30 maggio 2007

"Legami" ( "Andreina"/continua...)


Squillava il telefono, lo sentiva oltre la porta di casa.
Le dita annaspavano nel cercare le chiavi nella borsa, e più tentavano d’individuare la conosciuta forma, più afferravano oggetti diversi.
Si spazientì, rovesciò il contenuto sul pianerottolo mentre pensava:
“Cosa mi affanno a fare, potrebbero richiamarmi sul cellulare!”
Eppure l’abitudine a correre allo squillo del telefono, il mistero di chi lo stesse facendo trillare, l’indussero a spingere la chiave nella serratura, spalancare di furia la porta e lanciarsi in picchiata sul telefono di casa:
- Pronto?-
- Ah, stavo per riagganciare! -
- Oh, Gaia sei tu… -
- Sì, evito il cellulare, costa… -
- Lo so, lo so… Come stai? –
- Bene, tutto bene. Senti mamma, io questo week-end partirò. Non ci sarò per la festa di Aury… –
- Ah, bene!! Dove andrai di bello? –
- Veramente, mamma, … no, in effetti non parto! –
- Gaia, che dici? Ma di cosa parli? –
- No! La verità è che non mi va di venire alla festa di Aury. Però non fare storie! E’ semplice: non mi piacciono i suoi nuovi compagni di classe, non mi piace l’età dei dodici anni! Hanno tutti l’aria da bulletti. Coattelli che si danno arie e sono degli ignoranti!-
- Gaia, sei insopportabile quando ragioni così! Aury ci resterà male! –
- Quando torna da scuola? La chiamo dopo, glielo spiego! –
- Le dispiacerà, sei sua sorella, ci tiene! –
- Non voglio sentirmi a disagio solo per fare presenza! Fra l’altro lei sarà circondata dai suoi amici, quindi se non ci sarò neppure se ne accorgerà! Quest’anno va così! L’anno scorso avevi organizzato la caccia al tesoro ed io e Sonia ci siamo divertite a guidare le squadre su e giù per il parco! –
- È vero! L’anno scorso è venuta anche Sonia. Infatti con te e Sonia che mi avete aiutata a trasportare bottiglie, cibo, e tavolino da casa fin sul prato, la fatica s’è dispersa nel divertimento! E se non vieni tu, naturalmente non verrà neppure Sonia: è la tua amica! –
- Ah, non lo so! Prova a chiederglielo… Ci risentiamo dopo, così parlo con Aury. C'è un’altra cosa: mi ha chiamata nonna. Già due volte. Vuole parlarti e si lamenta ché non ti trova mai a casa. Mi ha chiesto di dirti se la richiami. –
- Va bene –
Andreina lanciò un sospiro appoggiando lentamente la cornetta.
La mano immobile lì.
Parlare con la madre al telefono assomigliava all’affrontare un’immersione subacquea. Prendere fiato, ossigenarsi con attenzione, senza sapere se il respiro sarebbe stato sufficiente per la durata dell’apnea. In genere annaspava dopo poche battute.
Meglio chiamare subito, altrimenti non lo avrebbe più fatto.
Raccolse gli oggetti sparsi sul pianerottolo, chiuse la porta di casa.
Ritornò a sollevare la cornetta, come alla propria missione.
Nel comporre il numero, il pensierò volò a Gaia che sarebbe mancata al corale e primaverile festeggiamento d’Aurora. Ciò le dava un certo amaro sapore.
Alzò le spalle mentre l’orgoglio si inalberava: ce l’avrebbe fatta da sola!


