ariosto/1" (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa del comma 2 dell'art. 530 del Codice di procedura penale che assorbe la vecchia insufficienza di prove: i fondi neri "Medusa" e le tangenti alla Guardia di Finanza, dove il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione; dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per "insufficienza probatoria". Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal governo Berlusconi, l'imputato Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché "il fatto non è più previsto dalla legge come reato". Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le "attenuanti generiche" che (attenzione) si assegnano a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le "attenuanti generiche" gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: "All Iberian/1" (finanziamento illecito a Craxi); "caso Lentini"; "bilanci Fininvest 1988-'92"; "fondi neri nel consolidato Fininvest" (1500 miliardi); Mondadori (l'avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, "compra" il giudice Metta, entrambi sono condannati).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">È vero, l'inventario annoia ma qualcosa ci racconta. Ci spiega che senza amnistie, riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) affatturate dal suo governo, Berlusconi sarebbe considerato un "delinquente abituale". Anche perché, se non avesse corrotto un testimone (David Mills, già condannato in appello, lo protegge dalla condanna in due processi), non avrebbe potuto godere delle "attenuanti generiche" che lo hanno reso "meritevole" della prescrizione che egli stesso, da presidente del consiglio, s'è riscritto e accorciato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">L'imbarazzante bilancio giudiziario non liquida un lamento che nella "narrativa" di Berlusconi è vitale: fino a quando nel 1994 non mi sono candidato al governo del Paese, la magistratura non mi ha indagato. Se non si lasciano deperire i fatti, anche questo ossessivo soundbite non è altro che l'alchimia di un mago, pubblicità. Berlusconi viene indagato per traffico di stupefacenti, undici anni prima della nascita di Forza Italia. Nel 1983 (l'accusa è archiviata). È condannato in appello (e amnistiato) per falsa testimonianza nel 1989, venti anni fa. Nel 1993 - un anno prima della sua prima candidatura al governo - la procura di Torino già indaga sul Milan e i pubblici ministeri di Milano sui bilanci di Publitalia. Al di là di queste date, è documentato dagli atti giudiziari che Silvio Berlusconi e il gruppo Fininvest finiscono nei guai non per un assillo "politico" dei pubblici ministeri, ma per le confessioni di un ufficiale corrotto del Nucleo regionale di polizia tributaria di Milano. Ammette che le "fiamme gialle" hanno intascato 230 milioni di lire per chiudere gli occhi nelle verifiche fiscali di Videotime (nel 1985), Mondadori (nel 1991), Mediolanum Vita (nel 1992), tutti controlli che precedono l'avventura politica dell'Egoarca. Accidentale è anche la scoperta dei fondi esteri della Fininvest. Vale la pena di ricordarlo. Uno dei prestanomi di Bettino Craxi, Giorgio Tradati, consegna a Di Pietro i tabulati del conto "Northern Holding". Li gestisce per conto di Craxi. Sul conto affluisce, senza alcun precauzione, il denaro che il gotha dell'imprenditoria nazionale versa al leader socialista.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">C'è una sola eccezione. Un triplice versamento non ha nome e firma. Sono tre tranche da cinque miliardi di lire che un mittente, generoso e sconosciuto, invia nell'ottobre 1991 a Craxi. "Fu Bettino a annunciarmi l'arrivo di quel versamento", ricorda Tradati. Le rogatorie permettono di accertare che i miliardi, "appoggiati" su "Northern Holding", vengono dal conto "All Iberian" della Sbs di Lugano. Di chi è "All Iberian"? Per mesi, i pubblici ministeri pestano acqua nel mortaio fino a quando un giovane praticante dello studio Carnelutti, un prestigioso studio legale milanese, confessa al pool di avere fatto per anni da prestanome per conto della Fininvest in società create dall'avvocato londinese David Mackenzie Mills.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Così hanno inizio le rogne che ancora oggi Berlusconi deve grattarsi. Il caso, la fortuna, la sfortuna, fate voi. Tirando quell'esile filo, saltano fuori 64 società off-shore del "gruppo B di Fininvest very secret", create venti anni fa e alimentate prevalentemente con fondi provenienti dalla "Silvio Berlusconi Finanziaria". È in quell'arcipelago che si muovono le transazioni strategiche della Fininvest che, come documenterà la Kpmg, consentono a Berlusconi e al suo gruppo di "alterare le rappresentazioni di bilancio"; "esercitare un controllo con fiduciari in emittenti tv che le normative italiane estere non avrebbero permesso"; "detenere quote di partecipazione in società quotate senza informare la Consob e in società non quotate per interposta persona"; "erogare finanziamenti"; "effettuare pagamenti"; "intermediare tra società del gruppo l'acquisizione dei diritti televisivi"; "ricevere fondi da terzi per finanziare operazioni di Fininvest effettuate per conto di terzi". È il disvelamento non di un episodio illegale, ma di un metodo illegale di lavoro, dello schema imprenditoriale illecito che è a fondamento delle fortune di Silvio Berlusconi. Per dirla tutta, e con il senno di poi, sedici processi per venire a capo di quel grumo di illegalità oggi appaiono addirittura un numero modesto. Nel "group B very discreet della Fininvest" infatti si costituiscono fondi neri (quasi mille miliardi di lire). Transitano i 21 miliardi che rimunerano Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi in Cct destinati alla corruzione del Parlamento che approva quella legge; la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (gli consegnano la Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. E c'è altro che ancora non sappiamo e non sapremo?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Tutti i processi che Berlusconi ha affrontato e deve ancora affrontare nascono per caso non per un deliberato proposito. Un finanziere che confessa, un giovane avvocato che si libera del peso che incupisce i suoi giorni consentono di mettere insieme indagine dopo indagine, ineluttabili per l'obbligatorietà dell'azione penale, una verità che il capo del governo non potrà mai ammettere: il suo successo è stato costruito con l'evasione fiscale, i bilanci truccati, la corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa. Per Berlusconi, la banalizzazione della sua storia giudiziaria, che egli traduce e confonde in guerra alla (o della) magistratura, non è il conflitto della politica contro l'esercizio abusivo del potere giudiziario, ma il disperato e personale tentativo di cancellare per sempre le tracce del passato e di un metodo inconfessabile. Con quali tecniche Berlusconi ha combattuto, e ancora affronterà, questa contesa è un'altra storia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica </span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">(20 novembre 2009) </span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-6736430856583691252009-11-19T23:41:00.004+01:002009-11-19T23:49:23.858+01:00La dignità delle donne, oggi?<span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">L'incontro sabato 21 alla Casa internazionale delle donne</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Un'occasione per riflettere sulla molteplicità delle esperienze femminili</span><br /><span style="font-size:180%;"><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/donne-realta/donne-realta/donne-realta.html">Forum delle Donne della realtà<br />Basta agli stereotipi dei media<br /></a></span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">ROMA - Dove sono finite le donne "vere", quelle che popolano la realtà, e non le loro sosia che dominano giornali e televisioni? Parte da questa domanda il prossimo incontro organizzato dal gruppo "Donne della realtà" presso la Casa internazionale delle donne a Roma, in via della Lungara 19.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Il punto di partenza delle organizzatrici è ben sintetizzato dal nome che il gruppo ha scelto di darsi: "Donne della realtà", in contrapposizione con i finti stereotipi proposti dal sistema mediatico. Sui giornali e nei media italiani, sempre più spesso il modello femminile dominante è quello di una donna che sembra avere come unico obiettivo la seduzione del maschio più ricco e potente possibile. Così facendo, si perdono di vista le donne "reali", che hanno ben altro in testa rispetto a "sposare il figlio del Premier".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Il forum pubblico, previsto per sabato 21 novembre dalle ore 17, ha l'obiettivo di parlare delle "altre donne", per interrogarsi su come i media possano ridare visibilità alla molteplicità delle esperienze femminili e recuperare un ruolo di analisi e critica nei confronti dei fatti di cronaca. Si tratta del secondo incontro delle "Donne della realtà", dopo quello che si è svolto a Milano il 5 ottobre scorso con la presenza di oltre 200 persone.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">All'incontro di sabato aderiranno molte giornaliste e personalità del mondo della cultura. Si inizierà con una relazione introduttiva di Chiara Volpato, docente di Psicologia sociale alla Bicocca di Milano, e della filosofa Michela Marzano, firmataria insieme a Nadia Urbinati e Barbara Spinelli dell'appello di Repubblica per la dignità delle donne. Nel corso del forum verranno proiettate anche alcune gallerie fotografiche delle donne "offese dal Premier" che hanno inviato i loro scatti al nostro sito.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Tra le altre, sono invitate all'incontro il direttore del Tg3, Bianca Berlinguer, il presidente del Pd, Rosy Bindi, il segretario confederale della Cgil, Susanna Camusso, il direttore dell'Unità, Concita De Gregorio, il direttore dell'Espresso, Daniela Hamaui, il direttore del Secolo d'Italia, Flavia Perina, il segretario generale della Ugl, Renata Polverini, la scrittrice Lidia Ravera, il presidente della Cpo della Fnsi, Lucia Visca.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">(19 novembre 2009) </span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-48178027880740812402009-11-19T12:47:00.004+01:002009-11-19T12:54:34.934+01:005 dicembre: No B day<span style="font-weight: bold;font-size:100%;" ><a href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-17/no-b-day-19/no-b-day-19.html"><span style="font-size:180%;">No-B day, niente interventi dei leader. I blogger: con la Costituzione e Napolitano</span><br />di CARMELO LOPAPA</a><br /></span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 102, 0);">ROMA - I politici giù dal palco. Voce a costituzionalisti e studenti, immigrati e intellettuali, licenziati e precari, ai ragazzi di Corleone. Sullo sfondo, la difesa della Costituzione e del presidente della Repubblica. E poi musica, artisti di strada e carri allegorici. Le segreterie dei partiti che aderiscono al "NoBerlusconiday" ci hanno provato a "imporre" l'intervento dei loro leader. Ma nel vertice organizzativo di ieri pomeriggio l'hanno spuntata i giovani blogger del comitato promotore che la manifestazione del 5 dicembre a Piazza del Popolo hanno ideato e programmato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 102, 0);">"Dato che il filo conduttore sarà il no-Berlusconi, la presenza sul palco di Antonio Di Pietro ci sembrava naturale e scontata, al di là del suo ruolo di politico" racconta Paola Calorenne, responsabile giovani dell'Idv e trait d'union con gli organizzatori. "Alla fine si è deciso che nessun politico salirà sul palco. Ma saranno ammesse le bandiere e i gazebo. Noi con i nostri per la raccolta firme su acqua pubblica, no al processo breve e al nucleare". Il portavoce del "Noberlusconiday", Massimo Malerba, può cantare vittoria: "Non avremmo mai consentito la presenza di politici sul palco, avrebbe caratterizzato la manifestazione e noi non lo vogliamo. La Costituzione e il presidente della Repubblica sono il nostro unico baluardo. È in difesa dell'una e dell'altro che ci stiamo mobilitando".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 102, 0);">La scaletta decisa per il 5 dicembre fissa sei "emergenze" da affrontare: ambiente, legalità e giustizia, etica politica, lavoro-formazione-ricerca, diritti della persona e infine informazione e rete. Per ciascun tema, un intervento e una testimonianza. Tra gli altri, padre Alex Zanotelli e i ragazzi di "No Ponte" (tra un mese l'ipotetica prima pietra). Inviti ai costituzionalisti Domenico Gallo e Tania Groppi e al giornalista di El Pais Miguel Mora. E poi, Antonio Tabucchi e un operaio dell'Eutelia, uno studente in lotta contro la riforma Gelmini. Ma la manifestazione è ancora un cantiere. Crescono di ora in ora le adesioni degli artisti. Ascanio Celestini, Andrea Rivera, Antonio Troìa e poi alcuni dei gruppi che si esibiranno: Ratti della Sabina, Skiantos, Adriano Bono, Killer sound e tanti altri. Una cinquantina i pullman prenotati finora dall'Idv, oltre al centinaio dai promotori, il Prc conta di portare almeno un migliaio di persone dietro lo striscione "Contro Berlusconi e la repressione", curato da Italo Di Sabato: "Già più di duemila iscritti al gruppo su Facebook". E il segretario Paolo Ferrero: "Ci saremo anche contro lo scempio della vendita dei beni confiscati alla mafia". In piazza anche i Verdi, annuncia il neopresidente Angelo Bonelli, per dire no al nucleare, alla privatizzazione dell'acqua e ai processi brevi, raccoglieremo anche noi le firme per i referendum".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 102, 0);">"Basta esitazioni, tutti in piazza", è l'appello che dal sito MicroMega rivolgono al Pd Lidia Ravera, Moni Ovadia e Furio Colombo: "È in gioco la democrazia". La segreteria Bersani resta ferma sul no. Di certo, tra i democratici parteciperanno Ignazio Marino e Debora Serracchiani: "Legittimo manifestare, io ci sarò, a titolo personale, ma andrei via qualora emergessero critiche al capo dello Stato", dice Marino. È scettico sulla partecipazione il giurista Gustavo Zagrebelsky, di Libertà e Giustizia. "Finora, siamo sempre intervenuti su problemi, la parola d'ordine della manifestazione invece è un attacco alla persona B. Poi, avverto un pericolo. Sarà un'ossessione, ma il rischio di qualche provocazione organizzata ad arte per approfittarne mi pare avvicinarsi, tanto più in quanto la prospettiva delle elezioni anticipate si faccia concreta".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica </span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">(19 novembre 2009)</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-86592485643380014482009-11-18T12:49:00.007+01:002009-11-18T13:21:02.264+01:00Se paghi... la tua vita viaggia leggera. La giustizia è solo un intralcio alla libertà!<span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">L'inchiesta/1. Sbalorditivo il silenzio di chi si batte per il Sistema Italia:</span><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);"> dagli imprenditori ai sindacati, alle associazioni di risparmiatori e consumatori</span><br /><span style="font-size:180%;"><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-17/corruzione-costi/corruzione-costi.html">La corruzione costa 25mila euro a testa ma in Italia non è un reato grave<br /><span style="font-size:85%;">di GIUSEPPE D'AVANZO</span></a></span><span style="font-size:100%;"><br /></span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Paese meraviglioso l'Italia. Quando non si acceca da solo, chiude gli occhi. Il frastuono politico assorda e il rumore mediatico lascia nascosta qualche verità e - in un canto - fatti che, al contrario, meritano molta luce e l'attenzione dell'opinione pubblica.