25 novembre 2007

/|\ \|/ Passeggiando ...direzione -> CREATIVITA' \|/ /|\


Sbuffando aveva afferrato la rivista e si era gettato sulla poltrona sprofondandovi.
«Sempre le solite storie!», rimuginava fra sé, seccato per l’ultima discussione mentre sentiva nell’altra stanza Manuela sbattere gli oggetti che le capitavano per le mani.
Sfogliò le pagine con lo sguardo torvo, e l’attenzione fu subito catturata dal titolo di alcuni articoli:
«Una relazione creativa».
«Amo amare».
«Per esprimermi senza offenderti»
… Restò perplesso e richiuse la rivista per guardarne il sottotitolo. “Numero Speciale. Il Dialogo”. (*)
Spalancò gli occhi per la sorpresa. Una coincidenza?
Riaprì iniziando a leggere le prime righe:

«Dialogare non è una cosa semplice. È più facile parlare e dire agli altri in cosa stanno sbagliando, cosa dovrebbero fare. Giudicare e puntare il dito su errori e difetti. È più facile anche aderire tacitamente, seguendo le indicazioni di una persona di cui mi fido o che temo, mettendo via il mio pensiero, le ricchezze della mia esperienza umana, lasciandomi passivamente convincere.
Quando si discute in genere qualcuno ha ragione e qualcuno ha torto. Qualcuno vince e qualcuno perde, ma non per la giustezza di ciò che si dice. Spesso vince il fatto di alzare la voce, e a perdere è la paura, silenziosa, di esistere. La paura delle conseguenze. Si può vincere grazie a prepotenza e cocciutaggine, e perdere per pigrizia, per la non voglia di tirare fuori da sé l’energia necessaria a una discussione. Ma questo non è dialogo. È usare le parole o scegliere di non usarle, all’interno di giochi di potere, calcolando tornaconti personali. Non è malafede, ma abitudini malate. L’abitudine a pensarsi soli. O superiori. O inferiori. O incomprensibili al mondo. Incapaci di emergere dalla mancanza di coraggio.
Per dialogare non bastano le parole. Non sempre chi parla è in grado di far nascere un dialogo vero tra le persone. Serve altro. Serve un desiderio aperto, pulito, potente – non autoritario. Un desiderio che costringa la voglia di sopraffare a tacere, e la paura di dire a esporsi.
Amo amare, e scelgo di farlo perché questo mi fa sentire libertà e vita, mi fa guardare avanti. E tornano le parole, tornano i silenzi, quelli dell’ascolto, quelli necessari per lasciare spazio agli altri di esporsi.

Dialogare è una sfida, ma non contro qualcuno. È una sfida contro la propria resistenza ad aprirsi agli altri, donarsi senza avarizia o secondi fini, con attenzione, parole, tenacia, desiderio. Non significa simulare pace né pretendere di essere ascoltati. Ma donare tutto quanto si ha: punti di vista, esperienze, tempo, ascolto. Mettere tutto in circolazione con la fiducia che ogni cosa viaggerà, anche se le risposte non saranno immediatamente belle o pacifiche, anche se le risposte possono mettere in crisi le certezze.»

- Manuela! …Manuela? Dove sei? Voglio leggerti delle cose interessanti!
- Uffa, Enrico! Sono in bagno… Sto lavandomi i capelli, non dobbiamo uscire?
- Allora mentre tu fai lo shampoo, io leggo. Va bene?
- E quando accenderò il fon?
- Manu, dai! …Intanto inizio a leggerti qualcosa, no?
- Ok…
- L'argomento è il “dialogo”. Un articolo io l'ho già letto, proseguo con te… Ascolta…
«Un dialogo è qualcosa in cui si capita, in cui si viene coinvolti, dal quale non si sa mai prima cosa “salterà fuori”, e che si interrompe non senza violenza, perché c’è sempre ancora altro da dire... Ogni parola ne desidera una successiva; anche la cosiddetta ultima parola, che in verità non esiste».
Che ne dici? Non è interessante? …Continuo:
«Questa recente affermazione del filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer esprime quella che, in una parola, è la caratteristica principale del dialogo: l’imprevedibilità.