Respirò profondamente:
- Pronto, mamma? –
- Andreina, finalmente! Ho provato tante volte oggi a chiamarti! -, la voce si sospese in attesa d’una giustificazione all’assenza.
Andreina tagliò dritta per la scorciatoia:
- Sì, me l'ha detto Gaia. Eccomi! -
- Volevo dirti… che io e zia il dolce per la festa te lo facciamo, però non veniamo a Villa Pamphili… -
Andreina restò in silenzio, sapeva che c’era un seguito.
- ...Sai, ha telefonato tuo fratello, e mi ha detto che i bambini non vogliono venire perché non conoscono gli amici di Aurora: si annoierebbero… così lui non viene. Poi, quando tuo padre ha saputo che Giorgio e i nipoti non ci saranno, ha deciso di non venire neppure lui! Pensa: io e zia lo avevamo pure invitato a pranzo, così dopo saremmo venuti insieme! Ma se né tuo padre, né tuo fratello vengono, non veniamo neppure noi! Il dolce però te lo faccio, puoi passare a prenderlo. -
- Neanche Gaia viene. Non ho aiuti per portare tutta la roba, in aggiunta ora devo passare da te per prendere il dolce! –
- Beh, allora fai meno roba da mangiare! –
- Come?? Mamma! Sono le bottiglie che pesano, devo lasciare tutti assetati sotto il sole della Villa? ...Tu reagisci sempre così quando ti metto al corrente delle mie difficoltà! Come hai esordito? “Fai meno roba da mangiare”?? Infatti è da me imbandire banchetti luculliani da matrona preoccupata d’elargire cibo a volontà! –
- Scusa, ma di cosa t'arrabbi? Ti ho solo fatto presente che io non posso certo aiutarti con le mie gambe zoppicanti! –
- Mamma? Tu mi hai detto un’altra cosa, che suonava diversamente da “io zoppico e non posso aiutarti” –
- No, io ho detto che zoppico! Ti ho detto questo! –
- Va bene. Domani all’ora di pranzo passerò a prendere il dolce. Grazie. –
- Ho un regalino per Aurora… -
- Salirà lei a prendere il dolce, io l’aspetterò in auto. –
- Così le do il regalino… -
- C’è un avviso di chiamata, devo riattaccare …
Pronto?
- Buongiorno. Sono il papà di Sara, una compagna di classe di Aurora. –
- Ah, buongiorno! Sono Andreina, la mamma di Aury. Diamoci del “tu”. Sara verrà alla festa? –
- Sì, chiamo per questo infatti. Sara verrà, ...però sai, ci sono i genitori un po’ preoccupati. Tutti questi bambini nella Villa, non è che si perdono? –
- Ma no! Sono anni che Aury fa la festa nel parco, se non è accaduto nulla quando erano piccoli, ora a dodici anni vuoi che si smarriscano? E poi io sarò lì! –
- Ah, sì certo… È che, sai, fra l’altro la villa non è nel quartiere, se magari la facevate al giardino qui vicino… Nel parco potrebbero anche incontrare qualche pedofilo… -

- Mi dispiace che ci sia tanta preoccupazione! Veramente sono anni che facciamo la festa lì, è molto bello il parco! Anzi, per le feste precedenti ho anche organizzato delle cacce al tesoro! Ora però sono grandi e li lascerò correre e divertirsi a modo loro! Ti assicuro che non c’è da preoccuparsi! –
- Va bene... Ma puoi capire, no? I genitori sono tutti preoccupati e mi hanno chiamato chiedendomi di telefonarti. Io sono il rappresentante di classe, sai… Però li ho avvertiti che per le cose private mica funziono come rappresentante di classe…!
- Ah, capisco… ma cosa hanno detto: verranno? –
- Sì, verranno, erano solo un po’ ansiosi, sai… -

Andreina sentì lo squillo del suo cellulare emergere dalla tasca della borsa. Intenta a rassicurare il suo interlocutore, allungò la mano al telefonino e chiuse la comunicazione della chiamata entrante.

Pochi secondi e il cellulare riprese a trillare.
- Scusa, ho il cellulare che continua a suonare, allora d’accordo! ...A domani! -

- Pronto, papà?
- Ciao Andreina, è la seconda volta che chiamo, poco fa è caduta la linea. –
- Sono già al corrente di tutto: non verrai alla festa. –
- Eh, sì, ho saputo che non viene l'uno, non viene l'altro, allora… -
- Scusa? Mamma mi ha detto che tu non vieni perché Giorgio non verrà! A questo punto allora non viene neppure lei! –
- Eh, no! Mamma a me ha detto che lei non viene visto che non verrà Giorgio! Mi aveva anche invitato a pranzo, ma cosa vengo a fare fino a Roma se poi nessuno di noi verrà a Villa Pamphili? –
- Al solito! Mamma si è rigirata la frittata! –
- Sì, infatti! La conosci! Per questo non mi opposi alla separazione! –
- Papà? La separazione è avvenuta quindici anni fa! …E poi, scusa, che c’entra? Potevi forse opporti se lei voleva separarsi…? -
- Ah, no! No, no! Se la pensi così, la prossima volta che verrai a trovarmi ti farò leggere quali cose infamanti ha scritto quella grande stronza dell’avvocatessa che proprio tu, tu!, le fornisti! –
- Oddio, papà! Avevo avuto da poco una causa legale, mamma mi chiese il numero del mio avvocato, che dovevo fare? Risponderle che non glielo davo? –
- Ah, sai che ti dico? Che è meglio se non vi sento più tutti quanti! Ti dovevo avvertire che non venivo, l'ho fatto! Guarda che le previsioni danno pioggia per domani! Ti saluto! –
Andreina restò in silenzio.
Il padre comunque chiuse.