<br />La disciplina del "processo breve" ce l'abbiamo sotto gli occhi e vale la pena di farci i conti, senza lasciarci distrarre da ingenui e imbonitori. Qualche punto fermo.<br />Il disegno di legge pro divo Berluscone non rende i processi rapidi (è una cristallina scemenza). Quel provvedimento fabbrica una prescrizione svelta e improvvisa come un fulmine che uccide.<br />Solitamente, a fronte dei reati più gravi, uno Stato responsabile - e leale con i suoi cittadini - si concede un tempo adeguato per accertare il reato e punire i responsabili (la prescrizione non è altro). Più grave è il reato, più problematico e laborioso il suo accertamento, maggiore è il tempo che lo Stato si riconosce prima di considerare estinto il delitto. Le regole della prescrizione svelta e assassina (dei processi) capovolgono questo criterio di efficienza e buon senso.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Più grave è il reato, minore è il tempo per giudicarlo. I magistrati avranno tutto il tempo per processare uno scippatore e tempi contingentati per venire a capo, per dire, di abuso d'ufficio, frodi comunitarie, frodi fiscali, bancarotta preferenziale, truffa semplice o aggravata: quel mascalzone di Bernard Madoff, che ha trafugato 50 miliardi di dollari ai suoi investitori, ne gioirebbe maledicendo di non essere nato italiano.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Ora il disegno di legge potrà essere corretto e limato ma - statene certi - non potrà mai lasciare per strada la corruzione propria e impropria perché Silvio Berlusconi, imputato di corruzione in atti giudiziari e con il corrotto già condannato in appello (David Mills), ha bisogno di quel "salvacondotto" per levarsi dai guai. Un primo risultato si può allora scolpire nella pietra: l'Italia è il solo Paese dell'Occidente che considera la corruzione un reato non grave e dunque, se le parole e le intenzioni hanno un senso, una pratica penalmente lieve, socialmente risibile, economicamente tranquilla.<br />Nessuno pare chiedersi se ce lo possiamo permettere; quali ne saranno i frutti; quali i costi economici e immateriali; quale il futuro di un Paese dove "corrotto" e "corruttore" sono considerati attori sociali infinitamente meno pericolosi di "scippatore", "immigrato clandestino", "automobilista distratto", e la corruzione così inoffensiva da meritare una definitiva depenalizzazione o una permanente amnistia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Il silenzio su questo aspetto decisivo della "prescrizione svelta", inaugurata dalla "legge Berlusconi", è sorprendente. È sbalorditivo che il dibattito pubblico sul minaccioso pasticcio, cucinato dagli avvocati del premier nel suo interesse,<span style="font-size:130%;"> non veda protagonisti anche la Confindustria, chi ha cara la piccola e media impresa, i sindacati, gli economisti, le autorità di controllo del mercato e della concorrenza, le associazioni dei risparmiatori e dei consumatori, i ministri del governo che ancora oggi si dannano l'anima per dare competitività al "sistema Italia".</span><br />Come se il circuito mediatico e "pubblicitario" del presidente del consiglio fosse riuscito a gabellare per autentica la storia di un ennesimo conflitto tra politica e giustizia, e dunque soltanto affare per giuristi, toghe e giornalisti. Come se questo progetto criminofilo non parlasse di sviluppo e arretratezza; di passato e di futuro; di convivenza civile, organizzazione sociale, legittimità delle istituzioni, trasparenza dell'azione dei policy maker; di competitività e <span style="font-size:130%;">credibilità internazionale del Paese.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">È stupefacente questo silenzio perché ognuno di noi paga ancora oggi e pagherà domani, con l'ipoteca sul futuro di figli e nipoti, il prezzo della corruzione del passato, quasi sette punti di prodotto interno lordo ogni anno, 25mila euro di debito per ciascun cittadino della Repubblica, neonati inclusi.<br /><span style="font-size:130%;">Settanta miliardi di euro di interessi passivi, sottratti ogni anno alle infrastrutture, al welfare, alla formazione, alla ricerca. </span><br />È una condizione che corifei e turiferari, vespi e minzolini, occultano all'opinione pubblica.<br />È necessario qualche ricordo allora per chi crede al "colpo di Stato giudiziario", alla finalità tutta politica dell'azione delle procure, favola ancora in voga in queste ore nel talk-show influenzati dal Cavaliere.<br /><br /><span style="font-size:130%;">Quando Mani Pulite muove i suoi primi passi, il giro di affari della corruzione italiana è di diecimila miliardi di lire l'anno, con un indebitamento pubblico tra i 150 e il 250 mila miliardi più 15/25 miliardi di interessi passivi.<br />L'abitudine alla corruzione cancella ogni sensibilità del ceto politico per i conti pubblici. Inesistente negli anni sessanta, il debito cresce fino al 60 per cento del prodotto interno lordo negli anni ottanta. Sale al 70 per cento nel 1983. Tocca il 92 per cento nei quattro anni (1983/1987) di governo Craxi, per chiudere alla vigilia di Mani Pulite, nel 1992, al 118 per cento.</span><br />Non c'è dubbio che, in quegli anni, una maggiore attenzione della magistratura alla corruzione, e la consapevolezza sociale del danno che produce, favorisce il parziale rientro dal debito, utile per adeguarsi ai parametri di Maastricht. Di quegli anni - 1993/1994 - è infatti il picco di denunce dei delitti di corruzione. Con il tempo, la tensione si allenta. <span style="font-size:130%;">Lentamente la curva dei delitti denunciati decresce e nel 2000 torna ai livelli del 1991, quelli antecedenti all'emersione di Tangentopoli. </span><br />Negli anni successivi la legislazione ad personam (taglio dei tempi di prescrizione per i reati economici, dalla corruzione al falso in bilancio), i condoni fiscali, le difficoltà della legge sul "risparmio" (in realtà sulla governance) chiudono il cerchio e una stagione.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Da qui, allora, occorre muovere per comprendere e giudicare un progetto che può spingere l'Italia, <span style="color: rgb(255, 255, 255);font-size:130%;" >nell'interesse di uno,</span> <span style="font-size:130%;">in prossimità di una condizione da "paese emergente".</span><br />Perché la difficoltà della nostra storia recente nasce nel fondo oscuro della corruzione. Tirarsene fuori è una necessità <span style="font-size:130%;">in quanto c'è </span>- non è un segreto, anche se è trascurato dal discorso pubblico e dai cantori dell'Egoarca - <span style="font-size:130%;">una simmetria perfetta tra la corruzione e le criticità per la società e il Paese.<br /></span>Mercati dominati da distorsioni e "tasse immorali" (60 miliardi di euro ogni anno per la Corte dei Conti) garantiscono benefici soltanto agli insiders della combriccola corruttiva. <span style="font-size:130%;">Oltre a perdere competitività, i mercati corrotti non attraggono investimenti di capitale straniero e sono segnati da una bassa crescita</span> (troppe barriere all'entrata, troppi rischi di investimento).<br /><span style="color: rgb(255, 255, 255);font-size:130%;" >Non c'è studio o analisi che non confermi la relazione tra il grado di corruzione e la crescita economica, soprattutto per quanto riguarda le medie e piccole imprese che sono il nocciolo duro della nostra economia reale.</span> <span style="font-size:130%;">Infatti, le piccole e medie imprese </span>- si legge nella relazione parlamentare che ha accompagnato la ratifica della convenzione dell'Onu contro la corruzione diventata legge il 14 agosto del 2009 - , <span style="font-size:130%;">"oltre a non avere i mezzi strutturali e finanziari delle grandi imprese (che consentono loro interventi diretti e distorsivi) risultano avere meno peso politico e minori disponibilità economiche per far fronte alla richiesta di tangenti".</span><br />La corruzione diventa un costo fisso per le imprese e un onere che incide pesantemente nelle decisioni di investimento. <span style="font-size:130%;">Sono costi, per le piccole e medie imprese, che possono essere determinanti per l'entrata nel mercato, così come possono causarne l'uscita dal mercato</span>. E in ogni caso sono costi che hanno rilevanti ricadute su altri fronti: ricerca, innovazioni tecnologiche, manutenzione, sicurezza personale, tutela ambientale.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Per queste ragioni, la corruzione dovrebbe trovare una sua assoluta priorità nell'agenda politica e gli italiani se ne rendono conto anche se magari non sanno, come ha scritto il ministro Renato Brunetta, che il balzello occulto della corruzione "equivale a una tassa di mille euro l'anno per ogni italiano, neonati inclusi".<br />Secondo Trasparency International, un organismo "no profit" che studia il fenomeno della corruzione a livello globale,<span style="font-size:130%;"> il 44 per cento degli italiani crede che la corruzione "incide in modo significativo" sulla sua vita personale e familiare; per il 92 per cento nel sistema economico; per il 95 nella vita politica; per il 85 sulla cultura e i valori della società. Più del 70 per cento della società ritiene che nei prossimi anni la corruzione sia destinata a non diminuire.</span></span><span style="font-size:130%;"><br /></span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);">Il disastroso quadro nazionale è noto agli organismi internazionali. È di questi giorni il rapporto del Consiglio d'Europa sulla corruzione in Italia.<br /><span style="font-size:130%;">Il Consiglio rileva che in Italia i casi di malversazione sono in aumento; che le condanne sono diminuite; i processi non si concludono per le tattiche dilatorie che ritardano i dibattimenti e favoriscono la prescrizione; la normativa è disorganica; la pubblica amministrazione ha una discrezionalità che confina con l'arbitrarietà.</span><br />Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa (Greco) ha inviato all'Italia 22 raccomandazioni di stampo amministrativo (introduzione di standard etici, per dire), procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) normative (nuove figure di reato).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(0, 204, 204);"><span style="font-size:130%;">La risposta alle preoccupazioni della comunità internazionale - che appena al G8 dell'Aquila ha sottoscritto il dodecalogo dell'Ocse per un global legal standard (peraltro fortemente voluto da Tremonti) - è ora nel disegno di legge della "prescrizione svelta". La corruzione è trascurabile.</span> <span style="color: rgb(255, 255, 255);">Non è il piombo sulle ali dell'economia italiana. Non è la tossina che avvelena il metabolismo della società italiana. Non è il muro che ci impedisce di scorgere il futuro.</span><br /><span style="font-size:130%;"><span style="color: rgb(204, 51, 204);">È un grattacapo del capo del governo. Bisogna eliminarlo anche al prezzo di non avere più un futuro per l'Italia intera. </span></span><br />Dove sono in questo piano inclinato "gli uomini del fare" che credono nella loro impresa, nel merito, nel mercato, nella concorrenza? E perché tacciono?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(0, 204, 204);">© Riproduzione riservata - La Repubblica<br /></span><span style="font-style: italic;">(18 novembre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-40980529656282822962009-11-17T13:26:00.005+01:002009-11-17T15:30:37.080+01:00Che fine ha fatto quest'anno l'8 per mille degli italiani destinato allo Stato?...sono 43 milioni 969 mila 406 euro<span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">A chiese e luoghi di culto 29 milioni dei 44 che i contribuenti avevano deciso di devolvere all'erario. I dubbi del Parlamento</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://http//www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/otto-per-mille/otto-per-mille/otto-per-mille.html"><span style="font-size:180%;">L'otto per mille destinato allo Stato finisce a parrocchie e monasteri</span><br />di CARMELO LOPAPA</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">ROMA - Pontificia Università Gregoriana in Roma, 459 mila euro. Fondo librario della Compagnia di Gesù, 500 mila euro. Diocesi di Cassano allo Ionio, 1 milione 146 mila euro. Confraternita di Santa Maria della Purità, Gallipoli, 369 mila euro. L'elenco è lungo 17 pagine e porta in calce la firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Non si tratta di uno dei tanti decreti, ma quello che ripartisce per il 2009 i 43 milioni 969 mila 406 euro che gli italiani hanno destinato allo Stato in quota 8 per mille dell'Irpef. Basta sfogliarlo per scoprire che confraternite, monasteri, congregazioni e parrocchie assorbono la quota prevalente di quanto i contribuenti avevano devoluto a finalità umanitarie o per scopi di assistenza e sussidi al volontariato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">E invece? Succede che i 10 milioni 586 mila euro assegnati al capitolo "Beni culturali" sono finalizzati in realtà a restauri e interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici. Opere che avrebbero tutte le carte in regola per usufruire della quota dell'8 per mille destinata alla Chiesa cattolica, col suo apposito fondo "edilizia di culto". Come se non bastasse, la medesima destinazione (chiese e parrocchie) hanno anche gli altri 19 milioni destinati alle aree terremotate del centro Italia (14 per l'Abruzzo).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">"L'atto del governo n. 121" è stato predisposto ai primi di settembre da un presidente Berlusconi reduce dall'incidente diplomatico del 28 agosto con la Segreteria di Stato Vaticano. Sullo sfondo, la (mancata) Perdonanza dopo il caso Giornale-Boffo. Il documento, poi trasmesso alla Camera il 23 settembre, conferma intanto che i soldi vanno allo Stato ma entrano di diritto nella piena discrezionalità del capo del governo, per quanto attiene al loro utilizzo. È un atto "sottoposto a parere parlamentare" delle sole commissioni Bilancio. Quella della Camera lo ha già espresso, "positivo", il 27 ottobre, quella del Senato lo farà nei prossimi giorni. Eppure, anche la maggioranza di centrodestra della commissione Bilancio di Montecitorio ha lamentato le finalità distorte e ha condizionato il parere finale a una serie di modifiche, contestando carenze e incongruenze del decreto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Tra le più sorprendenti, quella che riguarda la "Fame nel mondo", "alla quale nel decreto vengono attribuite risorse finanziarie alquanto modeste, a fronte di richieste di finanziamento di importo limitato che avrebbero potuto essere integralmente accolte". Insomma: governo ingeneroso verso i bisognosi. In effetti, ultima pagina, al capitolo "Fame nel mondo", sono solo dieci le onlus e associazioni finanziate per 814 mila euro, pari al 2 per cento del totale.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Tutto il resto? A chi sono andate le quote parte dell'Irpef che gli italiani hanno devoluto allo Stato? La parte del leone quest'anno la fanno gli "interventi per il sisma in Abruzzo". Sono 32 e assorbono 14 milioni 692 mila euro. Ma il condizionale è d'obbligo. A parte la preponderanza anche qui di parrocchie e monasteri (la quasi totalità) tra l'Aquila, Pescara e Teramo, tuttavia altro non quadra. E a rivelarlo è proprio la commissione parlamentare presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti: "Le richieste di finanziamento relative all'Abruzzo risultano presentate in data antecedente al sisma dell'aprile 2009 ed appare quindi opportuna una puntuale verifica e un coordinamento con gli interventi previsti dopo il sisma".