Il dialogo è una questione di cuore, non di strategia. Dialogare non è convincere, comandare o insegnare, forme di comunicazione a senso unico, che puntano a ottenere “quel” preciso risultato. È l’opposto dello scambio basato sui rapporti gerarchici, e sull’oppressione. In un dialogo nessuno ha il monopolio della verità e non ci sono criteri di verità assoluti. Dialogare significa lavorare sui fraintendimenti, significa mutualità, condivisione e reciprocità. Il dialogo nasce quando c’è l’accettazione dell’altro/altra, il riconoscimento di una pari dignità delle persone senza pretesa di certezze e verità assolute a favore della relazione intersoggettiva.
Entrare in un dialogo significa entrare nell’incertezza di un gioco il cui risultato finale non è prevedibile dall’inizio. In un vero dialogo, non possiamo controllare l’altro, le domande che ci porrà, le domande implicite che le sue risposte faranno sorgere in noi e modificheranno di continuo il rapporto con i nostri pregiudizi e quindi il nostro orizzonte del presente».
- Sì, interessante… Ora devo accendere il fon, finiamo dopo?
- Manu, solo due righe ancora, poi lo finisco da solo… Ci vuole un attimo, senti:
«Il dialogo è una relazione creativa.»
… Pensa Manuela, ci vuole creatività per dialogare! E poi:
«È il modo del filosofare, per Socrate, la via lungo la quale si sviluppa la ricerca. È libertà, apertura di nuovi orizzonti, di nuove idee, un processo in continua evoluzione. La creatività fiorisce se si aprono il cuore e la mente: comprendendo le motivazioni di ciascuno, si scoprono nuovi spazi di confronto e si cercano nuovi punti di contatto.»
…Quindi è ricerca, è ampliamento, arricchimento! Non è voler convincere l’altro del proprio modo di pensare e quindi limitarlo entro i propri confini mentali!
- Enricuccio? Se tu non vuoi che facciamo tardi per uscire, adesso devo accendere il fon! ...Certo, però! ...Effettivamente... che caso quest'articolo subito dopo la nostra discussione, eh!
- Perciò volevo leggerlo con te!
- Va bene, lo concludiamo dopo… Tu sei pronto?
- Sì, sì… Ah, senti qui, parla della lotta nonviolenta portata avanti da Gandhi:
«C’è una fondamentale peculiarità nella nonviolenza: puntare sulle qualità e non sui difetti dell’avversario. Parlare e agire non per provocare sofferenza bensì riflessione.»

- Accendo il fon, ma ti voglio molto bene. Sloggia!
Enrico sorrise e tornò alla poltrona. Gli occhi scorsero ancora alcune righe sull’articolo che aveva interrotto.

«…Presupposto fondamentale del dialogo è l’empatia, che è la capacità che hanno gli esseri umani di capire il mondo dall’esperienza soggettiva dell’altro. Essere in grado di ascoltarlo e di capire il suo mondo soggettivo, comprendere il suo punto di vista mettendoci da parte, cercando cioè di non filtrarlo attraverso il nostro modo di vedere le cose. Il colloquio tra due individui a cui manca il senso dell’altro potrebbe apparire un dialogo, ma in realtà è un semplice scambio di dichiarazioni unilaterali. Viene a mancare inevitabilmente la comunicazione».
- Enrico? … Io sono pronta! Andiamo?
- Un secondo, senti…
- Eh, no! Infilati le scarpe ora! …Dà qui, dove sei arrivato? Hai usato anche l’evidenziatore? ...Deduco che sia dal punto ancora in bianco!
Allora:
«Secondo il filosofo Giuliano Pontara, una caratteristica di una personalità aperta al dialogo è il “fallibilismo”, un atteggiamento spirituale mutuato dall’ambito scientifico secondo cui un individuo che vuole veramente dialogare deve essere sempre disponibile a mettersi in discussione.» …Questo sei tu, no? Infatti sei sempre pronto a metterti in discussione!
- Manuela? Stai provocandomi? …Ho le scarpe, possiamo andare. Porta la rivista, la leggiamo in auto.
- Sì, finisco il rigo, lo avevo interrotto:
«L’opposto del fallibilismo è il dogmatismo.»
- Andiamo, scendiamo in garage. …Io non sono dogmatico!
- Ah, no? Non vuoi mai nulla fuori posto, secondo te la vita è solamente come la intendi tu... Vuoi il matrimonio, per esempio, mentre per me si può convivere senza contratto!
- Manuela…manca molto alla fine dell’articolo? Dai, leggi mentre guido, per piacere!
- Ok. Leggo. …
«Base di partenza per parlare con gli altri è la capacità di parlare con noi stessi, per comprendere profondamente le motivazioni che ci spingono a sostenere quella o questa posizione. Essendo consapevoli che il nostro linguaggio, il nostro bagaglio esperienziale e le nostre strutture mentali non sono assoluti, ma legati alla nostra cultura e alle nostre tradizioni.»
…Incredibile! Si conclude così! …Stavamo appunto parlando del valore che tu dai al matrimonio…
- Ah, Manuela, se riuscissimo a trasformare questa lettura in qualcosa di concreto fra noi!
- Già! ...Se tu vuoi il matrimonio e io no, quale può essere la soluzione arricchente che prende in considerazione i nostri diversi punti di vista senza scontri?
- Facciamo una cosa, Manu... Godiamoci la serata, poi quando torneremo a casa faremo l’amore! Vedrai che ci verrà un’ispirazione!
- Molto spiritoso e costruttivo!
- Come sei bella! Non ti avevo ancora guardata…
- Gradevole questo dialogo, continua pure…
- In effetti, perché vivere secondo delle regole? È così bello inventare…
- Enrico? Attento, le calze si possono smagliare…
- Che importa? Andiamo a cena con le calze smagliate, perché essere tutti perfetti? Lasciati accarezzare!
- Ti adoro quando molli gli ormeggi…


(*)
Gli articoli riportati sono stati estratti dalla rivista "Buddismo e Società" (dal Numero Speciale sul Dialogo, anno 2002) =


Il post qui sotto è un articolo (2006) quasi integrale che segue lo stesso argomento:

""" Per Esprimermi Senza Offenderti """


Giornalismo di Pace.
Intervista a Pat Patfoort, antropologa e dottoressa in biologia umana.