Rimase a fissare stupita il cellulare fra le mani, allo stesso modo in cui avrebbe potuto guardare la sua vita e chiederle: “Dov’è che sbaglio?”.
Si alzò da automa e accese la televisione.
Il meteorologo tuonò: brutto tempo l’indomani su tutta Italia.


Stavolta fu lo stonato citofono a rumoreggiare dall'ingresso, e apparve Aurora nel suo radioso sorriso.
- Aury, penso sia meglio rimandare la festa. -
- Oh, no! Papà mi ha già presa in giro perché è passato un mese dal mio compleanno…! –
- E tu? Gli hai risposto qualcosa? –
- Sì, mi sono arrabbiata, certo, e gli ho detto: “Papà, falla finita! Pensi che a me faccia piacere?”. Lui è ammutolito. –
- Brava! –
Andreina l'abbracciò, e lei le si strinse al collo.
- Sarà bellissima anche se rimandiamo, mamma! Le feste che tu organizzi sono sempre belle! -





















25 maggio 2007

dedicato agli UOMINI e alle DONNE che vivono con coraggio: VINCENDO!



"Il coraggio fronteggia la paura
e quindi la domina.
La codardia reprime la paura
e quindi ne è dominata.
Le persone coraggiose
non perdono mai il gusto di vivere,
anche se la condizione della loro vita
è priva di gusto;
le persone codarde,
sopraffatte dalle incertezze della vita,
perdono il desiderio di vivere."

Martin Luther King


17 maggio 2007

"IL DISEGNO MURALES"


“Quando avrai 18 anni farai quello che vuoi! Ora sono io responsabile di te, e non puoi.”
“Quando compio 18 anni posso fare quello che voglio, l’hai detto mamma, hai detto così!”
“Sì, a 18 anni sono affari tuoi, ora no, e basta!”
Scalpitava Andreina, scalpitava nei suoi 17 anni e mezzo. Le mancava poco, poco…
L’estate precedente voleva partire per Umbria Jazz, con sacco a pelo e amici. No, divieto.
Ah, ma quando avrebbe raggiunto la maggiore età, non avrebbe più potuto impedirglielo. Aveva promesso e doveva mantenere.
Mancava poco ormai, poco.
Avrebbe festeggiato per l’intera giornata quel compleanno, era un traguardo che spalancava le porte alla sua vita! Voleva le amiche per condividerlo, voleva la primavera e il sole, voleva delle corse in bicicletta attraversando la città pervasa dai profumi dei fiori da captare nel vento! Voleva un vestito rosa e leggero come i suoi diciotto anni.
Mancava poco, mancava poco…
Era marzo. Si scendeva in corteo per le strade a manifestare, a gridare slogan con le sue coetanee, fra mille ragazze insieme ad una moltitudine di donne. Mimose fra i capelli, volti dipinti, sciarpe colorate, calzettoni a righe, zoccoli neri, girotondi attorno ai malcapitati:
“Maschi,
maschietti,
non state lì a guardare!
A casa ci sono
i piatti da lavare!”
…Timido, uno, sorridendo alzava la mano chiusa a pugno per manifestare la sua fede politica, quasi a giustificarsi e voler suggerire: “Dai, sono dei vostri…”

Mancano pochi giorni! Andreina è entusiasta della vita, del vento della primavera, del profumo delle mimose, dell’energia delle donne, di quei cortei variopinti e ridondanti di canti, della solidarietà che l’avvolge come un mare in cui nuotare ad ampie bracciate, felice!
Torna a casa col volto raggiante, i racconti di quella giornata scorrono, acqua vivace di torrente, verso la madre che in piedi davanti al tavolo su cui si pranza, senza alzare gli occhi, continua a comprimere il ferro da stiro, su e giù, per gli indumenti distesi sulla coperta.
Parla, Andreina, con la voce che è un canto di gaudio, nel silenzio di marmo della madre che stira in cucina. Le note felici si alzano, riportano ridenti le rime gridate a squarciagola, volano sull’intimorito ragazzo che hanno fotografato, soffiano sulla forza che l’ha pervasa: onda prorompente che si è propagata sulle ore di quella giornata fra donne unite e vocianti.
Bruscamente viene spezzato il suo assolo vibrante:
“Ah, sì? Bella libertà tutto questo! Io qui a stirare, e tu a divertirti per le strade! E la mia libertà dov’è? Potevi starci tu qui a stirare!”
L’arcobaleno che brillava nel firmamento, sottile cristallo di mera illusione, va in pezzi. Andreina ammutolisce. Preferisce chiudersi nella sua stanza mentre la madre continua a inveire.
Cerca tra i fogli, cerca i colori. Estrae un cartoncino nero, afferra i pastelli a cera, e disegna.
Disegna una donna che urla, urla col suo pugno alzato. La lotta, la lotta delle donne: la lotta per la libertà.
Quale libertà?