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">L'ammonimento è chiaro: quei beni finanziati in Abruzzo non sarebbero stati danneggiati dal terremoto del 6 aprile, non quanto altri almeno. Perché dunque si dirotta lì un quinto dell'intera quota dell'8x1000? Il sisma del dicembre 2008 in Emilia garantisce a 9 tra parrocchie e monasteri del Parmense altri 4 milioni, mentre 11 milioni sono parcellizzati per i danni delle restanti calamità in tutta Italia.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 255);">Ma ecco il punto. Oltre 10 milioni finiscono ad appannaggio dei Beni culturali. Ventisei tra consolidamenti e restauri, quasi tutti per diocesi, chiese, parrocchie, monasteri. Solo per restare alle cifre più consistenti, ecco il milione 314 mila euro per la cattedrale dell'Assunta di Gravina di Puglia, il milione 167 mila euro per il restauro degli affreschi della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, oppure i 987 mila euro per il restauro di Santa Maria ad Nives di Casaluce (Caserta), i 579 mila euro per San Lorenzo Martire in Molini di Triora o i 413 mila euro per la "valorizzazione della chiesa San Giovanni in Avezzano". E poi, la Pontificia Università Gregoriana e la Compagnia di Gesù. Anche su questo capitolo le bacchettate del Parlamento: la priorità dovevano essere "progetti presentati da enti territoriali", non ecclesiastici. Ci sarebbe anche il capitolo "Assistenza ai rifugiati", al quale però, per il 2009, il decreto firmato dal premier Berlusconi destina 2,6 milioni, poco più del 5 per cento del totale. E quasi tutto (2,3 milioni) va al solo Consiglio italiano per i rifugiati. Concentrazione "non opportuna", censura infine la commissione Bilancio: "Altri progetti non finanziati risultavano meritevoli di attenzione".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata</span> <span style="font-style: italic;">(17 novembre 2009) </span>da:La Repubblica<span style="font-style: italic;"><br /></span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-74457955636844106912009-10-30T14:59:00.004+01:002009-10-30T15:09:42.907+01:00Una favola per combattere<span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Il nuovo romanzo di Silvana De Mari, chirurgo e scrittrice</span><br /><span style="font-style: italic; font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">"Finché esiste la mutilazione sessuale non ci si può occupare d'altro"</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/spettacoli_e_cultura/passaparola-2009-5/scrittrice-chirurgo/scrittrice-chirurgo.html"><span style="font-size:180%;">Il Gatto dagli occhi d'oro che combatte l'infibulazione</span><br />di SILVANA MAZZOCCHI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">E' STATA medico chirurgo e oggi si occupa di psicoterapia, ma è anche autrice apprezzata di letteratura fantastica dedicata ai ragazzi, per poter affrontare (con leggerezza) il male del mondo e per parlar loro d'amore, speranza e valori positivi. Silvana De Mari, ha vinto in passato premi prestigiosi e torna ora con un nuovo romanzo che racconta agli adolescenti gli orrori dell'infibulazione inflitta ancora oggi a tante bambine e a tante donne in omaggio a religione o cultura, ma all'unico scopo di privarle di ogni piacere.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Una storia scritta perché, sottolinea de Mari, "finché esiste l'infibulazione, non ci si può occupare d'altro". Così combattere tanta atrocità è diventata la sua battaglia e la scrittura la sua arma. A lei, che è stata medico volontario in Etiopia, è capitato di dover curare donne sfregiate, uccise dal dolore e Il gatto dagli occhi d'oro, dedicato ad Ayaan, "bambina torturata, regina guerriera", è il tributo con cui la scrittrice-medico intende preservare la memoria e aprire una nuova stagione d'impegno contro ogni mutilazione sessuale.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Libro sull'infibiluazione, ma non solo, Il gatto dagli occhi d'oro, da qualche giorno in libreria per Fanucci , è un romanzo che è sorprendentemente "leggero", magico, quasi una favola perfetta per i ragazzi, ma anche per gli adulti perché racconta la realtà senza sconti, e lo fa attraverso la lente del fantastico, schiudendo una porta alla speranza.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">E' la storia di Leila, ragazzina italiana, povera , solare e intelligente che, con curiosità, ironia, e perfino con allegria, vive la sua vita quotidiana. Abita con la madre in una baracca, nei pressi di una palude; frequenta però una scuola borghese dove, fin dal primo giorno, viene emarginata e umiliata. Ma lei ha voglia di imparare , è ottimista e non si fa piegare: accoglie un cane trovatello che si rivelerà la sua fortuna e legge tutti i libri che le passa Fiamma, la prima della classe a cui è legata da sincera simpatia, per poi girarli ai suoi amici delle paludi, soprattutto a Maryam, la sua amica del cuore, musulmana e povera come lei.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Ed è proprio Maryam che un giorno la madre e le sorelle immobilizzano, per sottoporla allo sciagurato rito dell'infibulazione.... finché, come favola insegna, l'amicizia e la solidarietà avranno la meglio e salveranno la piccola musulmana dal suo destino, rendendo migliore la vita di tutti. Un libro da regalare ai figli, ai fratelli, ma anche una buona lettura per gli adulti perché Il gatto dagli occhi d'oro tocca il cuore e parla d'integrazione, d'amore e di solidarietà con una semplicità che incanta. Il che, di questi tempi, non è poco.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Lei è medico chirurgo, ha lavorato in Etiopia, e scrive libri per ragazzi. Perché?</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">"Perché la narrativa per ragazzi è appunto per ragazzi e i ragazzi sono straordinari. Gli adulti non sempre, non tutti, qualcuno si è un po' ammaccato lungo la via, ha perso lo smalto o si è dimenticato di averne. E' una narrativa epica, l'unica che vada per i massimi sistemi, l'unica che osi porsi interrogativi su Dio e sulla Morte, e osi addirittura dare risposte. È in realtà, sempre, narrativa "anche" per ragazzi, perché un libro che è buono a dodici anni è buono anche a sessanta, mentre non è sempre valido il contrario. Perché i libri per ragazzi devono avere imperativamente due caratteristiche, velocità del ritmo e fede nella vita, la coscienza che qualsiasi cosa succeda, la vita è sorprendente ed essere vivi e un dono. Non tutti possono fare lo scrittore di libri per ragazzi, come non tutti possono fare il giardiniere o il pasticciere. E poi ci sono un altro paio di pregi nell'essere un autore per persone molto giovani. Il libro che abbiamo letto a dieci anni, ci resta dentro, va a far parte delle fondamenta del sistema cognitivo e le fondamenta sono quello che resta sempre, lo ricordiamo tutta la vita e, infine, c'è un quantitativo di affetto e di tenerezza enormi che abbiamo solo noi. Io ho un armadio pieno di disegni con i personaggi dei miei libri che mi sono stati regalati, e qualcuno è arrivato dall'altra parte del mondo. Ogni tanto li tiro fuori e li guardo. Sono perfetti in quelle giornate un po' sospese, quando il raffreddore o il 38 di febbre mi rinchiudono a casa. Uno scrittore "per adulti " , o, meglio, solo per adulti, l'armadio di disegni, se lo sogna, e per il 38 di febbre ha solo l'aspirina".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Il Gatto dagli occhi d'oro racconta l'atrocità dell'infibulazione ...</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">"Come facciamo ad occuparci di altro fino a che l'infibulazione esiste? Il fantasma dell'infibulazione c'era già ne Gli Ultimi incantesimi, nascosto dentro l'incantesimo dell'idrargirio. Ho visto per la prima volta un'infibulazione all'ospedale di Bushulo, in Etiopia, un posto bellissimo sulle rive di un lago circondato da canneti. Le sale operatorie erano sale operatorie african style, vale a dire un unico stanzone con quattro lettini e grandi finestre chiuse da zanzariere. A causa della infibulazione rifatta dopo il parto, una giovane donna non riusciva più ad espellere il sangue mestruale. Era stato lasciato un orifizio, ma la suppurazione che era seguita aveva causato un edema, in altre parole un gonfiore ai tessuti, e l'edema aveva chiuso l'orifizio. Il sangue mestruale non potendo defluire era rimasto a stagnare trasformando la vagina in una sacca piena di sangue, che a causa della presenza di batteri era "marcito", la vagina era diventata una boccia che premendo sulla vescia le impediva di svuotarsi e la vescica era diventata enorme. Io dovevo svuotare la vagina, riaprendo per l'ennesima volta la vulva di quella povera donna. Era uscito il sangue, nerastro, infetto, con un odore nauseabondo e a quel punto gli avvoltoi attirati dall'odore di morte erano venuti a sbattere contro le zanzariere. La donna sarebbe morta da lì a poco per infezioni urinarie ricorrenti e insufficienza renale. Mentre cercavo di evacuare il più possibile di quella roba nerastra, mentre gli avvoltoi alle mie spalle si avventavano contro le zanzariere, pazzi per quell'odore di morto, di putrefatto, che invece veniva da ventre vivo di una donna, io ho giurato che avrei combattuto per le donne e le bambine. La mia battaglia comincia oggi, con questo libro, e non si fermerà fino a quando le mutilazioni sessuali esisteranno. È una battaglia per il sorriso: a ogni donna deve essere garantito il diritto inalienabile di sorridere".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Quale tipo di letteratura è utile per far conoscere ai ragazzi la parte oscura del mondo?</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">"La narrativa fantastica, sempre, da sempre, per sempre è quella che contiene i mostri. Quando qualcosa è troppo atroce per guardarlo in faccia, lo mettiamo nella narrativa fantastica. Una caratteristica della letteratura fantastica è contenere elementi fiabeschi, qualche scintilla di magia. In realtà la magia, non è infantile. La magia sostituisce in campo letterario un'altra parola che comincia per m, cioè miracolo, e altro non esprime che il nostro struggente desiderio di poter contare su una provvidenza che vegli su di noi, e che di tanto in tanto violi le leggi della natura per darci una mano. Questo ci permette di parlare di qualsiasi argomento, qualsiasi, con un tono di leggerezza, parola incantevole, che non ha niente a che vedere con superficialità. L'incantevole fiaba di Pelle d'Asino parla dell'incesto, Hansel e Gretel e Pollicino del cannibalismo: durante le grandi carestie, nella guerra dei trent'anni i Germania, in Ucraina nel 32 sotto Stalin, prima di morire di fame, la gente , mangiava i cadaveri. Il cannibalismo è un tabù assoluto, non è stato raccontato, è stato negato, ma è rimasto incastonato nelle fiabe. Le grandi fiabe classiche contengono la persecuzione del bambino, l'indicibile, ne Il Piccolo Principe e in Peter Pan, c'è l'insopportabile, la morte del bambino, la morte del figlio. Il Fantasy contiene una paura recenteissima, la paura della fine del mondo dovuta al formarsi di totalitarismi mai visti prima. Nella letteratura fantastica noi mettiamo i mostri che non osiamo guardare in faccia, perché una volta coperti di polverina d'oro e di colore, smettono di terrorizzarci e noi impariamo a fronteggiarli. È per questo che madre natura (Dio?) ha messo dentro ad un'area specifica del nostro cervello questa curiosa capacità, provare piacere, un piacere basato sulle endorfine, nell'ascoltare una storia che non è mai successa. Noi dobbiamo credere nella fiabe, perché dicono la verità: dicono che gli orchi esistono e che possono essere battuti. Dicono che gli orchi esistono e possono essere salvati".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(255, 204, 51);">Silvana De Mari</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(255, 204, 51);">Il gatto dagli occhi d'oro</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(255, 204, 51);">Fanucci editore</span><br /><span style="font-weight: bold;"></span><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-style: italic;">(30 ottobre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-45360057017931729012009-10-30T10:26:00.000+01:002009-10-30T15:32:31.772+01:00Ricatto non fuL'INCHIESTA.<br /><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Nella Procura di Roma si valuterà pure la ricettazione</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">L'irruzione avviene il 3 luglio, e già l'11 il filamto viene messo in vendita</span><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-caso/video-davanzo/video-davanzo.html"><span style="font-size:180%;">Per troppo tempo quel video di Marrazzo<br />custodito nelle stanze di Berlusconi</span><br />di GIUSEPPE D'AVANZO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Ricatto a Marrazzo. La fonte vicina all'inchiesta non ci gira intorno: "Non c'è alcun altro politico di destra o di sinistra, ministro in carica, ministro uscente, professionista celebre o ignoto, "Chiappe d'oro" o d'argento nella nostra indagine". Forse salteranno fuori domani o forse mai. Per intanto, si deve dire che il vivamaria di indiscrezioni e nomi sussurrati che avvelenano o eccitano il Palazzo appare soltanto un efficace lavoro per confondere l'affaire. Che ha due capitoli. Il primo è noto. All'unisono tutti - una volta tanto - chiedono che sia chiuso con le dimissioni di Marrazzo. Riguarda le debolezze private del governatore, la leggerezza di un uomo pubblico che, ricattato, non denuncia il ricatto e, scoperto il ricatto, mente o dissimula nella scriteriata speranza di salvare il collo e la reputazione. Ma fu vero ricatto o Marrazzo può avere qualche ragione se ha creduto, per quasi quattro mesi, di essere stato vittima di una rapina e non di un'estorsione?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Bisogna allora leggere il secondo capitolo della storia dove la trama degli eventi è sconnessa, la successione contraddittoria, le volontà e le azioni senza senso. Tre carabinieri, tre tipi sinistri, con la complicità di un pusher tossicomane (Gianguarino Cafasso), penetrano con la forza in un appartamento dove il governatore è in compagnia di un viado. Lo sbattono contro un muro. Lo obbligano a sfilarsi i pantaloni (è l'ultima versione di Marrazzo). Sistemano un palcoscenico con trans scollacciato, denaro, cocaina, tessera dell'"Associazione nazionale esercenti cinema" con foto. Riprendono la scena con un cellulare. Gli svuotano il portafoglio (2.000 euro). Lo obbligano a firmare tre assegni per 20 mila euro (che non incassano). Se ne vanno. È il 3 luglio, venerdì. Già qualche giorno dopo, l'11 luglio, il pusher tossicomane contatta, attraverso il suo avvocato, la redazione di Libero (diretto da Vittorio Feltri). È bizzarro un ricatto con i ricattatori che non provano nemmeno a spillare denaro alla vittima, ma si preoccupano subito di rendere inutilizzabile l'arma minacciosa che si sono procurati. Perché? La ragione ce l'abbiamo sotto gli occhi: Piero Marrazzo non è stato mai ricattato dai carabinieri. Quelle canaglie non ci hanno mai pensato. Avrebbero dovuto comportarsi in un altro modo. Hanno il governatore nelle loro mani, troppo terrorizzato per denunciarli. Possono mettersi comodi e spremerlo per bene, e a lungo, ottenendo denaro e favori. Con tutta evidenza, non è questa la loro missione. Non chiedono niente, non vogliono niente, non si fanno mai vivi per batter cassa. Il lavoro sporco che devono sbrigare è un altro: incastrare il governatore e "sputtanarlo". Ecco perché cercano di vendere subito il video. L'iniziativa, a tutta prima, appare stupida, incomprensibile, se parliamo di estorsione. Si rivolgono all'agenzia PhotoMasi di Milano. Non ha torto Carmen Masi a chiedersi oggi: "Quale ricattatore cerca di rendere pubblico l'oggetto del ricatto? È assurdo". Infatti, lo è. Hai un bottino che può durare nel tempo e lo trasformi in un piatto di lenticchie mangiato una volta e per sempre?