Secondo la sua teoria, la nonviolenza e la violenza hanno origine da situazioni in cui sono presenti punti di partenza (caratteristiche, comportamenti, opinioni, punti di vista di due persone o gruppi di persone) diversi che, se si lasciassero coesistere l'uno accanto all'altro senza associare loro giudizi di valore, non rappresenterebbero un problema.
Purtroppo, come mostra Pat e come è facile osservare e sperimentare nella quotidianità, il modo solito e diffuso di affrontare questi fattori o punti di partenza diversi è il modello Maggiore-minore o modello M-m: ciascuno cerca di presentare il suo punto di vista, o comportamento, o caratteristica, come migliore di quello dell'altro. Ognuno cerca di porsi nella posizione M e di porre l'altro nella posizione m.
Nel modello M-m si usano argomentazioni che hanno la funzione di mettere se stessi dalla parte della ragione, e che è possibile raggruppare in tre tipi:

  • 1. argomentazioni positive: si cercano aspetti positivi del proprio punto di vista per dargli valore;
  • 2. argomentazioni negative: si citano aspetti negativi del punto di vista dell'altro per sminuirlo;
  • 3. argomentazioni distruttive: si cercano aspetti negativi dell'altro per sminuire la persona.
Attraverso tali argomentazioni ciascuno cerca di rafforzare il proprio punto di vista in opposizione all'altro, con l'obiettivo di prevalere.
Il modello M-m è così alla base della violenza, alla sua radice. È certamente naturale volersi difendere, voler sopravvivere, ma ciò può avvenire non necessariamente ponendo l'altro in posizione di inferiorità. Il modello M-m è solo uno dei modi possibili e forse il più facile. È però così comune e diffuso che si ha l'impressione che sia l'unico o quello più naturale.

Un altro modo di affrontare una situazione di partenza con due punti di vista diversi è il modello dell'Equivalenza o E. Questo è il modello che sta alla base della nonviolenza. Esso fa sì che ci si possa difendere ma non a spese di altri, contro qualcuno o in modo offensivo, come nel modello M-m.
Con il modello E ci si concentra sui fondamenti, che sono i fattori che soggiacciono ai vari punti di vista: motivazioni, bisogni, interessi, obiettivi, valori. Elementi sia emotivi, sia razionali. Ci si preoccupa di far emergere ed esplicitare i fondamenti, che spesso non sono espressi e di cui le persone non sono neppure consapevoli, e li si considerano tutti sullo stesso piano, senza dare giudizi di valore.
Per adottare un atteggiamento equivalente (E) verso gli altri, infatti, è indispensabile valutare i fondamenti di entrambe le parti: da una parte esprimere i propri in modo chiaro, dall'altra aprirsi a quelli dell'altra persona, ascoltarla, accettarla. A partire dalla raccolta di tutti i fondamenti è possibile trovare soluzioni che soddisfino entrambe le parti.

A seconda che si segua il modello M-m o il modello E, la soluzione di una divergenza di opinioni è completamente diversa: nel primo caso si tratta di un sistema bidimensionale in cui ci sono solo due possibilità, ha ragione uno o l'altro, nel secondo ci sono tante soluzioni che si creano sulla base della raccolta di tutti i fondamenti presenti nel conflitto, sia di una parte sia dell'altra.

Pat Patfoort si è avvicinata alla nonviolenza e ha elaborato il metodo dell'equivalenza partendo dalla sua storia personale e dal suo ruolo di madre.

L'abbiamo incontrata a Torino i primi di dicembre dello scorso anno in occasione del convegno "La mediazione: dal livello interpersonale al livello internazionale" organizzato dal Centro Studi Sereno Regis, e l'abbiamo intervistata.
Quali sono i momenti salienti che l'hanno condotta all'esperienza attuale di mediazione dei conflitti?
Tutto è partito dalla mia educazione: non ho mai tollerato il fatto che ci fosse incoerenza tra ciò che gli adulti chiedevano di fare ai bambini e ciò che essi stessi facevano, e ho desiderato fin da bambina di non riprodurre lo stesso comportamento, quando fossi stata a mia volta madre. Volevo trovare delle risposte per fare altrimenti.
Ho inoltre vissuto un dramma familiare quando avevo diciannove anni: mio padre se ne è andato con una donna della mia età e non è mai più tornato a casa. La mia relazione con lui non si è interrotta ma, visto che mia madre soffriva moltissimo, per anni ho considerato lei una vittima e mio padre un mostro. Solo successivamente ho capito che le cose erano molto più complesse rispetto a come le avevo interpretate inizialmente e che piuttosto che una vittima e un carnefice entrambi erano vittime, vittime di una certa educazione, vittime di un certo modo di comunicare...
Mi sono preparata alla nascita dei miei figli da tutti i punti di vista: biologici, psicologici ed educativi, ho approfondito le mie intuizioni con studi teorici, ma ho anche riflettuto sulla mia esperienza, aprendomi all'influenza di altre culture e cercando di mettere in relazione tutto ciò che avevo imparato in Occidente e in Africa.
La mia famiglia d'origine mi ha sempre scoraggiato rispetto al modo in cui intendevo educare i miei figli, mi dicevano che non era possibile ciò che invece ho poi sperimentato come normalità in Africa Occidentale, Mauritania, Burkina Faso, Senegal, dove ho vissuto per alcuni anni con mio marito e dove sono nati i miei figli.
Può spiegarci concretamente come funziona il metodo dell'equivalenza?
Ecco un esempio.
Scuola materna, in classe. Stefano e Giulio stanno litigando per una macchinina rossa.