Piena primavera. Eccolo il giorno del compleanno!
Affittano le bici, lei e due amiche, e sotto il sole romano pedalano per i vicoli del centro, salutano l’isola Tiberina, traballano sui sampietrini di Campo di Fiori, il vento volteggia sotto il velo del vestito dai colori pastello stretto alla vita da un nastrino nero…
La sera la festa continua, e dopo la pizza con gli amici si va al Giardino degli Aranci, a cantare con la chitarra sotto le stelle.

Pochi giorni dopo, incrociando il padre in ascensore, l’uno esce, l’altra entra, Andreina dà la sua notizia:
“Papà, io a Pasqua vado in Sardegna!”
Lui, con sguardo indignato, non proferisce sillaba. Andreina sa che basta avere il permesso materno. Ora è maggiorenne, il permesso è automatico.
Zaino in spalla, parte con gli amici. Una settimana in tenda davanti al mare, vicino ad un campo dove pascolano mucche.
La libertà è iniziata, l’avventura ha sapore selvatico e sconosciuto.


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“Mamma, è fatta! Nonna mi lascia la casa! Lei va a vivere da zia, preferisce così. Ma, come ha sempre detto, mi lascia la sua casa!”
“Non ci posso credere! E’ bellissimo!”
“Sì, da domani inizio a portarmi tutta la mia roba lì. Ho preso degli scatoloni al supermercato per cominciare ad impacchettare un po’ di cose.”

Girandosi con le mani ingombre nel ristretto spazio del corridoio, Gaia urta un quadro che, sganciandosi dal chiodo, precipita a terra.
Il vetro va in frantumi.
Andreina guarda Gaia che già sbuffa contrariata:
“Ecco, lo sapevo che prima o poi finiva a terra! In questo spazio così piccolo il quadro è in pericolo!”
“Tu ce l’hai con questo quadro, non ti è mai stato simpatico!”
“E’ vero. La faccia di questa donna mi ha sempre messo paura!”
“E’ un disegno che ho fatto moltissimi anni fa, quando avevo 18 anni…”
“Lo so, lo conosco bene! Anche se per molto tempo lo hai lasciato chiuso in una cartella. Però è inquietante…”
“Ma non è vero! Non fare la bambina!”
“Oh, ma che bambina!! Anzi, mi devo spicciare, ho poco tempo. Devo inscatolare, e anche togliere i vetri dal pavimento… Scusami, mi dispiace di averlo rotto, più tardi passo a comprare un altro vetro, così si può riappendere.”
“Sai, Gaia… Mi sta venendo in mente una cosa… Potrei dartelo da portare nella tua casa…”
“Mamma? Dai i numeri? Non mi piace! Mi inquieta, te l’ho detto! Ed è una cosa tua: ha significato per te.”
“È vero… fa parte della mia storia. Pensavo di dartelo come regalo... ma in effetti è stupido, mica parti per l’Australia! E poi... ci sono molto legata. Non avrebbe alcun senso darlo a te! E’ un disegno che racconta tutto ciò che ho sempre avuto dentro... ”
“Senti, scusami, adesso non ho tempo, devo mettere un po’ di cose negli scatoloni.”
“Sì, va bene, ho capito. Vado di là.”

Andreina, con in mano il suo trentennale disegno impresso dai pastelli di cera, si siede sul bordo del letto, restando ad osservarlo come fosse una foto sfumata nell’ocra del seppia, l'ambrata tinta d'infinite storie intrecciate.

C’era la sua rivoluzione in quelle sagome che spiccavano dal fondo nero: il suo urlo, il suo pugno alzato. Sagome che raccontavano della capacità di raziocinio nelle donne non presa in considerazione quanto le loro sinuosità. Era la denuncia al mondo del Mercato che utilizzando le forme femminili su di una bottiglietta, richiamava al consumo, rendendo famosa la bibita contenuta nel corpo di vetro.
C’era il cammino del vivere delle donne cantato da Edoardo Bennato.
La Fata, bella odalisca dalle generose forme, che con una mano sfornava un bebè, e con l’altra aveva già preparato il pranzo sul vassoio. Senza alterare la sua bellezza, senza perdere procacità.
C’era il corteo delle donne che unendo fra loro l’indice e il pollice delle due mani, urlavano: “Io sono mia!”.

C’era ciò che Andreina aveva coltivato dentro nel suo lottare verso una libertà che a 18 anni era solo pallidamente iniziata, sempre in procinto di essere inghiottita ad ogni passo dell’esistenza, ad ogni nuovo amore, ad ogni nuova lotta.
Era un murales quel quadro, disegno dai graffiti di cera, linee scolpite dalla durezza di pastelli senza punta.