</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Chi sono allora questi furfanti vestiti da carabinieri? Bisogna chiederlo alla fonte vicina all'inchiesta. Quello si gratta la testa e dice: "Ce ne occuperemo a tempo debito. Ora si possono fare solo tre ipotesi. 1. Sono tre pezzenti. 2. Sono "comandati". 3. Sono eterodiretti". La prima ipotesi è la più improbabile". Per dare un senso a una storia che non sta in piedi, si deve accantonare il ricatto che non c'è, che non c'è mai stato, ed esplorare la strada che imbocca il video. Chi lo vede? Chi lo possiede?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">È, dunque, l'11 luglio. Un avvocato, per conto del pusher tossicomane, contatta la redazione di Libero. Due giornaliste, tre giorni dopo (il 15), incontrano Gianguarino Cafasso che mostra loro, in una stamberga della Cassia, il filmato con Marrazzo. È Cafasso a parlare di "politici e trans, di cui sa tutto" e di quello chiamato "Chiappe d'oro". Vuole 500mila euro (che nel tempo si riducono a 90 mila) per le immagini del governatore: "così chiudo con questa vita". Le giornaliste non sono convinte. I tre minuti del video sembrano taroccati. Chiedono di rivederlo. Niente da fare. Un paio di giorni per decidere o non se ne fa niente, dice Cafasso. Le giornaliste informano Vittorio Feltri che decide di lasciar perdere. Il video si muove ancora. Prima di ferragosto viene proposto ad Oggi (gruppo Rizzoli). Un inviato del settimanale lo visiona il 1 settembre a Roma. Gli appare taroccato. Vuole verificarne l'attendibilità. Gli viene impedito. La direzione di Oggi (Andrea Monti. Umberto Brindani), qualche giorno dopo, chiude la trattativa con la PhotoMasi, incaricata di commercializzare il video da un quarto carabiniere della banda. Il dischetto continua a girare per vie misteriose che vanno oltre i contatti dell'agenzia milanese. Non è più Cafasso a muoverlo. Stroncato dai suoi vizi e dal diabete, è morto in una stanza d'albergo. In settembre sente parlare del video Maurizio Belpietro, diventato direttore di Libero. Riesce a farselo mostrare, anche se non ne entra in possesso, il 12 ottobre. Anche lui s'impiomba dinanzi a quelle immagini troppo confuse che ipotizza false, ma ormai negli ambienti del governo e del centro-destra molti sanno che quel video esiste e che, prima o poi, si troverà il modo per mostrarlo a tutti. C'è chi storce la bocca per il disgusto e lascia filtrare da fine settembre la notizia del "filmatino", rifiutato da Feltri e Belpietro. Sono i primi giorni di ottobre, ormai, e il lavoro sporco dei carabinieri, forse "comandati", forse eterodiretti, mostra la corda. Nessuno vuole il video nelle testate che avrebbero avuto l'interesse politico - Cafasso è esplicito con le croniste di Libero - a pubblicarlo. Feltri l'ha rifiutato. Belpietro non l'ha voluto. A Mario Giordano, direttore del Giornale fino a luglio, non è stato nemmeno proposto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Bisogna ricominciare daccapo, cambiando qualcosa nella procedura. Quando Carmen Masi contatta Alfonso Signorini, direttore di Chi (Mondadori), ottiene materialmente il video (l'agenzia non l'ha mai posseduto) e viene autorizzata finalmente dai quattro furfanti a lasciarlo in visione al possibile acquirente. È il cinque ottobre, Signorini riceve il dischetto, firma una ricevuta. Copia le immagini. Ora è decisivo sapere che cosa accade tra la Mondadori, Palazzo Grazioli, Villa San Martino, tra il 5 e il 19 ottobre, quando Berlusconi chiama Marrazzo per dirgli che c'è un video compromettente e che farebbe meglio a ricomprarselo dall'agenzia mentre gli detta il numero di telefono di Carmen Masi e di un possibile mediatore. Nella nebbia, c'è qualche punto fermo. Signorini decide di non pubblicare. È certo che non restituisce il dischetto. È certo che informa il presidente della Mondadori (Marina Berlusconi) e l'amministratore delegato (Maurizio Costa). È certo che Silvio Berlusconi ha modo di vedere il video che Signorini ha consegnato a Marina. I tempi diventano determinanti. Quando il direttore di Chi consegna le immagini a Marina? Quando Marina le mostra al padre? Quanto tempo Silvio Berlusconi si rigira tra le mani il dischetto prima di telefonare a Marrazzo?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">I tempi sono determinanti perché, in quelle ore, il diavolo ci metta la coda. Le cose vanno così. Un pubblico ministero di una procura italiana sta dietro a una banda di trafficanti di droga che sta combinando "un affare molto, molto grosso". Telefoni sotto controllo. "Cimici" ambientali. Pedinamenti. Insomma, l'ambaradam di questi casi. Nella "rete" resta impigliato uno dei carabinieri canaglia che ha aggredito Marrazzo. L'"ascolto" si allarga ai suoi telefoni. Quello parla con uno della combriccola in divisa e si sente dire: "... il video del presidente...".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Il video del presidente. Il pubblico ministero a chi può pensare? Non è romano, non è laziale. L'ultima persona che gli può venire in mente è Marrazzo. Pensa a quel presidente, a Berlusconi. Si dispera. È di fronte a un'alternativa del diavolo. Sa di dover intervenire subito per proteggere il capo del governo da chissà che cosa ed è consapevole che, se lo fa, gli va per aria l'inchiesta. Decide di liberarsi della patata bollente. Intorno al 9 ottobre chiama il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Cataldo, e gli spiega l'impiccio: occupatevene voi, vi mando le carte, voi mettete le mani sul video, ammesso che esista, io salvo la mia inchiesta, voi salvate Berlusconi. Così sarà. Il 14 ottobre un'informativa del Ros mette in moto la procura di Roma.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">A questo punto, si deve immaginare Berlusconi. Da un lato, come presidente del consiglio, il 19 viene informato che magistrati e carabinieri sono sulle tracce di "un video del presidente" che potrebbe coinvolgerlo. Dall'altro, come proprietario della Mondadori, quel mattino ha sul tavolo il video che magistrati e carabinieri stanno cercando. Non devono essere state ore serene. Se non si muove, se non fa qualcosa, chi toglie dalla testa dell'opinione pubblica che il presidente del consiglio - protetto da uno straordinario conflitto di interessi - governi una "macchina del fango", nel tempo sbattuta contro la reputazione di Dino Boffo (direttore dell'Avvenire), Gianfranco Fini (presidente della Camera), Raimondo Mesiano (giudice responsabile di avergli dato torto in una causa civile)? Chi azzittirà le grida della "solita sinistra" e dei "comunisti" persi dietro al cattivo pensiero che quel video - né pubblicato né restituito né consegnato alla magistratura - sia custodito in attesa di tempi migliori, magari elettorali? Berlusconi decide d'impulso, come sempre. Vuole uscire dall'angolo, ribaltare la scena. Chiama il governatore: "Non mi potranno dire che non sono stato un gentiluomo". Gli dice di muoversi. Spera che Marrazzo faccia in fretta. Compri il video, lo distrugga cancellando un lavoro malfatto che può essere molto pericoloso. Come si sa, il governatore si muove lento, i carabinieri veloci. Quel che rimane è storia di questi giorni e annuncia un terzo capitolo ancora non scritto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 204, 51);">Ora le rogne sono tutte della procura di Roma perché quel che è avvenuto è chiaro alla luce del codice penale. Articolo 640, ricettazione. "Chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta cose provenienti da un qualsiasi delitto o comunque s'intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni". È indubbio che Signorini, Marina Berlusconi e Maurizio Costa, per procurarsi un profitto, hanno ricevuto quel video palesemente ottenuto con un delitto (con la violenza e la violazione del domicilio). È indubbio che Silvio Berlusconi si sia intromesso per far acquistare, prima, e occultare, poi, quella "cosa proveniente da un delitto". Se la legge è uguale per tutti, è ragionevole pensare che la procura di Roma cercherà di capire chi ha "pilotato" i falsi ricattatori mentre invierà a Milano, per competenza, le carte di una ipotetica ricettazione.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica </span><br /><span style="font-style: italic;">(30 ottobre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-70665261518552466322009-10-28T12:28:00.002+01:002009-10-28T12:37:57.029+01:00Il cuore batte a sinistra<span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">In un momento storico/politico/sociale come l'attuale, le mie parole si lascerebbero trascinare dall'emotività.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Leggo articoli di giornalisti che riescono a esprimere al meglio ciò penso e sento. Quindi copio e incollo, senza alcuna creatività. </span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">Solo un album in cui riporto ciò che stimo. E lo riporto perchè per me "quell'articolo" è importante.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Come questa analisi di Mario Pirani su Repubblica.</span><br /><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-caso/analisi-pirani/analisi-pirani.html"><span style="font-size:180%;">Il potere, il sesso e le menzogne<br />perché s'indigna il popolo di sinistra</span><br />L'ANALISI di MARIO PIRANI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Le dimissioni di Piero Marrazzo hanno un valore, prima che politico, purificatorio. Non sono la risposta alle richieste interessate della maggioranza di governo ma allo sconforto del popolo di sinistra. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Con questo gesto l'uomo politico si è spogliato della sua veste pubblica e da questo punto di vista la vicenda è chiusa. Resta un dramma privato, aperto all'umana pietas di chi ha sofferto per Marrazzo o anche si è scandalizzato per le debolezze di un individuo. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Alcune riflessioni, però, si impongono. Nel giorno delle primarie il popolo di sinistra era andato a votare con l'animo percosso da una catastrofe dell'anima, scatenata appunto dal caso Marrazzo. Lo choc non può essere neppure oggi superato confortandosi con il parallelo, che viene spontaneo a tutti, tra come si è conclusa la vicenda che ha travolto il presidente della Regione Lazio e i fatti, ben più gravi per la commistione tra pubblico e privato, che "non" hanno provocato le dimissioni del premier. Non avrebbe, peraltro, alcun costrutto abbandonarsi ad una valutazione ponderata del grado di accettabilità delle propensioni sessuali dell'uno e dell'altro personaggio. Serve, piuttosto, porsi altri problemi e, in primo luogo, interrogarsi sul perché le reazioni dei due elettorati siano state e siano così divergenti, quasi da delineare una cortina di ferro antropologica tra "popolo di destra" e "popolo di sinistra". </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Il primo, quello berlusconiano, tranne qualche frangia cattolica osservante e la ristretta élite finiana, in fondo non solo accetta ma si compiace di ciò che Giuliano Ferrara derubrica a "inviti a cena e in villa e sesso un po' a casaccio, con una instancabilità privata divenuta favola pubblica". Bastava, del resto, fare attenzione a cosa diceva in questi mesi e dice ancor oggi la "gente", per cogliere l'assonanza tra le brave madri di famiglia che ce l'hanno con Veronica perché "non lava in famiglia i panni sporchi" e i "machi" di borgata o dei Parioli, fieri delle scopate del loro leader, quasi potessero anche loro replicarle per interposta persona. Il tutto condito dallo schifiltoso ritrarsi dal giudizio dei tanti pseudo liberali, dimentichi della differenza tra ruolo pubblico e vita privata e adontati con "Repubblica" perché ha raccontato tutte queste sconcezze, senza rispettare il sacrosanto diritto alla privacy. Per altri ancora è bastato voltarsi dall'altra parte, distogliere l'attenzione, dirsi che gli uni e gli altri si equivalgono, non farsi coinvolgere dalla evidenza di un'etica pubblica, gettata alle ortiche. Infine, alle brutte, se qualche ambascia li coglieva, prendersela con la sinistra che non c'è. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Per contro il "popolo di sinistra" nel suo assieme e i singoli individui, uomini e donne, che ne fanno parte hanno sofferto amarezza profonda, se non disperazione. Quasi ognuno di loro si ritenesse personalmente offeso da un gesto giudicato insopportabile. Né vale dirsi e ripetersi che Piero Marrazzo ha fatto del male in primo luogo a se stesso e alla sua famiglia e ha cercato di coltivare le sue propensioni sessuali in segreto, senza coinvolgere l'istituzione che dirigeva con accertata dedizione. No, queste cose non potevano lenire un lutto morale che solo le dimissioni permettono ora di elaborare. È, infatti, il nucleo più profondo dell'animo collettivo e individuale della sinistra che è stato leso. Dalla caduta del Muro ad oggi quell'animo è stato sottoposto a una cura terapeutica che, se lo ha disintossicato dall'ideologia e dalla sua proiezione pratica più deleteria - lo stalinismo in tutte le sue forme - , lo ha anche spogliato da illusioni, utopie, speranze troppo avanzate di riscatto economico. La globalizzazione ha smantellato le sue strutture sociali di difesa, i suoi partiti si son fatti sempre più fragili, ognor mutevoli, anche di nome. In questa deriva una sola certezza è rimasta come valore di auto identificazione: l'essere dalla parte - ed essere parte - della gente onesta, per bene; di quelli che non hanno nulla da nascondere, che rispettano la legge, contano sulla Costituzione, pagano le tasse, magari perché ritenute con la paga, conservano qualche traccia di solidarietà. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Per questo aborrono Berlusconi che, per contro, ha legittimato i vizi storici degli italiani, gli altri italiani, che son forse la maggioranza. Che con la scesa in campo del Cavaliere hanno finalmente trovato qualcuno che non li faceva vergognare della vocazione nazionale ad "arrangiarsi", magari con qualche imbroglio piccolo o grande, eludendo il fisco, lavorando in nero, armeggiando per una violazione edilizia. E soprattutto vivendo la legge, le regole e sotto sotto anche qualcuno dei 10 Comandamenti, figuriamoci la Costituzione, come malevoli impedimenti al libero esplicitarsi di tutto ciò che bisogna fare per sopravvivere. Per questo amano e si identificano con Berlusconi che ha suonato la campana del "liberi tutti" (l'altro giorno, persino, dall'obbligo di pagare il canone Rai). Cosa gliene importa del conflitto d'interessi, della suddivisione dei poteri, del ludibrio gettato sulla Magistratura? Anzi, la condotta scandalosa, pubblicamente esibita, la degradazione dei palazzi del potere in luoghi di privato piacere, la promozione delle veline di turno, danno a tanti diseredati, ai rampanti in lista di attesa, agli infiniti aspiranti alle innumerevoli "isole dei famosi", il placet "che tutto se po' fa", la versione plebea dello "Yes, we can". </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Il "popolo di sinistra" questo lo sente e lo soffre. Lo consola il fatto di poter raccontare se stesso in modo specularmente opposto, anche se non riesce più ad inverarsi nella orgogliosa "diversità" berlingueriana. Immagina che il suo partito di riferimento faccia proprio questo valore, smentisca nei fatti quel ritornello che lo offende ma anche genera dubbi: "In fondo sono tutti eguali". Per questo il "peccato" di Piero Marrazzo è stato patito come "mortale". Perché avvalora il dubbio, soprattutto nei confronti di vertici, dotati solo di buona volontà ma non del carisma da cui nasce la fiducia. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Di qui l'esigenza di una franca, profonda riflessione in seno a quello che formalmente si chiama gruppo dirigente. Perché maturi la consapevolezza che il germe velenoso dell'omologazione subliminale con l'avversario può proliferare grazie a comportamenti similari: designando candidati dotati solo di immagine, siano annunciatori televisivi o giovani il cui curriculum si esaurisce nel certificato di nascita, senza più alcuna verifica delle competenze e della coerenza morale tra pensiero e azione; manifestando in mille occasioni un'arroganza del potere e una sicumera che nulla hanno da invidiare ai loro colleghi dell'altra sponda politica; abbandonando, come finora hanno fatto non il "controllo del territorio", secondo la formuletta che amano ripetere, ma il contatto continuo, fraterno, comprensivo col loro elettorato. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Da questo elettorato è venuta una volta di più, con i tre milioni di voti delle primarie, la prova niente affatto scontata che il popolo di sinistra ancora c'è, "ci crede" e ha conservato nel cuore un credito di fiducia, una qualche speranza. Esso seguita ad esprimere una "etica popolare" che si contrappone al cinismo amorale berlusconiano. Non è detto che la dirigenza di centro-sinistra sia capace di leggere in profondità le esigenze di buon governo, sia del partito che del Paese che da questo popolo provengono ancora. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 255);">Una prima prova la si avrà con la scelta del candidato destinato a concorrere al posto di Marrazzo, quando si svolgeranno le elezioni regionali. Guai se comincerà la solita diatriba tra le mezze cartucce vogliose di fare carriera, più che di vincere. Per questo mi permetto di concludere con una proposta personale. Nelle ultime settimane un personaggio è emerso o, meglio, si è innalzato al di sopra della media, per aver saputo rintuzzare davanti a milioni di telespettatori, le volgarità insultanti del presidente del Consiglio, tanto da diventare simbolo di una riscossa femminile, Rosy Bindi. Sarebbe il caso di sceglierla per acclamazione. </span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">(28 ottobre 2009) </span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-6820335749375670142009-10-27T16:04:00.003+01:002009-10-27T16:13:11.763+01:00"Denunciare il ricatto all'autorità giudiziaria? Nemmeno per sogno!"<span style="font-weight: bold;">CRONACA </span><br /><br /><a href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-caso/marrazzo-caso/marrazzo-caso.html"><span style="font-weight: bold;font-size:180%;" >La macchina del fango</span><br /><span style="font-weight: bold;">IL COMMENTO di GIUSEPPE D'AVANZO</span></a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Berlusconi si cucina da solo i suoi guai. Distrugge, di giorno, i muri che i suoi consiglieri fabbricano, di notte, per difenderlo. Quelli si erano appena rimboccati le maniche, con buona volontà, per riproporre - complici, le debolezze di Piero Marrazzo - la separatezza e l'inviolabilità della sfera privata dalla funzione pubblica (ancora!).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Salta fuori che l'Egoarca ha avvertito per tempo il governatore: "C'è in giro un video contro di te". Frammento superbo della nostra vita pubblica. Merita di essere analizzato, e con cura. Viene comodo farlo in quattro quadri.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Nel primo quadro, bisogna riscrivere con parole più adatte quel che sappiamo. Non il signor Silvio Berlusconi, ma il presidente del consiglio - proprietario del maggior gruppo editoriale del Paese - allerta il governatore "di sinistra" che il direttore di una sua gazzetta di pettegolezzi (Chi) ha in mano un video che lo compromette. Glielo ha detto la figlia (Marina, presidente di Mondadori). <span style="color: rgb(204, 204, 255);font-size:130%;" >A questo punto, il capo del governo potrebbe consigliare all'altro uomo di governo di non perdere un minuto e di denunciare il ricatto all'autorità giudiziaria. Nemmeno per sogno. Il presidente del Consiglio indica all'altro attraverso chi passa il ricatto, ne fornisce indirizzo e numero di telefono: che il governatore si aggiusti le cose da solo mettendo mano al portafoglio e "ritirando la merce dal mercato", come pare si dica in questi casi. È la pratica di uomini che governano senza credere né alla legge né allo Stato, né in se stessi né nella loro responsabilità. In una democrazia rispettabile, l'argomento potrebbe essere definitivo. Nell'"Italia gobba", la legalità è opzione, mai dovere, e quindi l'argomento diventa trascurabile.</span> Trascuriamolo (per un attimo solo) e immaginiamo che Marrazzo riesca nell'impresa di ricomprarsi quel video.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">È il secondo quadro. Vediamo che cosa accade a questo punto. Piero Marrazzo annuncia la sua seconda candidatura al governatorato. Si vota in marzo. Il candidato "di sinistra" è consapevole che il suo destino politico e personale è nelle mani del leader della coalizione "di destra". In qualsiasi momento, quello può tirare la corda e rompergli il collo. A quel punto, a chi appartiene la vita di Piero Marrazzo? A se stesso, alle sue decisioni politiche, ai suoi comportamenti privati o alla volontà e alle strategie dell'antagonista? È una condizione di vulnerabilità politica che dovrebbe consigliargli la piena trasparenza a meno di non voler diventare un burattino. Al contrario, Marrazzo tace e tira avanti. Scoppia lo scandalo e mente ("È una bufala", "Non c'è alcun video"). Lo scandalo diventa insostenibile e ancora rifiuta la responsabilità della verità: non dice dell'avvertimento di Berlusconi; non dice come si procura il denaro che gli occorre per le sue scapestrate avventure. (Sono buone ragioni per chiedergli di nuovo le dimissioni perché non è sufficiente l'ipocrita impostura dell'autosospensione). Quel che accade al governatore ci mostra in piena luce come funziona "una macchina".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">È il terzo quadro. Al centro della scena, i direttori delle testate di proprietà del presidente del Consiglio (o da lui influenzate). In questo caso, Alfonso Signorini, direttore di Chi, già convocato d'urgenza da una vacanza alle Maldive per confondere, con una manipolazione sublunare della realtà, il legame del premier con una minorenne.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Signorini spiega come vanno le cose in casa dell'Egoarca, premier e tycoon. Direttamente con le redazioni o, indirettamente, da strutture esterne o da chi vuole qualche euro facile - i direttori raccolgono fango adatto a un rito di degradazione. Una volta messa al sicuro la poltiglia del disonore (autentica o farlocca, a costoro non importa), il direttore avverte i vertici del gruppo, l'amministratore delegato e il presidente. Che si incaricano di informare l'Egoarca. A questo punto, il premier è padrone del gioco. Pollice giù, e scatta l'aggressione. Pollice su, e il malvisto finisce in uno stato di minorità civile. Accade al giudice Mesiano, spiato dalle telecamere di Canale5.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Berlusconi addirittura annuncia l'imboscata: "Presto, ne vedremo delle belle". Accade al direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, colpevole di aver dato voce all'imbarazzo delle parrocchie per la vita disonorevole del premier. Accade al presidente della Camera, Gianfranco Fini, responsabile di un cauto e motivato dissenso politico. Accade a Veronica Lario, moglie ribelle. A ben vedere, accade oggi al ministro dell'Economia che può intuire sul giornale del premier qualche avvertimento. Suona così: "Tremonti in bilico"; "Se Tremonti va, Draghi arriva". C'è da chiedersi: quanti attori del discorso pubblico sono oggi nella condizione di sottomissione che anche Marrazzo era disposto ad accettare?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">Quarto e ultimo quadro, allora. Non viviamo nel migliore dei mondi. La personalizzazione della politica ha cambiato ovunque le regole del gioco e il fattore decisivo di ogni competizione è la proiezione negativa o positiva dell'uomo politico - e della sua affidabilità - nella mente degli elettori. È la ragione che fa del "killeraggio politico - scrive Manuel Castells (Comunicazione e potere) - l'arma più potente nella politica mediatica". I metodi sono noti. Si mette in dubbio l'integrità dell'avversario, nella vita pubblica e in quella privata. Ricordate che cosa accade a McCain e Kerry? Si ricordano agli elettori, "in modo esplicito o subliminale", gli stereotipi negativi associati alla personalità del politico, per esempio essere nero e musulmano in America. È la lezione che affronta Barack Obama. Si distorcono le dichiarazioni o le posizioni politiche. Si denunciano corruzione, illegalità o condotta immorale nei partiti che sostengono il politico. Naturalmente, le informazioni distruttive si possono raccogliere, se ci sono; distorcerle, se appaiono dubbie o controverse; fabbricarle, se non ci sono. È uno sporco lavoro, che ha creato negli Stati Uniti, dei professionisti. Uno di loro, Stephen Marks, consulente dei repubblicani, ha raccontato in un libro (Confessions of a Political Hitman, Confessioni di un killer politico) il suo modus operandi. È interessante riassumerlo: "Passo I, il killer politico raccoglie il fango. Passo II, il fango viene messo in mano ai sondaggisti che determinano quale parte del fango arreca maggior danno politico. Passo III, i sondaggisti passano i risultati a quelli che si occupano di pubblicità, che passano i due o tre elementi più dannosi su Tv, radio e giornali con l'intento di fare a pezzi l'avversario politico. Il terzo passo è il più notevole. Mi lascia a bocca aperta l'incredibile talento degli addetti ai media... quando tutto è finito, l'avversario ha subito un serio colpo, da cui non riesce più a riprendersi". Qui, quel che conta è la segmentazione del lavoro e soprattutto "l'incredibile talento degli addetti ai media" perché devono essere i più abili e i più convincenti. I media, negli Stati Uniti, non sono a disposizione della politica e per muoverli occorre "provocare fughe di notizie rimanendo al di fuori della mischia", offrire "merce" che regga a una verifica, a un controllo, che sia significativa e in apparenza corretta anche quando è manipolata.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 204, 255);">In Italia, non esiste questo scarto. Non c'è questa fatica da fare perché non c'è alcuna segmentazione della politica mediatica. Uno stesso soggetto ordina la raccolta del fango, quando non lo costruisce. Dispone, per la bisogna, di risorse finanziarie illimitate; di direzioni e redazioni; di collaboratori e strutture private; di funzionari disinvolti nelle burocrazie della sicurezza, magari di "paesi amici e non alleati". Non ha bisogno di convincere nessuno a pubblicare quella robaccia. Se la pubblica da sé, sui suoi media, e ne dispone la priorità su quelli che influenza per posizione politica. È questa la "meccanica" che abbiano sotto gli occhi e bisogna scorgere - della "macchina" - la spaventosa pericolosità e l'assoluta anomalia che va oltre lo stupefacente e noto conflitto d'interessi. Quel che ci viene svelato in queste ore è un sistema di dominio, una tecnica di intimidazione che mette freddo alle ossa, che minaccia l'indipendenza delle persone, l'autonomia del loro pensiero e delle loro parole. I più onesti, dovunque siano, dovrebbero riconoscerlo: non parliamo più di trasparenza della responsabilità pubblica, di vulnerabilità, di pubblico/privato. Più semplicemente, discutiamo oggi della libertà di chi dissente o di chi si oppone. O di chi potrebbe sentirsi intimidito a dissentire o a opporsi all'Egoarca.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata: La Repubblica</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">(27 ottobre 2009)</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-16442460917046731902009-10-26T10:41:00.005+01:002009-10-26T11:00:51.095+01:00...una via d'uscita dal vicolo cieco italiano?POLITICA<br /><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/partito-democratico-33/maltese-primarie/maltese-primarie.html"><span style="font-size:180%;">Una bella giornata per la democrazia</span><br />IL COMMENTO di CURZIO MALTESE</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Tre milioni di votanti, cinquantamila volontari in diecimila seggi, decine di milioni di euro raccolti. Se qualcuno nel Pd ha ancora dubbi sulle primarie è un pazzo. Sono l'elemento più identitario del partito, dal giorno della nascita.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">È stata una grande giornata per l'unico partito al mondo che coinvolga tanti cittadini nella scelta del segretario, ma soprattutto per la democrazia. Il voto degli elettori ha confermato nella sostanza quello degli iscritti. Bersani è il vincitore, ma Franceschini e Marino non escono sconfitti. Il segretario uscente ha avuto proprio ieri la conferma d'aver svolto bene la missione di salvare il Pd nella stagione peggiore e oggi può consegnarlo al successo in ottima salute. Ignazio Marino è stata la sorpresa del voto popolare, a riprova che i temi del rinnovamento e della laicità sono assai avvertiti dalla base.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">La vera notizia è la partecipazione. Tre milioni non li aveva previsti nessuno. Tanto meno dopo l'ultimo desolante caso di Piero Marrazzo. <span style="font-size:130%;"><span style="color: rgb(51, 204, 0);">Il popolo democratico ha invece reagito con un atto di generosità e responsabilità, qualità più rare ai vertici.</span></span> La corsa alle primarie può segnare <span style="font-size:130%;"><span style="color: rgb(51, 204, 0);">un punto di svolta nello stallo politico</span></span>. È una scossa positiva per il Pd, in cerca d'identità da troppo tempo. Ed <span style="font-size:130%;"><span style="color: rgb(51, 204, 0);">è una spallata al governo Berlusconi</span></span>, già avvitato in un evidente declino.<span style="color: rgb(255, 204, 0);font-size:130%;" > Una spallata vera e potente, che non arriva dalle élites e dai palazzi complottardi di cui favoleggiano i demagoghi, ma piuttosto da milioni d'italiani. Cittadini normali che si sono svegliati presto di domenica, messi in fila, versato un contributo, atteso i risultati fino a notte.</span> Non perché Bersani, Franceschini o Marino siano leader di travolgente carisma, né sull'onda di un entusiasmante dibattito congressuale. Ma <span style="color: rgb(51, 204, 0);font-size:130%;" >nella speranza d'infondere al principale partito d'opposizione la forza necessaria per mandare a casa il peggior governo della storia repubblicana.