«È mia!» urla Stefano. Afferra la macchinina con la mano e sta sulle punte dei piedi per tenerla più in alto possibile in modo che Giulio non possa toccarla.
«No, bugiardo! È mia!» ribatte Giulio, urlando mentre tira i capelli a Stefano.
La maestra può intervenire in diversi modi. Consideriamo quelli che ci sono più familiari:
  • 1. la maestra interrompe il litigio fra i bambini sottraendo a entrambi la macchinina finché non sarà chiarito a chi appartiene;
  • 2. la maestra intima ai due di non litigare e allontana fisicamente l'uno dall'altro, dando loro compiti in luoghi diversi della classe;
  • 3. la maestra sanziona Giulio per il fatto che sta tirando i capelli a Stefano.
In tutti e tre i casi la maestra affronta il conflitto con l'approccio M-m e in questo modo non lo affronta veramente, non lavora verso la soluzione. Si pone come obiettivo l'interruzione della lite, allontana i due compagni l'uno dall'altro o dà la colpa a una delle due parti. Nel primo e nel secondo caso entrambi si sentono in posizione m, nel terzo una delle due parti. Questo condurrà a ulteriori escalation o catene della violenza.

Nell'approccio E, invece, la maestra non cerca di tacitare il problema il più rapidamente possibile fin dall'inizio, allontanando i bambini l'uno dall'altro o togliendo l'oggetto del contendere dalla situazione. Non cerca neanche di dare la colpa a qualcuno, né di mettere qualcuno in posizione di minore nei confronti dell'altro. Al contrario si sforza di introdurre e sostenere l'Equivalenza fra i due bambini. Quindi parla a entrambi insieme, non solo a uno dei due, chiede a entrambi cos'è successo e non focalizza l'attenzione solo sull'ultima parte del litigio.
Ascolta i due bambini allo stesso modo, e considera le spiegazioni di entrambi, i loro fondamenti, anche se inizialmente non combaciano. Poi cerca di metterli insieme e, magari si può scoprire che entrambi hanno detto la verità e non che uno dei due ha mentito (come sarebbe pensabile di primo acchito) in quanto entrambi hanno ricevuto in regalo la stessa macchinina ed entrambi l'hanno portata a scuola. Si aprirà lo spazio per cercare la macchinina mancante e ricomporre la relazione tra i due. Se la maestra non avesse seguito il processo dell'equivalenza, ma avesse validato la versione dei fatti che le sembrava più convincente, avrebbe accusato ingiustamente qualcuno dei due di mentire o, altrettanto ingiustamente, lo avrebbe punito.
Quanto spesso accade questo?

E quanto spesso i conflitti, a tutti i livelli, vengono negati, fuggiti o "risolti" velocemente?
Stare nel conflitto è certamente difficile e richiede l'impiego di tempo ed energia, ma i frutti dal punto di vista della sanità delle relazioni sono assicurati.

Il punto forte del suo modello sembra essere quello di offrire un'alternativa, e i suoi workshop, le sue mediazioni sono delle occasioni per praticarla. Vuole dire qualcos'altro?
È importante per me dare un messaggio di speranza. Quando lavoro, soprattutto con i giovani, spesso mi dicono che è impossibile per loro comportarsi in un modo diverso da quello che hanno sperimentato fino a quel momento. È terribile che i giovani non abbiano la speranza di poter vivere diversamente, di poter comunicare in un altro modo, la speranza di uscire dai ruoli conosciuti.
Vorrei che le persone potessero dire: «Il sole esiste ancora!», sperimentare che c'è qualcuno che dà loro rispetto, che si comporta in un'altra maniera; vorrei che pensassero che anche loro possono fare la stessa cosa.

È chiaro che comportarsi sempre in modo equivalente non è ancora possibile, ma ciò non vuol dire che sia impossibile.