“Mamma? Sei di là?”
Andreina sente la porta di casa che sbatte.
“Eh? Che c’è?”
“Guarda, sono già tornata con il vetro nuovo. Mi servivano altri scatoloni, e ne ho approfittato.”
“Ah, grazie! Così lo riappendo subito.”
“Meno male che hai deciso di tenerlo… Poco fa stavo ripensando al tuo volermelo regalare, e l’ho immaginato in camera da letto: sai che paura svegliarsi con quella faccia davanti? E poi mi fai scappare tutti i ragazzi!!”
“Ma quanto sei spiritosa!”
“Mamma, dammi retta! Questa è roba vecchia!!”
“Gaia, sei una sbruffona! Se certe lotte non fossero state fatte… Ancora oggi il rapporto tra uomo e donna è molto difficile, ma tu neppure immagini la mentalità che c’era trent’anni fa!”
“Va bene! Tagliamo corto! Ecco il vetro. Tu la pensi a modo tuo, io a modo mio, e quel quadro in camera da letto mi farebbe avere gli incubi!”
“Infatti lo rimetto qui, nel corridoio stretto, e cerca di non farlo cadere di nuovo.”

Gaia ritorna a riempire gli scatoloni.
Andreina assicura il quadro ai chiodi. Controlla che sia dritto. Resta per qualche secondo pensierosa, poi si dirige verso la libreria da cui estrae un album. Cerca una fotografia.
Sorride.
La storia ha camminato, e Gaia è già questo cammino.


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"e tu regina o fata tu
non puoi pretendere di piu'

e insegui i sogni da bambino
e chiedi amore e sei sincera
non fai magie, ne' trucchi, ma
nessuno ormai ci credera'
c'e' chi ti urla che sei bella
che sei una fata sei una stella
poi ti fa schiava, pero' no,
chiamarlo amore non si puo'"

12 maggio 2007

VOCI NEL SILENZIO



Post di segnalazione


VociNelSilenzio mi ha invitato a visitare il suo blog, e a mia volta io invito chi passa di qui a visitare il loro blog e a leggere il post dal titolo:
"FIGLI DI UN DIO MINORE???????"

Importante è "sapere".
E' il primo passo, senza il quale non nascerebbe alcuna sensibilità nei confronti dell'ambiente che ci circonda, delle problematiche e dei disagi infiniti che vivono attorno a noi.
Siamo una Società.
Siamo Leggi.
Siamo Politica.
Siamo disfunzione.
Siamo esseri umani con più o meno vantaggi che viviamo "insieme", nel caos e nell'affrontare.

Una clickata per allargare la conoscenza della battaglia di Carlo e Luisa
.

08 maggio 2007

\\\\\///// dialogo \\\\\/////



Un uomo e una donna seduti di fronte.
E’ notte.
E’ il loro incontro, sempre, di notte.
Incontro clandestino.