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Questo è il chiarissimo mandato che i tre milioni consegnano nelle mani del vincitore Bersani, ma anche a Franceschini e Marino, da oggi chiamati a collaborare come rappresentanti delle minoranze interne a un grande progetto. Si tratta di vedere se la nuova dirigenza saprà interpretarlo o, chiusi i gazebo, tornerà a rinchiudersi nelle stanze affumicate di strategie tanto sottili quanto perdenti. Come è sempre accaduto finora. Il nuovo leader democratico ha davanti compiti difficili e tempi strettissimi, da qui alle regionali. Il primo è rilanciare il Pd alla guida di un'opposizione seria nei toni, ma dura nella sostanza. Più dura di quanto non sia stata finora. Di "tregue" a Berlusconi, più o meno volontarie, il centrosinistra ne ha offerte già troppe in questi anni. Un'ulteriore resa a un Cavaliere a fine corsa, almeno nell'opinione mondiale, sarebbe interpretata come un tradimento degli elettori e si tradurrebbe in una catastrofe politica.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Il secondo compito è quello di affrontare il rinnovamento interno al partito, che non sia la solita mano di bianco sulla nomenklatura. Nei confronti dei casi inquietanti segnalati qua e là, la base si aspetta da Bersani che agisca con rapidità e chiarezza. Per fare l'esempio più recente, che convinca Marrazzo, dopo l'opportuno gesto dell'autosospensione, a tagliare la testa al toro e rassegnare subito le dimissioni da governatore.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Occorre certo un po' di coraggio, quello che è sempre mancato ai leader, davvero non al popolo di centrosinistra. Ma il coraggio, se uno non l'ha, milioni di voti glielo potrebbero pur dare. A Prodi e a Veltroni non erano bastati. Bersani ne ha presi molti meno, ma alla fine di primarie vere e combattute fino all'ultimo. Ora ha l'occasione di dimostrare nei fatti quanto aveva ragione a criticare i predecessori.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);">© Riproduzione riservata</span><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 255, 255);"><span style="font-style: italic;"> (La Repubblica)</span></span><span style="font-weight: bold;"><span style="font-style: italic;"><br />(26 ottobre 2009)<br /></span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-6610969860763352712009-10-16T17:20:00.005+02:002009-10-16T17:48:13.769+02:00Il Coraggio di parlare, il coraggio di lottare fino in fondo<h2 style="font-weight: bold;"><span style="font-size:100%;">IL RACCONTO</span></h2> <h3 style="font-weight: bold;"><span style="font-size:100%;"><a href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/viano-scorta/senso-solitudine/senso-solitudine.html" target="_blank"><span><i><span style="font-size:180%;"><span style="font-weight: bold;">Io, la mia scorta e il senso di solitudine </span></span></i></span></a></span></h3><h3 style="font-weight: bold;"><span style="font-size:100%;"><a href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/viano-scorta/senso-solitudine/senso-solitudine.html" target="_blank"><span><i>di ROBERTO SAVIANO</i></span></a></span></h3> <div> <span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;">"LO VEDI, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo". Così il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina. Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile. La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso. Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura è forte. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Non credo sia salutare spaccare in due o in più parti un fronte che dovrebbe mostrarsi, e soprattutto sentirsi, coeso. Società civile, forze dell'ordine, magistratura. Ognuno con i suoi ruoli e compiti. Ma uniti. Purtroppo riscontro che non è così. So bene che non è lo Stato nel suo complesso, né le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario. Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni: all'arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi "noi ci saremo sempre". </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Mi ha difeso l'Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne è fatto portavoce. Ciò che dico e scrivo è il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce. Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando "tanti lavorano nell'ombra senza riconoscimento mentre tu invece...". Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realtà costrette solo alla cronaca locale. </span><br /> <div style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> </div> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ciò che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere. Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento. Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum "finalmente qualcuno che sputa su questo buffone". Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra. Non cercherò mai i loro favori, né la loro approvazione. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalità è una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali più spietate. Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice: "Si uccidono tra di loro", perché contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Perché così permettiamo all'Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui. Come è accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non è stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura. </span><br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perché ho l'ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> E serve l'attenzione per aggregare persone. Sarò sempre fiero di avere questo genere di avversari. I più disparati, uniti però dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com'è successo già troppe volte. Che chi "opera" sulle vicende legate alla criminalità organizzata e all'illegalità in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell'attenzione momentanea che sappia sempre un po' di folklore. E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent'anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani - esposti molto più di me e che prima di me hanno detto verità ora alla portata di tutti - hanno pagato con la vita la loro solitudine. E la volontà di volerli ridurre, in vita, al silenzio. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un'altra parte di Napoli e del Sud. Quella che in questi anni ha approfittato della notorietà di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze. Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive. Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c'è poco da aspettarsi. Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono più di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche. Facendo, loro sì, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a sé un consenso acquistato con biglietti da cento euro. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> È stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l'attenzione sui fatti di camorra. È stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimità della mia scorta. La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche. Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di "condanna a morte". Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Ho dovuto esibire le prove dell'inferno in cui vivo. Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce. Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito. Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle. Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla. Vomitando bile, opinioni qualcuno addirittura ha detto "c'è una sentenza del Tribunale che si è espressa contro la scorta". I tribunali non decidono delle scorte, perché tante bugie, idiozie, falsità? Addirittura i sondaggi online che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, lì ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell'altro? Dal momento in cui mi è stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano. Non in mio nome, ma nel nome proprio: per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali. Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale: la libertà di parola. Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali. Lo Stato impone la difesa a magistrati perché possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumità fa una grande differenza. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perché non può permettere che le organizzazioni criminali facciano censura. In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di più parlando della mia sicurezza, è un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democrazia e a tutte le persone che vivono la mia condizione. Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me crea consenso in molte parti </span><br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Ma mi viene chiesta anche l'adesione a un "codice deontologico", come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole. Quali regole? Io non sono un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato. Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare. E non avrò mai "bon ton" nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetterò mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri. I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell'ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo: a ognuno il suo ruolo. La battaglia che porto avanti come scrittore è un'altra. È fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico. </span><br /> <br /><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;"> Continuare a vivere in una situazione così è difficile, ma diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ciò che sino a ieri era un'alleanza importante, giusta e necessaria. So che è molto difficile vivere la realtà campana, ma c'è qualcuno che ci riesce con tranquillità. Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, né me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti. Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze. Buon per lui che ci sia riuscito. Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia. Un giorno ci riuscirò lo giuro. </span><br /><br /> <i><span style="color: rgb(102, 204, 204); font-weight: bold;">© 2009 Roberto Saviano. </span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 204, 204);">Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency</span></i> <br /><br /> </div> <span style="font-weight: bold;">© Riproduzione riservata (da <span style="font-style: italic;">La Repubblica</span>)</span><br /> <span style="font-weight: bold;">(<i>16 ottobre 2009</i>)</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-70082611621397881622009-10-14T14:17:00.004+02:002009-10-14T14:24:59.402+02:00C.U.N. - Canone Unico (Nazionale) di bellezza -<a href="http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_14/rodota-dopo-bindi_48e325a0-b884-11de-9ba8-00144f02aabc.shtml"><span style="font-weight: bold;font-size:180%;" >Dopo il caso Bindi: L’emergenza estetica nell’Italia maschilista</span></a><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Per le donne in politica e in tv vige il Cun, il canone unico di bellezza</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">Allarme. Massima attenzione. Altro che emergenza democratica. <span style="color: rgb(204, 204, 255);">Il Paese sta attraversando un’emergenza estetica. Sulle nostre reti tv circolano ancora donne non corrispondenti al Canone Unico Nazionale (Cun) di gioventù e bellezza. Appena una settimana fa, a Porta a Porta , il premier ha stanato Rosy Bindi. Non è bastato, anzi: col suo «lei è più bella che intelligente », Berlusconi ha fatto imbestialire molte donne, chiaramente brutte e/o vecchie. Hanno molto protestato online; e tuttora, a giorni di distanza, frange estremiste di diversamente belle si aggirano per la penisola offrendo le loro foto alla stampa estera e danneggiando l’immagine dell’Italia. No, per carità, stavamo scherzando. L’ultima notizia non è vera. Le altre sì.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"></span><span style="font-weight: bold;">E il Cun c’è sul serio, sottotraccia, da anni. Per anni non ci abbiamo fatto caso; magari convinte di essere avanzate e spiritose. <span style="color: rgb(204, 204, 255);">Non eravamo come le americane, che per un battutone sul lavoro minacciano cause da ottocento milioni di dollari. Noi ne ridiamo. Né come le tedesche, con quelle scarpe comode ma orrende. Noi anche in ufficio arranchiamo sui tacchi. Né come le norvegesi, che per legge occupano la metà dei posti nei consigli di amministrazione. Iddio ci protegga dalle quote rosa; ci bastano le nostre scarse e molto rosee cooptazioni. E via così. Oltretutto: gli uomini italiani eterosessuali sono abituati benissimo. Possono tornare a casa, non cucinare, rilassarsi su vari canali guardando ragazze poco impegnative e seminude. Per informarsi possono cliccare sui siti di news e distrarsi con parate di bellezze esotiche in tanga. Quando i soliti stranieri molesti ci chiedono «Non vi dà fastidio? », noi italiane rispondiamo «Non tanto»; più che altro per assuefazione. Perché siamo parecchio assuefatte, ed è un guaio collettivo.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">Chi scrive l’ha detto e noiosamente lo ripete: <span style="color: rgb(204, 204, 255);"><span style="color: rgb(255, 0, 0);">cari connazionali</span>, che senso di sé avreste se da quando siete piccoli foste stati bombardati da immagini di fanciulli muti e discinti che affiancano anziane signore petulanti? Se i pettorali e i glutei maschili venissero usati per pubblicizzare qualunque cosa? Se aveste ripetutamente visto rispettabili signori in età discutere e subito venire zittiti perché — a parere dell’interlocutrice — sono brutti? Non vi sentireste, forse, tanto bene. Bè, la media donna italiana è cresciuta così. E, in caso si sia temprata e si sia dedicata a migliorare le capacità professionali invece dei muscoli addominali, niente sconti: lavorerà, ma in sala macchine. Ad apparire saranno le belle, giovani e toniche. In tv come in politica. Dove il principale partito di opposizione ha inseguito il leader della maggioranza con trucchetti di immagine un po’ patetici (due capolista attraenti e ventenni alle elezioni 2008); e il leader della maggioranza ha scelto deputate e ministre di grandi doti anche estetiche. Alcune sarebbero perfette in tv. Anzi, vengono dalla tv, come Mara Carfagna. E’ ministro delle Pari opportunità, non ha detto una parola sugli insulti a Bindi. In effetti, a parte casi unici come Giorgia Meloni, le donne Pdl non hanno detto una parola sugli insulti a Bindi. Sono lontani i tempi in cui le parlamentari, da An a Rifondazione, lavoravano insieme a leggi per le donne. E manifestavano insieme, in jeans, davanti a Montecitorio, perché la Cassazione aveva deciso che se una ragazza porta i pantaloni stretti non è stupro.</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">Anche oggi ci sarebbero battaglie comuni da fare:<span style="color: rgb(255, 0, 0);"> </span><span style="color: rgb(204, 204, 255);"><span style="color: rgb(255, 0, 0);">contro un maschilismo </span>prepolitico-prevalente nella politica e nei media. E ora una minoranza in aumento sta, come si diceva una volta, prendendo coscienza. Si soffre guardando documentari come Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, scaricabile online; si protesta via Web quando la dignità delle donne viene offesa; si rimbeccano i maschi che ti danno della strega inacidita e ti dicono «non ti lamentare, stai benissimo, protesta invece per le donne islamiche» (sacrosanto; ma quelli che dicono così ricordano tanto le nonne che gemevano «finisci la fettina, pensa agli indiani che muoiono di fame», e non si capiva in che modo il nostro ingozzarsi avrebbe portato vantaggi agli indiani; delle donne senza potere non possono aiutare le donne senza diritti, oltretutto). E si conta sui ragazzi, spesso più avanzati dei padri (o dei nonni; l’attuale emergenza misogina è in gran parte provocata da persone anziane; da rispettare, se rispettano noi; e poi speriamo, non si può non farlo).