Si tratta di fare esercizi per sperimentarsi nell'equivalenza. La cosa importante è riconoscere i meccanismi della violenza, ricaderci è normale perché siamo stati educati in questo modo. Ma rendersene conto e capire che stiamo facendo un errore è il primo passo, si tratta poi di fare tanti esercizi per non sbagliare più.
(da: "Buddismo e Società", gen/feb 2006)


  • Bibliografia:

14 novembre 2007

§§§°° ^ TEMPI MODERNI ^ °°§§§


Nell'ampia sala da toilette donne avvolte in teli di lino con lunghe trecce sulle spalle nude indugiano, tra vapori d'acqua calda, in chiacchiere d'intimità divertita e in carezze d'oli sulla pelle. Rituali di bellezza e dolce momento di scambi, restano il crocevia d'un mondo femminile nello scorrere dei tempi che marciano.
Minuscolo il bagno in cui Elena e Sofia s’incontravano litigandosi il lavabo, con volti assonnati e ammaccati dalla cespugliosa zazzera di capelli arruffati.
Gomitate per la conquista d’un angolo dove strofinarsi i denti, e risa davanti all’esteso specchio incastonato fra le maioliche, invito irrefrenabile a battute sulla comica, scarsa avvenenza nel risveglio di mattini estivi dopo aver poltrito a lungo nel letto.

Elena, esile corpo ancora acerbo nei suoi dodici anni, osservava la trasformazione che procedeva giorno per giorno.
Sofia sorrideva divertita, godendosi il maturare di quel frutto sotto ai suoi occhi di madre. Viso con soffici gote da bimba e lo sguardo vispo e brillante. Delicatezza ed acume, il cocktail di quei lineamenti da bellezza di bocciòlo.

- Mamma… secondo te, io piaccio ai ragazzi?
Fissava sé stessa riflessa, quasi chiedesse parere allo specchio aspettando responso nel suono della voce materna.
- Certo, guarda quanto sei bella!
- Nooo… Tu parli del viso… Invece i ragazzi hanno gli occhi puntati sul seno! Tutti quanti a dirmi che ho poche tette…
- Ma che dici! Il tuo seno sta crescendo... e il cambiamento già si nota, dagli tempo!
- Ma vedi che non riempio i top? Le mie amiche portano già la seconda misura…
- Elena, sei bellissima, non farti venire manie e complessi! Sei simpatica, intelligente, sempre al centro dell’attenzione, e ovunque vai c’è qualcuno che ti viene dietro!
- Non è vero! Non piaccio a nessuno! Lorenzo mi ha mostrato la foto della sua ex fidanzata, e dovresti vederla! Altro che me, lei di seno ce ne ha!… Lui stesso, sai che mi ha detto? «Eh, Elena, se tu avessi più tette… ma invece sei piatta!»
- Ma siamo pazzi? Cos’è ‘sta storia? Queste cose non si sentivano quando io avevo 12 anni! Ah, già! Il mito delle forme, le immagini tra Veline e maggiorate della televisione! Ora i ragazzini si infatuano e snobbano a dodici anni già in base a requisiti di curve! Bel punto di partenza per i futuri valori maschili e femminili…Vuoi dar credito a questo modo di pensare? Il problema non sono le tue tette o la loro misura, piuttosto una cultura nata da cervelli di taglia piccola!
- Comunque sia, non piaccio! E a ripetizione mi sbattono in faccia che non ho tette…
- Oh, senti Elena! Per carità, non farti condizionare da queste cose! È come se tu, per valutare quanto un ragazzino ti piace, gli guardassi quanta collina ha in mezzo alle gambe. ...Per caso ti soffermi su quanto è gonfio sotto alla chiusura lampo? Scommetto che non ci hai mai pensato.
- Mamma! Ma scherzi? Ah, ah, ah! Ti pare? No, mai m’è passato per la testa…
Elena rideva immaginando la scena.
- Ecco, la prossima volta che ti fanno apprezzamenti sul seno, rispondi chiedendo loro quanto sono gonfi lì!
- Sìììì… buonanotte!! Ti pare che posso dire una cosa del genere?
- Ah! Quelli invece si permettono di valutarti in base alla grandezza delle tue tette!
Si scrutarono negli occhi e Sofia, divertita dall'idea che l'attraversava, continuò gongolante di gioioso entusiasmo.
- Pensa un po’... Tu che, con lente d'ingrandimento in mano t'avvicini ai pantaloni, e fai: «Mmmhh, qui c’è poca roba, non mi piaci! Vediamo un altro…»
-
Ah, ah, ah! Mamma, sei matta! Te lo immagini?
Sofia mimava la scena, Elena guardava la madre ridendo come fosse il suo clown personale.

Il gineceo nella Sala della Toilette si riempì d’ilarità.
L'adolescente si tuffò sotto la doccia tra chiacchiere e confidenze, la donna si spalmò di crema la pelle.


Luglio, agosto, settembre volarono.
Elena controllava la sua crescita e compiaciuta notava il lento tornirsi. Poi, scostandosi dallo specchio mostrava orgogliosa e raggiante a Sofia la sua comparazione da donna.
Ora al mattino si correva, e solo nel weekend il bagno tornava ad essere il crocevia di spintoni e risate, battute e occhiate.