“Sono sposata, sei sposato. Quanto può durare così?”
“Va bene, va bene così. Proprio in questo modo può funzionare.”
“Non è vero”.
“Sì, invece. Non può essere altrimenti. Se non fosse così sarebbe già finita.”
“Dev’esserci un altro modo”
“No, questa è la vita”.
“Così non mi piace”
“Ti piace quando ti scopo”
“Smettila!”
“E’ così. Ti piace per questo. E lo sai bene.”
Lo osserva.
Sguardo fisso nello sguardo.
“Mi piace la nostra passionalità. Sì. Ma voglio anche altro.”
“Altro ce l’hai. Con tuo marito. Io con mia moglie.”
“Siamo squallidi.”
“No. Siamo fortunati!”
“Ma che dici? Dov’è questa fortuna?”
“Qui, fra i nostri sensi…”
L’uomo avvicina la mano sulla pelle della donna, le sfiora una gamba, piano sale verso la coscia.
Lei trasale. Occhi negli occhi, legge il desiderio tra le profonde pupille e le nere iridi. Se ne sente catturata.
Avrebbe voglia di mordergli le labbra, di baciarlo. Si trattiene.
“Fermati”, gli dice.
“E perché? Vedi come ti piace?”
“Sei un bastardo, stai fermo. Non siamo soli”
“E’ come se lo fossimo. Qui nessuno ci conosce, un posto pubblico lontano dai nostri luoghi.”
“Devi fermarti lo stesso. Non puoi. Se non siamo soli non puoi.”
“Ecco, tesoro. Mi fermo. Come vuoi...”
Le sorride beffardo.
“Anche dopo, quando saremo soli, dovrò stare fermo? …Farai tutto te, tesoro?”
Il suono della voce si sofferma sull’ultima parola, l’accarezza con voluttuosità, lasciandola cadere e strusciare come un serpente che scorra su di un tronco…
Lei sorride. L’ambiguo gioco l’ha afferrata:
“Così ti piacerebbe, vero?”
“Certo! Molto…!”
Cadono vischiosamente le note dell’esclamazione, come zucchero liquefatto che lasci scia.
“Sei proprio un bastardo! …Volevo parlare. Non finire come sempre.”
“Sei noiosa, troppe parole. Non capisci quanto tempo prezioso perdiamo?”
“Tempo? Ah! Mi parli di tempo! Proprio tu che vuoi restare in questi spazi ristretti. Senza sole, prati, senza mare, senza sogni, senza aperture. Solo clandestinità!”
“Fra noi è nata così. Lo sai. Solo così è possibile. Non conviene cambiare le cose.”
“Non voglio continuare a fingere. Amo te, non colui con cui vivo. E’ te che desidero. Ti desidero sempre, e tu non ci sei”
L’uomo si alza.
“Andiamo.”
“No, parliamo.”
Lei resta seduta.
“Andiamo. Non abbiamo abbastanza tempo, andiamo adesso. Ti desidero! Le parole non servono. Lo sai. Discorsi ripetuti. Vecchio carosello trito e ritrito. Noi dobbiamo amarci. Non parlare.”
La fa alzare.
In piedi l’afferra alla vita premendola su di sé. Tiepido l’alito le soffia all’orecchio:
“Ti voglio scopare. Ora. Subito!”
Sente le sue mani attraverso il sottile vestito. Mani esperte. Calde palme che sanno accarezzarla, pelle sapiente del piacere da elargire, sfioranti tocchi che aprono vallate e sanno far scorrere ruscelli di dolcezza.
E sa, sa lei, di non poter rinunciare! Come nessun bambino sa negarsi d’affondare la lingua nella soffice panna appena deposta, o il dito nella glassa di cioccolata ancora molle e appena sfornata…
Cede. E le ginocchia cedono con lei, così come ogni brivido prende a scorrerle lungo il corpo. Perciò lo segue, aderendo a lui e pregustando la caduta d’ogni piccolo frammento di stoffa, fremente, fremente nell’ansia che sia ormai solo il silenzio delle pelli a guidare, a gridare, ad intrecciare.

Amanti e null’altro.

Le parole non dette non daranno tregua.
Finirà.
Sì, finirà.

Lui dà piacere. Insolente lui, dà piacere ai corpi.

Ai corpi. Non al cuore.

04 maggio 2007

------- La catena dei 5 libri importanti ---------

Ricevute le consegne da Assu, ecco i cinque libri scelti come significativi nelle varie tappe di vita.



L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE - Milan Kundera

"L'idea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri ci abbiano trovato la morte fra torture indicibili."


Un libro che ha fatto storia!
E mi ha lasciato segni di riflessione quasi insoluti.
Me lo prestò un'amica, la stessa che più avanti menzionerò perchè collegata ad un altro libro tra quelli scelti.
Mi piacque talmente, che lo regalai a molte persone, senza mai comprarlo per me!
Ho poi però acquistato e letto molti altri libri di Kundera, infatti è nella mia indole: quando scopro un autore che mi piace, voglio leggere quasi tutto di ciò che scrive! (Se possibile o se, giunta ad un certo punto, non me ne sento ormai sazia!)
Sono passati vent'anni da quando lo lessi, forse era la primavera in cui scoppiò la Centrale di Cernobyl.
Contiene innumerevoli spunti di riflessione, punti di vista sulla vita! P
ersino la personalità di Tomas mi ispirò per tracciare e percepire una linea guida sul comportamento maschile! Probabilmente non fa onore (agli uomini), ma la sentii realistica nella sua umanità ricca di sentimenti, dubbi davanti a scelte del cuore, e ricerche di strade lungo il vivere.
Oltre a questo, il significativo è racchiuso nel mio restare profondamente colpita dalle due figure femminili protagoniste: Tereza, la fedele, la compagna che ama e che ha bisogno di essere amata, fragile, ma a cui il protagonista -malgrado la sua "insostenibile leggerezza"- resta legato fino alla fine, morendo insieme; e Sabina, l'indipendente, l'artista, l'amante cercata e ricercata, forte e sicura delle sue scelte, autonoma nei suoi movimenti di vita libera.
La seconda mi affascinava, sentivo di voler essere così, eppure mi sentivo anche Tereza.
Riflessioni che restano insolute: nella vita si sceglie, se scegli la faccia della medaglia contrassegnata con "A", non vivrai ciò che è sul lato contrassegnato con "B".
L'eterna amante, libera e forte, Sabina, vive oltre la fine del romanzo, non muore con esso come Tomas e Tereza, e mentre il suo sguardo accarezza, in una silenziosa visione serale, le finestre illuminate delle case da cui sente emanare il richiamo degli affetti, ecco che accusa la nostalgia d'un sapore che, seguendo il suo cuore libero, non ha scelto e non si è data.
Questa immagine mi è restata scolpita dentro, e devo dire che dopo vent'anni potrei anche riconoscermi più facilmente in una delle due donne, sebbene continui a restare entrambe: Tereza nel mio intimo, e Sabina come scelte di vita!
O il contrario?