</span></span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(153, 153, 255);">Maria Laura Rodotà</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic;">14 ottobre 2009</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-74982755911784307502009-10-11T22:58:00.002+02:002009-10-11T23:05:10.365+02:00A "denudare il re" non sono le solite femministe arrabbiate ma "donne molto diverse"<span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">Dopo il caso Bindi, dibattito su sesso, potere e denaro alla Casa delle Donne di Roma</span><br /><span style="font-weight: bold; font-style: italic; color: rgb(204, 204, 204);">"A rivelare il machismo di Berlusconi sono figure come Veronica e la D'Addario"</span><br /><br /><a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/berlusconi-donne/femministe-convegno/femministe-convegno.html"><span style="font-size:180%;">La sfida delle femministe al premier "Cultura sessista, smascheriamolo"</span><br />di ALESSANDRA LONGO</a><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">ROMA - Che ne è della sessualità maschile? Che ne è della politica degli uomini e delle donne in questo scorcio di stagione dominato dalla volgarità, dagli insulti, dal "disordine" nel rapporto tra i sessi? Le femministe tornano a interrogarsi. In centinaia affollano la Casa internazionale delle donne di Roma per l'incontro convocato da cinque voci storiche: Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi e Grazia Zuffa. Aula stracolma, gente in piedi (su 400 presenze una disciplinata decina di uomini, tra cui Valentino Parlato, direttore del "manifesto") e saletta d'ascolto aggiuntiva allestita all'ultimo minuto. La chiamata a raccolta, organizzata da tempo, arriva all'indomani delle offese a Rosy Bindi che riceve lunghi applausi "per quel che ha subito, per come ha reagito e per l'immagine che ha dato di sé".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Sesso, potere e denaro: si va al cuore del problema ed è un altro modo di affrontare "il degrado della cosa pubblica, l'uso privato delle istituzioni". "Nel silenzio plumbeo degli uomini, anche di quelli dell'opposizione" (Boccia), i comportamenti di Berlusconi certificano il cambio di scenario. Siamo in pieno "post-patriarcato", ci dicono le femministe, costrette a ricominciare l'analisi da dove l'avevano lasciata: "Il conflitto tra i sessi non è risolto, ha assunto una diversa configurazione". Il post-patriarca è un uomo sessualmente in crisi, "senza autorità e autorevolezza", ed esercita il suo potere sulle donne, trattandole come "corpi", cui non è chiesto, ovviamente, di esprimere pensieri, meno che meno dissonanti. Il post-patriarca può contare su connivenze maschili trasversali, fida nella "colonizzazione" delle menti alimentata da certa televisione, sfrutta (finora) il silenzio di un certo mondo femminile indignato al punto di praticare l'estraneità (è la tesi di Gabriella Bonacchi).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Ma il post-patriarca, che sia Berlusconi o i tanti emuli, trova sulla sua strada chi lo smaschera. E la sorpresa è che a "denudare il re" non sono le solite femministe arrabbiate ma " donne molto diverse", per estrazione, ruolo, cultura. Leggi Veronica Lario e Patrizia D'Addario. I loro nomi risuonano nella saletta affollata, pronunciati senza spocchia o imbarazzo: "Non abbiamo più paura di mescolarci, non siamo più costrette a dividerci tra sante e puttane". Ed è questo il retaggio liberatorio del femminismo anni Settanta.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Un femminismo che ha bisogno di perdere gli eccessi di autoreferenzialità verbale, qua e là emersi negli interventi, di aggiornarsi, di ripensarsi, di fronte "al mondo intero che cambia e, con esso, il rapporto tra i sessi" (Luisa Muraro). Ci si indigna, durante questo convegno: per "la fiction del femminile allestita dal regime tele-politico berlusconiano", e ripresa da certa carta stampata, "per la sinistra che non c'è, come fossimo all'anno zero della politica italiana" (così Cecilia D'Elia, Sinistra e Libertà, vicepresidente della Provincia di Roma). C'è delusione: "E' la sinistra che ci deve venire a cercare", sibila Muraro, teorica del pensiero della differenza. C'è rabbia fredda: "Il comportamento delle donne nei partiti è stato scandalosamente inutile, insignificante" (Alessandra Bocchetti).</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(255, 153, 255);">Groviglio di analisi e sentimenti, sensazione di un terreno che, dopo le grandi battaglie del passato, sta franando sotto i piedi per troppe complicità maschili e troppe timidezze aristocratiche femminili: "Rischiamo di perdere due generazioni di donne", è l'allarme che viene dalla Casa di Roma. E allora ci si interroga su come arginare "la disperazione" violenta del post-patriarcato, di come forare l'insopportabile "opacità" della politica (Bianca Pomeranzi)", di come far arrivare sui media "le donne reali" e non la loro caricatura. Tutto buttato lì, con passione e concitazione, in una mattina di sabato, senza nemmeno la pausa pranzo, con la fretta di ricominciare un dialogo interrotto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;"><span style="color: rgb(255, 153, 255);">© Riproduzione riservata</span> <span style="font-style: italic;">(11 ottobre 2009) </span></span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-78596542373476039812009-09-27T15:09:00.004+02:002009-09-27T15:20:44.630+02:00Segnali Culturali: un film, un romanzo, un saggioPOLITICA<br /><br /><span style="font-weight: bold;font-size:180%;" ><a href="http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/scalfari-editoriali/memoria-passato/memoria-passato.html">La memoria del passato e la speranza del futuro</a></span><br /><span style="font-weight: bold;">di EUGENIO SCALFARI</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Dopo aver assistito all'anteprima di "Baarìa" che Giuseppe Tornatore ha fatto proiettare in esclusiva per i suoi concittadini, Francesco Merlo ha concluso il suo articolo facendo parlare Nina Campo, una signora di Bagheria che gli ha fatto da guida nella città di oggi e nei ricordi di quella di settant'anni fa.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Voglio qui riportare quelle parole perché hanno un senso estremamente attuale: "Vorrei che partisse da Bagheria una lotta di liberazione della memoria. Basta con c'era una volta. Sa Dio quanto la Sicilia ha bisogno di cambiare tempo alle favole: ci sarà una volta".</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Solo per la Sicilia? O per tutta l'Italia dalla punta e dal tacco dello Stivale fino all'arco delle Alpi?</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">In un libro appena uscito che si intitola "Autobiografia di una Repubblica" lo storico Guido Crainz si chiede e ci chiede: "Che cos'è una patria se non un ambiente culturale, cioè conoscere e capire le cose?" e racconta come e perché l'Italia sia percorsa da un fiume carsico sotterraneo che nell'arco degli anni erompe alla superficie con il suo carico di demagogia, qualunquismo, populismo, vittimismo; un carico fangoso, gonfio di detriti e di frustrazioni, di ribellismo e di conformismo, di anarchia e di passiva obbedienza.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Un fiume carsico così denso e mefitico esiste in tutti i paesi d'Europa e d'America e alimenta minoranze xenofobe e antagoniste collocate ai bordi delle istituzioni.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Ma la triste particolarità nostra consiste nel fatto che qui da noi quel fiume quando emerge esonda coinvolgendo ampi settori sociali e occupando le istituzioni.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Fa parte della storia nazionale e del suo costume. Quando eventi del genere si producono è un grave errore giudicarli incidenti di percorso. E se la nostra democrazia è fragile, se da noi il senso dello Stato è un sentimento larvale, se il rapporto tra la politica e l'affarismo, se le mafie, se le clientele, se la cultura, se gli intellettuali, se la libertà di stampa, se se se...; ebbene tutto ciò ha una spiegazione. Bisogna cercarla questa spiegazione e raccontarla affinché, come ha scritto Crainz, la parola patria acquisti finalmente un senso e la parola democrazia non si riduca ad una giaculatoria sulle labbra dei mascalzoni.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Qualche segnale che dà speranza ha cominciato a manifestarsi. Parlo di segnali culturali perché credo anch'io che un paese devastato non possa avere riscatto se non ricostruisce la memoria del suo passato per poter intravvedere il futuro.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Lotta di liberazione della memoria l'ha definita Nina Campo da Bagheria. Cominciamola dunque questa lotta e non allentiamo l'impegno fino a quando non avremo ripulito il fango e il loto che ha imbrattato l'animo delle persone e le strutture della nazione e dello Stato.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">* * *</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">I segnali provengono da tre eventi che possono sembrare a tutta prima di modesta portata: un film, un romanzo, un saggio. Il film è appunto quello di Tornatore, il romanzo si intitola "Noi" e l'ha scritto Walter Veltroni, il saggio è un libro-intervista di Alberto Asor Rosa ed ha per titolo "Il grande silenzio degli intellettuali".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Sono stati recensiti dai giornali e circolano nelle librerie e nelle sale cinematografiche. "Baarìa" insieme ad altri quattro film è sotto esame per la candidatura alle "nomination" degli Oscar. Non ho quindi alcun bisogno di esaminare l'estetica di questi tre prodotti artistici e letterari e infatti non è questo che mi sono proposto di fare.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Desidero invece capire il nesso che esiste tra di loro, l'impulso che ha mosso i loro autori, il significato della loro simultaneità. Sono stati prodotti tutti e tre nei mesi scorsi e sono stati messi in questi giorni a disposizione del pubblico. Coprono tutti e tre un arco di tempo che va dagli anni Trenta del Novecento ad oggi. Esaminano il percorso di tre generazioni da tre diverse angolazioni sociali. Tornatore rappresenta la saga d'una famiglia e di un ambiente di braccianti, piccoli artigiani, lavoratori senza prospettive di futuro. Veltroni un'altra saga familiare di piccolissima borghesia. Asor Rosa la società dei colti, degli intellettuali e del loro rapporto con la politica.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Abbiamo dunque contemporaneamente sotto gli occhi una società sezionata su tre diversi livelli che nel loro insieme producono una sorta di risonanza magnetica e fanno emergere i vizi le virtù e la forza di quel corpo sociale nel suo insieme.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Vedremo in che modo e con quali esiti.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">* * *</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">I pastori, i contadini e i poveri (sono tutti poveri e poverissimi) di Baarìa sono in stato di schiavitù, non solo degli agrari, dei fascisti e dei mafiosi, ma dei costumi del luogo e dell'epoca. Le donne in particolare. E i bambini.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Così li racconta Tornatore e così erano nella realtà. Chi ha avuto dimestichezza con i contadini del Sud conosce quella realtà che non era soltanto siciliana, era la stessa nelle Calabrie, in Basilicata, nelle Puglie.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Le malattie, la fame, la promiscuità, gli incesti, i tuguri, gli aborti delle mammane, i vermi nella pancia, il tracoma. I funerali con le nenie e i graffi sulle guance delle donne salmodianti, le processioni e l'attesa dei miracoli. I rapimenti delle ragazze e i matrimoni riparatori.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Durò fino alla guerra e oltre. Poi cominciò la grande fiumana dell'emigrazione. I giovani del Sud emigrarono in massa, l'Italia contadina diventò industriale, 5 milioni di ventenni spezzarono le radici che li legavano al Sud e scoprirono di esser cittadini titolari di diritti.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Ma molti l'avevano già scoperto nelle loro terre d'origine rispondendo al richiamo del sindacato e del Partito comunista.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Tornatore racconta questa lotta di liberazione, nella quale caddero sotto i colpi della mafia decine e decine di sindacalisti e di dirigenti del partito. C'è una scena del film in cui il protagonista racconta ad un giornalista come e dove avvennero queste mattanze che hanno costellato la storia di quegli anni.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Il film si chiude con la nuova Bagheria diventata una città "da bere" intasata di automobili e fitta di negozi firmati sull'esempio di Milano, di Roma e di tutto il mondo del consumismo. L'ultimo fotogramma è un poetico flash su un passato miserabile ma riscattato da una dignità che ormai, così racconta Tornatore, sembra un avanzo in disuso.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Sono stato all'anteprima dedicata a Giorgio Napolitano. La sala era gremita e gli onori di casa li facevano i dirigenti di Medusa e di Mediaset com'era giusto che fosse perché il film l'hanno prodotto loro. E chi altri avrebbe potuto in Italia? Un film di sinistra senza ammiccamenti.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Entrando ho visto al mio fianco Pippo Baudo. Mi ha detto: "C'è il regime al completo". Era vero, ma quando il regime è costretto ad applaudire il talento culturale di chi gli si oppone, vuol dire che qualche cosa si sta muovendo.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">* * *</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Il romanzo di Veltroni si muove sullo stesso piano del film di Tornatore, la trama copre lo stesso arco di tempo e scandisce l'evoluzione della società del bisogno e dei doveri a quella del benessere e dei diritti, fino all'ultima svolta e all'ultima metamorfosi in un consumismo stordito e schiacciato sull'attimo fuggente, senza più storia né progetto.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Nel romanzo c'è un elemento in più rispetto al film: la persecuzione contro gli ebrei nell'epoca del nazifascimo e la sostanziale indifferenza degli italiani.</span><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Noi - questo è il titolo - non è un'operazione politica travestita da romanzo, ma un romanzo con un fondo morale, come sono tutti i romanzi veri. Un fondo morale non indicato in forma didascalica ma vissuto attraverso le avventure e i sentimenti dei personaggi, i loro conflitti, i loro affetti, la loro discendenza, i loro successi e le loro sconfitte.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">La voglia dell'autore è quella di raccontare una vicenda collettiva attraverso una saga familiare. Il finale registra una società appiattita e ipnotizzata dentro alla quale cominciano a serpeggiare brividi e bagliori di speranza.