Sofia osservava di sottecchi la trasformazione, mentre parlavano d’ogni cosa accadesse.
Il cellulare di Elena risuonava di squilli, e Sofia si divertiva con quella bimba, quasi adolescente, che da sempre le ricordava l’intraprendenza al peperoncino d’una Pippy Calzelunghe.

I vestiti estivi erano spariti dai cassetti, calze e stivali riparavano dai primi freddi.

Era intenta, Sofia, a girare la pagina del calendario sul mese di novembre ormai iniziato da alcuni giorni, quando Elena entrò come turbine dalla porta di casa, e pari al vento che alza a mulinello le foglie sul marciapiede, ogni cosa attorno a lei sembrò volteggiare nell’aria.
- Mamma, mamma! Devo raccontarti di corsa l’ultima!
- Caspita! Cosa è successo?
Elena sfoggiava un sorriso vittorioso e rideva nell’eccitazione di voler condividere la novità.
- Oggi Federico a ricreazione s’è avvicinato e ha chiesto a Ginevra che misura portasse di reggiseno… Eravamo un gruppetto, sai, tutti lì… Insomma le chiede: «Che porti, Ginevra, la seconda o la terza?», e Ginevra risponde: «La seconda abbondante», a quel punto Federico si gira verso di me e fa: «E tu Elena? Porti la retromarcia?»… Io non ce l’ho fatta più, mamma! Eh, no! M’hanno proprio stufato! Gli ho risposto!

- E cosa?
- Gli ho detto: «E tu la retromarcia ce l’hai nelle mutande?»
Stupita Sofia studiò con attenzione Elena.
- Urca! …L’allievo supera il maestro… Ma poi? Com'è andata? ...Cosa t'ha risposto?
- Niente. È rimasto così.
- Così? …Nessuno ha fiatato?
- Beh, no… Gli altri attorno hanno mormorato… Ci sono state delle esclamazioni: «Oh, ah ah! Ammazza!!!», insomma silenzio e risatine sotto… Sono rimasti così, sai, forse sorpresi… Lui ha fatto una faccia!! Sì, un mezzo sorriso, come imbarazzato, ed è stato zitto.
- Caspita Elena, che pepe sei! Congratulazioni!
Col sorriso sulle labbra Sofia osservava il viso dispettoso e soddisfatto di Elena, poi scoppiò a ridere.
- Sei terribile!!
Continuarono a guardarsi l'un l'altra incredule, ridendo insieme.



04 novembre 2007

## § Woman Surprise § ##


“Spingeva decisa e con vigore sui pedali della bicicletta, voleva la strada libera davanti a sé, senza pedoni, auto o animali che la costringessero a frenare. I pensieri bruciavano e i muscoli delle gambe imprimevano velocità mentre lei a collo eretto tagliava l'aria col viso scorrendo in avanti, scorrendo via, inseguendo una pellicola di film che andasse oltre, in un tempo che con un balzo fosse già il successivo… «Six months later».
E via! Obliate le scene più drammatiche, via, verso la felicità.

Poco prima era ancora in cucina, l'usuale buongiorno alla mattina, sfogliando il giornale.
Lo sguardo s'era appoggiato là, assorbendo l'articolo mentre la mente, formica instancabile, allineava sequenze di scene recenti, tornate di botto a schiumare in lei. Cold case della vita.
La giornalista aveva forgiato col fuoco il suo pezzo denunciando l'ennesima violenza su di una donna, e Dina, sorseggiando orzo bollente, era rimasta impigliata –come lana su ritorti fili metallici- alle parole dell'Altieri. (*)

«Proprio non mi riesce di intascare indifferentemente la notizia: un'altra donna violentata e massacrata di botte . Quanto fa? cinque, dieci, venti?
Sì, torno a parlare di donne e ci tornerò ancora e ancora, fino a quando avrò un filo di voce e una tendinite fulminante non m'impedirà di schiacciare lettere sulla tastiera.
Io provo rabbia. Non si tratta di provenienza geografica, ma di uomini e donne che non si riconoscono ancora la medesima qualità di persone.
E allora lo domando agli uomini: «cosa dobbiamo fare? Cosa dobbiamo fare per farvi entrare nelle teste che non siamo solo un buco con un po' di curve attorno? »
Mi pare che non abbia funzionato il sistema di ammantarci con veli e burqa, dobbiamo forse rispolverare le cinture di castità e buttare le chiavi nell'oceano? Iniziare a fare a botte da adolescenti sì da temprare le ossa per una futura lotta? Armarci e sparare in fronte al primo che ci fa un complimento? Mortificare cura e bellezza, in modo che questo corpo non susciti più istinti se non di disgusto? O forse potremmo cavalcare le strade ammiccanti, con un cartello al collo: sotto non indosso slip, accomodatevi!
Donne, la dobbiamo smettere di attenderci che “loro” capiscano: basta con questa femminilità che ci hanno cucito addosso. Basta!»