LE ETA' DI LULU' - Almudena Grandes

"Suppongo che possa sembrare strano, ma quell'immagine, quell'immagine innocente, alla fine risultò il fattore più illuminante, il colpo più violento.
I due, i loro bei volti, affiancavano il protagonista, che sul momento non riuscii a identificare, tanta era la confusione in cui mi aveva sprofondato, in precedenza, quel radioso amalgama di corpi. La carne perfetta, splendente, sembrava affondare soddisfatta in se stessa senza alcun trauma, soggetto e oggetto di un piacere completo, assoluto, autonomo, così diverso da quello che suggerisce l'ano, meschino, corrugato, permanentemente contratto in una smorfia dolorosa e irreparabile."


Questo è solo l'incipit! Poi andando avanti...è molto peggio!!
Nove pagine in un'escalation da voyerismo erotico che lascia gli occhi sgranarsi mentre lo sguardo non smette di leggere incredulo chiedendosi dove ti vuole condurre l'autrice e quale libro ti sia mai capitato in mano!
Mi fu regalato per il mio compleanno: sedici anni orsono dall'amica che mi prestò il mio primo di Kundera.
Almudena Grandes era al suo esordio, e io non sapevo di cosa si trattasse; ma neppure l'amica che me lo regalò per poi chiedermelo in prestito, e restituirmelo immediatamente dopo poche pagine (forse le prime cinque/sei?), riconsegnandomelo con il viso contratto dal disgusto.
Superato il primo impatto (che non mi ricordavo! L'ho ri-scoperto ora per scrivere l'incipit!) il libro mi rapì completamente!
Era capitato nella mia vita in un momento particolare, ad un bivio, mentre avveniva una frattura, e un amore passionale che si dilatava fra Roma e L'Aja sembrava finire, mentre andavo svelando molto del mio essere donna.
Il dolore che provavo per una fine che accadeva attorno al mio compleanno e allo sbocciare della primavera, si lasciò risucchiare dall'eros e dalla passione della storia di Lulù: si sublimò nei forti eventi della sua vita, una vita che si emancipava dall'educazione ricevuta sotto il regime franchista attraverso una fuga disperata per le strade più libertine e sordide, fin alle estreme conseguenze, ma anche fino a ritrovare il suo amore.
Pure la mia storia tra Roma e L'Aja ricominciò dopo poco, il libro però mi lasciò un segno profondo.
In seguito ho letto tutti i libri della Grandes, quasi tutti!
Di così erotici non ne ha scritti altri; l'erotismo qui ha una collocazione precisa, regalando al romanzo un carattere incisivo, forte, necessario.


OCCHI BLU CAPELLI NERI - Marguerite Duras

"Una sera d'estate, dice l'attore, sarebbe al centro della storia.

Non un soffio di vento. E già, spalancata davanti alla città, con vetrate e finestroni aperti, fra il cupo rosseggiare del tramonto e la penombra del parco, la hall dell'hotel de Roches."


Questo è l'incipit.
Aggiungo le parole dell'autrice sul verso di copertina:

"E' la storia di un amore, il più grande e terrificante che a me sia stato concesso di scrivere. Lo so. Lo si sa per sé soli.

Si tratta di un amore che non ha nome nei romanzi e non ha nome neppure per quelli che lo vivono. Di un sentimento che in qualche modo non sembra avere ancora vocabolario, costumi, riti. Si tratta di un amore perduto. Perduto, da perdizione.

Leggete il libro. In ogni caso, anche se gli siete ostili, per principio, leggetelo. Non abbiamo niente da perdere, né io né voi da me. Leggete tutto. Leggete tutti gli intervalli che vi indico e quelli dei corridoi scenici che avvolgono la storia e la placano e ve ne liberano mentre li percorrete. Continuate a leggere e, all'improvviso, è la storia che avrete attraversato, con le sue risa, la sua agonia, i suoi deserti.
Sinceramente vostra
Duras"


Ero indecisa se scegliere questo o "L'Amante".
Ho scelto questo perchè fu il primo libro che lessi della Duras, per la quale poi nacque un grande amore!
Mi fu regalato ancora una volta per un compleanno, due anni dopo "Le età di Lulù".
Ne ho parlato anche in un post di novembre 2006:
QUI.
Il libro, regalato da un ragazzo, fu accompagnato da dei foglietti scritti per me (sul link ho riportato il contenuto dei foglietti), che avevano il sapore delle parole incise in "Occhi blu, capelli neri": amore impossibile.