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">* * *</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Asor Rosa, intervistato da Simonetta Fiori, racconta il grande silenzio dei colti e una politica diventata spettrale da quando non ha più vissuto nella luce della cultura.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Il racconto ha la forma di una testimonianza in gran parte autobiografica e questo è il suo pregio perché Asor Rosa non ha la pretesa di mettersi fuori o addirittura al di sopra della mischia. Lui nella mischia c'è stato a partire da quando si iscrisse al Pci e ne condivise criticamente gli errori e le virtù. Storicizza la vicenda vissuta dal partito, che abbandonò nel 1956 per poi rientrarvi nella fase berlusconiana. Storicizza non per giustificare gli errori del partito e i suoi, ma per spiegare perché furono commessi. Per capire, arrivando alla conclusione d'una decadenza culturale che ha messo il nostro paese fuori dalla modernità.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Vede lucidamente il fiume carsico che scorre limaccioso nelle vene della società italiana e gli esiti che comporta ogni volta che emerge dal sottosuolo e identifica la debolezza degli argini con la presenza di quei colti che Prezzolini chiamò "apoti".</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Prezzolini fu la figura più rappresentativa degli "apoti", quelli che si mettono appunto fuori e al di sopra della mischia in una posizione solo apparentemente neutrale che in realtà si risolve in un fiancheggiamento delle pulsioni disgreganti e anarchiche del carattere italiano.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">La diagnosi è simile a quelle di Tornatore e di Veltroni. Manca anche in lui, nella sua testimonianza, una terapia e la ragione di questa mancanza è chiara: la sola terapia possibile sta nella diagnosi. Di lì bisogna partire; un compito che non spetta ad una persona, ad un leader mandato da una improbabile Provvidenza, ma spetta ad un popolo che decida di riappropriarsi della sua sovranità come deve avvenire nei tempi di decadenza e di crisi.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold; color: rgb(51, 255, 51);">Un film, un romanzo, un saggio, animati tutti e tre dalla necessità di recuperare la memoria delle cadute e dei rinascimenti. Liberazione della memoria, questo è il loro pregio e per questo li ho qui segnalati.</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">(27 settembre 2009)</span>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-41398493019826167802009-09-24T12:57:00.004+02:002009-09-24T13:10:15.654+02:00Ecosistema: solo animali di peluche!<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAV5lNuDug6kIdt62H8P3jcedr9nvO9_op0HqgAY7iNrktbCwfyskovdM3wPdOnwYFfhHb8eg-PBFPh9dZwQADZN7l0lP96yPdcEjxEk3ll0JurIIyGaZcJ8d5d5LWI-9vymq4LQ/s1600-h/panda_800.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5384988807276166162" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; CURSOR: hand; HEIGHT: 300px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAV5lNuDug6kIdt62H8P3jcedr9nvO9_op0HqgAY7iNrktbCwfyskovdM3wPdOnwYFfhHb8eg-PBFPh9dZwQADZN7l0lP96yPdcEjxEk3ll0JurIIyGaZcJ8d5d5LWI-9vymq4LQ/s400/panda_800.jpg" border="0" /></a><br />SCIENZE/ANIMALI<br /><br /><a href="http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/scienze/estinzione-panda/estinzione-panda/estinzione-panda.html?ref=hpspr1"><strong><span style="font-size:180%;">"Panda troppo costosi, lasciamoli estinguere"</span></strong></a><strong><span style="font-size:180%;"><br /></span><em><span style="color:#cccccc;">Provocazione da Londra. Chris Packham, conduttore di programmi sulla natura della Bbc, lancia la sua proposta: "Sono in un cul de sac evolutivo, stacchiamo la spina"<br /></span></em><span style="color:#ffffff;">di FLAMINIA FESTUCCIA</span><br /><br /><span style="color:#ffccff;">LASCIATE che i panda si estinguano dignitosamente. Un singolare appello contro l' "accanimento terapeutico" che arriva dalla Gran Bretagna, per voce di Chris Packham, famoso naturalista e conduttore di programmi sugli animali. Che ha fatto insorgere gli animalisti.<br /><br />Nella sua intervista alla rivista Radio Times, Chris Packham non è stato tenero con i grandi orsi bianchi e neri simbolo del Wwf: "I soldi spesi per la conservazione di questa specie potrebbero essere impiegati meglio, i panda sono entrati volontariamente in un cul de sac evolutivo". Da qui la proposta di "staccare la spina". Anche perché, ha aggiunto il naturalista britannico, "è inutile continuare a farli riprodurre in cattività se poi l'habitat dove reinserirli non esiste più".<br /><br /><span style="color:#9999ff;">La dieta</span>. Morbidi, pigri, goffi, i panda sono animali davanti ai quali nessuno nasconde un moto di tenerezza. Eppure le parole di Packham hanno un fondamento. Il panda, infatti, appartiene alla stessa famiglia degli orsi, e come quelli tecnicamente sarebbe onnivoro. Anzi, il suo apparato digerente sarebbe quello di un carnivoro, ma da tempo la specie si è adeguata a una dieta composta quasi esclusivamente di bambù. Proprio per le difficoltà di assimilazione delle foglie, il panda ne deve mangiare circa 40 chili al giorno, e la lunga digestione gli conferisce quell'aspetto assonnato da orsacchiotto di peluche.<br /><br /><span style="color:#9999ff;">La riproduzione</span>. Il panda è pigro anche in amore: raggiunge la maturità sessuale molto lentamente, e il periodo fertile di una femmina dura solo due giorni all'anno. Dato che si tratta di un animale solitario, poi, l'incontro tra i sessi non è sempre garantito, e per di più anche dopo l'accoppiamento solo una femmina su tre riesce a portare a termine la gravidanza. In ogni cucciolata possono nascere uno o due piccoli, ma la madre, sia in cattività che in natura, ne alleva sempre e solo uno, abbandonando l'altro. Ma nonostante concentri tutte le sue cure su un figlio solo, la mortalità infantile è comunque elevatissima.<br /><br />In natura sopravvivono circa 1600 panda, secondo le stime del Wwf, minacciati dalla scomparsa del loro<br />habitat per mano dell'uomo. Ma sono molti, soprattutto in Cina, i centri dove si tenta la riproduzione in cattività. Addirittura si sperimenta una tecnica per cui la madre viene "ingannata" scambiando continuamente i cuccioli, in modo che li accetti e li allevi entrambi. Ma il problema sta anche a monte: per favorire l'accoppiamento tra gli animali impigriti e privi di interesse per l'altro sesso, si prova di tutto: dai feromoni ai "video a luci rosse", sperando che la vista di altri panda beatamente intenti alla riproduzione possa far riaffiorare gli istinti sopiti.<br /><br /><span style="color:#9999ff;">Le proteste</span>. Il panda però è e rimane un animale simbolo della lotta per la protezione delle specie, e l'idea di "staccare la spina" ha fatto inorridire molti. "Chris ha detto una cosa sciocca, da irresponsabile", ha dichiarato Mark Wright, studioso di scienza della conservazione e consigliere del Wwf, che ha aggiunto: "I panda si sono perfettamente adattati al luogo dove vivono. Le montagne costituiscono il loro habitat e lì hanno a disposizione tutto il bambù che vogliono". Ma Chris Packham ha rincarato la dose, gettando ombre anche sul futuro delle tigri: "Difendere un animale che vale più da morto che da vivo sarà molto difficile, non credo che le tigri possano vivere altri 15 anni".<br /><br />Tesi logicamente ineccepibili, quelle del conduttore britannico. Che di certo avrebbero suscitato molte meno polemiche se si fosse trattato di zanzare o pipistrelli. Ma pensando ai danni fatti dall'uomo all'habitat di tante specie, agli animali che si sono estinti, ripensiamo ai panda. Per quanto inadatti, inutili e costosi possano essere, siamo davvero pronti a lasciarli andare via per sempre?<br /></span><br /><em>(24 settembre 2009)<br /></em></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibHCA1M9QNgrOR7LlxVYjOrvYGASkALBxyN-zxBVu8OD2Y9QvNLpxkBB83RGweR0od5LMK_U2hl7WXiX-McDwKBVBhA-q5inYx87GDoef-RZg1_yfDyuBKyjbju2dwpq84eqGxPA/s1600-h/panda_01.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5384989146192010466" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; CURSOR: hand; HEIGHT: 286px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibHCA1M9QNgrOR7LlxVYjOrvYGASkALBxyN-zxBVu8OD2Y9QvNLpxkBB83RGweR0od5LMK_U2hl7WXiX-McDwKBVBhA-q5inYx87GDoef-RZg1_yfDyuBKyjbju2dwpq84eqGxPA/s400/panda_01.jpg" border="0" /></a>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33055428.post-5998782826616166662009-09-23T18:13:00.002+02:002009-09-24T14:32:37.688+02:00Evviva i Furbi! ...e peggio per chi non lo è!!<strong><em><span style="color:#cccccc;">Un verbale coperto da omissis tolti da qualche giorno. Parla il manager che<br />ora vive in Thailandia Berlusconi rischia l'accusa di appropriazione indebita </span></em></strong><br /><br /><br /><a href="http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/politica/berlusconi-televisione/lettere-agrama/lettere-agrama.html"><strong><span style="font-size:180%;">Diritti tv, le lettere segrete di Agrama e quei 100 milioni di dollari in Svizzera<br /></span>di PIERO COLAPRICO e EMILIO RANDACIO</strong></a><strong> </strong><br /><br /><br /><strong><span style="color:#ccffff;">MILANO - Agrama e Berlusconi, Agrama e Mediaset, Agrama e i troppi soldi che ballano. C'è un verbale che era stato coperto da omissis, che sono però stati tolti qualche giorno fa. A parlare è, come nei verbali pubblicati ieri, il manager chiamato da Mediaset a sanare un po' di conti e che nella sua impresa s'era imbattuto nello strano caso del signor Frank Agrama, l'amico americano pagato profumatamente.<br /><br />Il manager è Roberto Pace, che ora vive in Thailandia, ma all'epoca aveva voluto vederci chiaro nei conti e non si era accontentato delle rassicurazioni dei vertici aziendali. E nemmeno sentirsi dire che Agrama era un "amico del Dottore", e cioè di Silvio Berlusconi, l'aveva rasserenato. Perciò, un giorno, è il 17 ottobre del 2001, "Aldo Bonomo (ex presidente Fininvest, deceduto, ndr.), che io non conoscevo di persona, mi disse che stava arrivando a Milano il signor Agrama e che dovevamo incontrarci presso la Fininvest. Io andai all'incontro e Agrama era già a colloquio con Bonomo. Il presidente mi chiese di vedere alcuni dati circa l'andamento delle forniture di Agrama e mi domandò per quale motivo ci fosse stata una contrazione degli acquisti. Io gli ripetei i soliti concetti sulla scarsità di budget. E gli sottolineai che la qualità del prodotto non mi convinceva. A questo punto Agrama s'infuriò".<br /><br />Roberto Pace considera Farouk Agrama, ex regista nell'Italia degli anni Settanta, poi trasferitosi negli States e qui diventato Frank, un costo superfluo. Ritiene che la sua intermediazione costi troppo e produca poco: da lui arrivano programmi Paramount non di alta qualità e a un prezzo fuori mercato. Che senso ha? Ma Agrama non ci sta proprio ad ascoltare prediche: "Agrama s'infuriò, tirò fuori dalla borsa un dattiloscritto di pochi fogli e lo dette a Bonomo con aria di sfida, dicendo: "Di queste ce ne ho mille e questa riguarda Bernasconi" (Carlo Bernasconi, il manager Finivest anche lui scomparso, a lungo responsabile del comparto estero del gruppo e cioè anche dei paradisi fiscali ndr.)".<br /><br />Bonomo, racconta Pace, come se rivivesse nella stanza dei pm il momento di gelo in azienda "rimase molto sconcertato. Lesse con attenzione i pochi fogli, li ripose nel cassetto e disse che non era il caso di agitarsi e che tutti sapevano che Agrama era "uno storico amico del gruppo". Aggiunse che era sicuro che io avrei fatto tutto il possibile per accontentarlo e garantirgli i 40 milioni di dollari all'anno di forniture. Agrama non sembrava soddisfatto da queste rassicurazioni verbali e disse che voleva un impegno scritto".<br /><br />Pace non conosce il contenuto dei documenti mostrati da Agrama, ma il risultato prodotto dallo sventolare quei fogli gli è noto. Una settimana dopo quel meeting apre la posta: "Ricevetti per conoscenza una lettera firmata da Bonomo e indirizzata ad Agrama, nella quale gli si assicurava per il futuro un volume d'affari di 40 milioni di dollari l'anno, ovviamente facendo presente che il prodotto doveva essere di qualità".<br /><br />Tutto questo c'entra con Silvio Berlusconi, e gli costa l'accusa di appropriazione indebita, perché, seguendo le tracce del denaro sborsato da Mediaset, di che cosa si accorgono i sostituti procuratori Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro? Che appena i soldi arrivano ad Agrama, una parte resta a lui e un'altra prende la via delle scatole cinesi per arrivare in Svizzera, dov'è stato sequestrato l'equivalente di 100 milioni di dollari. Soldi, secondo la Procura, in gran parte riconducibili a Silvio Berlusconi, l'amico di Agrama, a detta di vari testimoni: dall'ex responsabile dei diritti di Mediaset a Los Angeles Daniele Lorenzano alla sua assistente Gabriella Ballabio.<br /><br />E la forza persuasiva di Agrama sembra avere ragioni molto antiche, come emerge in due lettere. Nella prima, del 30 ottobre 2001, due settimane dopo l'appuntamento in via Paleocapa, Agrama rivendica di aver "fornito alle vostre emittenti dei programmi di qualità prodotti negli Stati Uniti, che hanno consentito alle reti del gruppo Berlusconi di raggiungere i massimi indici di gradimento in Italia... Siamo sempre stati corretti e leali - aggiunge - verso la famiglia, ma il nostro rapporto con l'amministrazione è proceduto a singhiozzo. Abbiamo l'impressione che non venga compreso il nostro ruolo nell'agevolare le attività del gruppo". E c'è la seconda lettera, datata 29 ottobre 2003 e indirizzata ai massimi vertici Fininvest, sequestrata come l'altra nella sede del Biscione in via Paleocapa: "Dal 1976, anno in cui ha inizio la collaborazione con le vostre società, ci adoperiamo in qualità di vostri rappresentanti - scrive ancora Agrama - facilitandovi nell'acquisto di film per tutte le vostre emittenti". Un impegno a largo raggio, perché non solo garantiva fiction, telefilm e cartoons per i tre canali privati italiani, ma "anche per Telecinco in Spagna e per un certo periodo La Cinq in Francia. Abbiamo sempre collaborato con il dottor Silvio direttamente", continua Agrama. Che non capisce, ma proprio non capisce perché gli stiano stringendo i cordoni della borsa.<br /><br />Questo scenario, secondo la Procura, viene confortato dai risultati delle rogatorie in vari paesi del mondo, l'ultima in Ungheria. Con qualche sorpresa: come quando, a Hong Kong, la squadra Narcotici, che là si occupa delle perquisizioni anche nelle indagini finanziarie, fece irruzione all'indirizzo di Paddy Chan e Katherine Hsu Chun, trovando una casetta di pochi metri quadrati e due signori che prima cascano dalle nuvole e, quando apprendono che si tratta di reati finanziari, tirano un sospiro di sollievo, mostrando un evidente disinteresse per la vicenda. In fondo sono soltanto dei prestanome per nascondere, come dice l'atto d'accusa, "che Frank Agrama è sempre stato il reale e diretto gestore di tale attività". E che i cento milioni di dollari bloccati in Svizzera siano ricollegabili "ad illeciti posti in essere nelle vendite di diritti televisivi da parte di Agrama alle società del gruppo Mediaset".<br /><br />Il che costa l'accusa a Silvio Berlusconi di appropriazione indebita e non esclude la contestazione di un reato fiscale per altri manager della società quotata in borsa.<br /></span><br /><em>(23 settembre 2009) </em></strong>danDapithttp://www.blogger.com/profile/10402968270207323189noreply@blogger.com0