Parole che evocano immagini, lo scomparto di memoria e pensieri fragilmente socchiuso, s'apre. Pinze, martelli, spilli e chiodi si rovesciano nel cuore. Dina smette di sorseggiare il suo orzo, appoggia la tazza sul tavolo. Lo stomaco è chiuso mentre gli occhi cercano svago. Davanti alla porta di casa staziona la bicicletta. La sua bici. La imbraccia e scende le scale.
Pedala con foga. Le frasi della giornalista le sfrecciano in testa come pietre scagliate.
“Rispolverare le cinture di castità e buttare le chiavi nell'oceano?” …“Mortificare cura e bellezza, in modo che il corpo non susciti più istinti?” …“Cavalcare le strade ammiccanti, invitando con provocante nudità suggerita?”…
Una morsa alla coscienza collegare la lapidaria realtà, schiacciata al muro da quelle frasi, alle risposte che lui era stato capace di darle.
Respira a fondo l’aria che va schiaffeggiandola in corsa libera. All'interno si compone la scena, uguale a fotogrammi proiettati su di uno schermo.
- Chuck? Ciao, sono Dina.
- Ciao Dina… come stai?
Sembrava fossero passate poche ore dall'ultima volta, non trecentosessantacinque giorni.
- Com’è che mi chiami?
- Vorrei vederti. …Per un confronto.
Dentro di lei s’erano sovrapposti e premevano pensieri e memorie nel caos d’un silenzio forzato. Aveva troncato di netto, ma lo aveva amato. Ancora si chiedeva perché l’avesse tradita. E adesso? Le loro vite scorrevano distanti, sconosciute, conservando risentimento.

L’accaduto era irrecuperabile, ma guardarsi in faccia aveva il valore d’una pietra miliare.
Erano saliti in auto dopo un breve saluto, lui alla guida, lei accanto. Una sconosciuta sensazione di riserbo la permeava nell’incrostazione d’un ghiaccio cresciuto giorno dopo giorno. Doveva superare l’ostacolo dell’orgoglio ferito e lo desiderava, per creare terra di scambio.


Le prime parole entrarono fra di loro nell’abitacolo arrancante su strade notturne.

- Allora… perché volevi vedermi?
- Te l’ho accennato, mi piacerebbe un confronto fra noi.
- Ah, già! E spiegami, come hai scoperto di Anna?
- Inevitabile… La mia psicoterapeuta!
- No… Non è per quello che l’hai scoperto, chi te l’ha detto? Eh? Sentiamo!
- Ma scherzi, vero? Sarei forse io a nascondere qualcosa? Sarei io a falsare la realtà?
- Ah, non rispondi, eh? Stai cambiando discorso! Sono certo che non è accaduto per caso. Ne sono sicuro! Sicuro. Sii sincera, tanto so che non è come dici.
Inaspettate urla le si spinsero in improvvisa eruzione dal petto. Non era così che aveva immaginato l’incontro, eppure stava gridando fuori di sè mentre lui guidava, e ogni particella di pensiero, emozione, dolore custoditi fino a quel momento si rovesciò, torrente in piena, scroscio violento che trascina detriti, rami, fango, sassi, giù giù, rovinando a valle, denso e torbido di fango e sporcizia.
- Non aveva valore per te ciò che c’era fra noi? La nostra sessualità? Non avevi sempre detto che era speciale? Avevi bisogno di scopare con un’altra?
- Uh, ma che vuoi che sia!
- Cosa? …E se io avessi scopato con altro? …Eh?
- Tu saresti stata una puttana! Ha, ah! Per te dovevo essere importante solo io! Ma dai, che vuoi che siano le scopate con Anna… Per un uomo è diverso. Certo che la nostra sessualità aveva valore! Anna non toglieva nulla, anzi! Con te era molto più bello! …E poi sapessi quanto era gratificante volare di fiore in fiore, il mio ego era così pieno, così …ah! Forte! …Ed ora cosa dovrei fare? Cospargermi il capo di cenere?
- “Che vuoi che sia”, rispondi? Che vuoi che sia? …Cospargerti il capo di cenere? A me non interessa la colpa. L'attenzione prima di agire, è responsabilità. Con il tuo finto senso di colpa non ci faccio niente! Nelle tue parole c’è la superiorità di qualcuno che non ritiene d’aver sbagliato, potresti rovesciarti un secchio di cenere sulla testa, io non sono il sacerdote che ti dà l’assoluzione! Ma riesci a renderti conto di ciò che dici?
- Ecco, è questo modo di fare che non sopporto. Tu vuoi impormi la tua visuale. Ciò che per te ha valore, deve valere anche per me? Siamo diversi, non la vedo come te. Meglio restare distanti, lo abbiamo fatto finora. Non c'è comunicazione.
Aveva voluto incontrarlo per un confronto. Un amore da non gettare nella spazzatura, con un passato da rinnegare. Di fronte a lei un uomo che l’aveva tradita con l’orgoglio d’averlo fatto. Non c’era altro.
Pedalava con lentezza adesso, lasciando che lo sguardo si perdesse tra le foglie gialle ormai rade sugli alberi, seguendo poi il loro staccarsi e volteggiare smarrite nell'aria umida. Sentì tristezza e delusione unite in un vuoto, poi la musica d'una vecchia canzone che emergeva attraversandole la mente, come fantasma, girando a disco in parole galleggianti a ritmo, dolcezza in amarezza.
« Andrea aveva un amore, Riccioli neri »
« Andrea aveva un dolore, Riccioli neri »
Le foglie si sdoppiarono attraverso la lente delle lacrime che affioravano.
« E Andrea l'ha perso, ha perso l'amore, la perla più rara »
« E Andrea ha in bocca un dolore, la perla più scura »
In una lacrima che il vento raffreddò sulla pelle canticchiò ancora.
« Andrea aveva un amore Riccioli neri »…
Andrea ha in bocca un dolore.
Aveva tentato, lei, di comunicare con un cuore. La perla più rara.
Non le restava che pedalare. Oltre.”


La scrittrice posò la penna.
Il racconto era pronto. L'indomani l'avrebbe trascritto al computer e inviato alla redazione.
Appallottolò i fogli scarabocchiati delle correzioni gettandoli nel cestino con un lancio di soddisfazione. Poi alzandosi si accese una sigaretta aprendo la finestra.
Sentì il motore di un'auto posteggiare lì sotto, si sporse e lo vide.
Aspirò con maggiore avidità dal filtro dirigendosi al fornello per bollire dell'acqua. Il campanello suonò perentorio. Restò davanti al boiler che si scaldava sulla fiamma.
Il suono della porta fu ancora più lungo e insistente.
Gli aprì.
- La devi smettere!
- Di far cosa, Corrado?
- Di pubblicare racconti che parlano di noi, soprattutto di me!
- Non c'è il tuo nome, né l'indirizzo, né la foto, nessuno sa che sto parlando di te, o che ci siano riferimenti autobiografici.
- Perché lo fai? Ti vuoi vendicare?
- No. Voglio parlare di come gli uomini vivono le storie che per le donne sono d'amore. Per voi, invece, solamente sesso.
- È letteratura?
- Non lo so se può essere letteratura, è attualità. È valore che posso costruire attraverso la penna. Sono stufa di sentire e vedere che le donne sono solamente un corpo di cui sfamarsi. Estinta la fame, si butta via la persona, un involucro vuoto.
- Ma che dici? Di che parli? Amore? Amore? L'amore non esiste! Quando ripetevi d’amarmi stavi lì a criticarmi di continuo, sempre a fare la maestrina in cattedra. Ma quale amore? Balle!
- Ti amavo. Ti amavo come eri, comprese le tue numerose pecche. Amare non significa però ingoiare tutto, mettere un bavaglio e lasciare che l’amato comodamente calpesti chi ama… Poi l’amore s’è macerato. Consumato nell’impossibilità di comunicare, nelle prepotenze del tuo comodo egoismo d’uomo sposato, con una, due amanti… e via, quante ne vogliono entrare nell’harem!



-- Infatti è proprio qui il punto a cui non arrivi. Sono sposato! Perciò la devi smettere di tirarmi in ballo nei tuoi racconti. Se un giorno mia moglie dovesse capire e scoprire…
- Attraverso cosa? Su, dai, non t’ho mai tradito. Avrei potuto farlo! Svagandomi con un ulteriore uomo, pari a ciò che hai fatto tu con l’amante a me contemporanea, o svelando per vendetta a tua moglie la mia esistenza… E magari quella dell'altra! Perché no?
- Che maledetta! Ricordati che ho le tue foto, le potrei inviare alla rivista per cui lavori, tu prova soltanto a…
- Le tue paure sono infondate. Non l'ho fatto prima, di tradirti, non lo farei mai verso tua moglie neppure ora. Ricatti basandoti sulla malafede. Una mia saggia zia suggeriva: «Chi ha il sospetto, ha il difetto!». Tu ne sei la dimostrazione. ...Ma ancora hai quelle foto? Dovresti buttarle. Le tieni per ricordo, o per non sentirti inerme?
- Sei sempre stata una stronza, piena delle tue idee e del tuo egocentrismo. Abile a rigirare frittate. Ti saluto, ma bada a ciò che fai!
La scrittrice si versò il tè.
Una bolla d'aria affiorò galleggiante sulla superficie liquida, un ricordo di nebbia sembrò nuotarle incontro dalle Memorie di una maîtresse, suggerendole un'antica verità...
«Ogni ragazza siede sulla sua fortuna, e non lo sa».
Gli angoli delle labbra si tesero in amara smorfia.
Con la tazza fumante diresse i passi alla scrivania e osservò i fogli del nuovo racconto. Poi, quasi da bimba dispettosa, afferrò la penna e veloce gettò il suo scarabocchio facendo svolazzare le linee in una firma a riccioli e volte.
Lasciò cadere l’arma e sorrise al suo nome scolpito.



Nota: (*)
L’articolo qui riportato è stato estratto, con modifiche e tagli, dal post di Assu: «La parola al sesso forte», sul blog “Il Cassetto delle idee libere”.
Ringrazio molto Assu per l’ispirazione che mi ha fornito, e mi scuso per le modifiche apportate. Perciò invito a leggere il post in originale, nel rispetto della forma data dall’autrice.