Scoprii così Marguerite Duras, poi lessi molti suoi libri.
La sua scrittura mi ha sempre scavato dentro, nell'anima. Un modo di scrivere che mi ricorda lo scalpello d'uno scultore, ad ogni colpo emerge l'anima dalla pietra che prende forma, vita. Una vita impossibile.
Il dolore dei colpi: la precisione di dove devono cadere, battere, cosa si vuole graffiare, imprimere lì, in quel punto. Nella vita, nell'anima, all'interno di ogni impossibilità, di stravolgimenti, di folli perdite, riconsegnando un senso che non è materiale, ma formato dagli anni scolpiti, dalla vita stessa che ha lasciato i suoi segni, come nel volto devastato... (incipit de "L'Amante").

Una sera dalla cucina sentii al telegiornale la notizia che Marguerite Duras era morta.
Andai verso i libri sugli scaffali, estrassi "L'Amante", e sul frontespizio segnai: "Marguerite Duras è morta il 3 marzo 1996".


DONNE CHE CORRONO COI LUPI - Clarissa Pinkola Estés

"La fauna selvaggia e la Donna Selvaggia sono specie a rischio.
Nel tempo, abbiamo visto saccheggiare, respingere, sovraccaricare la natura istintiva della donna. Per lunghi periodi è stata devastata, come la fauna e i territori selvaggi. Per alcune migliaia di anni, e basta guardarsi indietro perchè la visione si ripresenti, resta relegata nel più misero territorio della psiche. I territori spirituali della Donna Selvaggia, nel corso della storia, sono stati saccheggiati o bruciati, le caverne sono state distrutte, i cicli naturali costretti a diventare ritmi innaturali per compiacere gli altri."


In realtà questo è l'incipit dell'Introduzione, che ha anche un suo titolo: "Cantando sulle ossa".

Non è un romanzo.
E' il frutto di un lavoro di ricerca che ha svolto l'autrice, psicanalista ed etnologa, sulle origini dell'istinto e dell'anima femminile attraverso le analisi delle più antiche fiabe popolari sparse nel mondo.
Non sono mai riuscita a leggerlo interamente, è un libro enciclopedico, a cui si ricorre per curare l'anima, e per ricercare nel profondo di sè risposte che abbiamo voluto evitare cercando di ignorare il nostro sguardo allo specchio.

Riporto anche le parole di Pinkola Estés nella Prefazione:
"Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vegognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe".

Anche questo libro è legato ad un compleanno! Incredibile, ...ma è un caso. (ovvero: il criterio di scelta non era certo questo!)
Lo avevo visto in libreria in un periodo in cui ero molto in bolletta (come sempre), e gli avevo lasciato gli occhi addosso!
Ciò succedeva in prossimità del mio compleanno. Quando esso arrivò, accadde che le colleghe di lavoro come regalo mi fecero un libro che già avevo, lesta ne approfittai per chiedere di cambiarlo con questo. Fu così che mi portai a casa il mio cimelio!!!
Una sorta di Bibbia!
Ogni favola viene analizzata nei suoi significati più reconditi, aprendo scenari inimmaginabili.
Per me le favole sono sempre state molto importanti, il nutrimento della mia infanzia, il nutrimento della mia fantasia e del mio immaginario da adulta.
Mi hanno sempre aiutato a sviluppare l'immaginazione, a creare anche fughe liberatorie da un quotidiano a volte troppo pressante.
La favola contiene l'infinito universo dei segni, delle possibilità, delle trasformazioni, degli umani significati del vivere, e della necessaria metamorfosi/evoluzione dell'esistenza!
Questo libro è prezioso come il cofanetto d'un tesoro, e ricco di favole mai ascoltate!
Significativo nella mia vita? Lo scelsi in un momento importantissimo. Metaforicamente parlando: stavo scendendo da un treno per prenderne uno nuovo e sconosciuto, la cui destinazione era oltre la linea dell'orizzonte.

Ho scritto un post -a dicembre 2006- su una delle favole contenute in questo libro, è
QUI.


L'ARTE DELLA GIOIA - Goliarda Sapienza

"Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono né alberi né case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il bruciore acuto delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio primo ricordo così com'è: non mi va di fare supposizioni o di inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente."

Uno scambio: mi è stato dato in prestito da circa tre anni (o quattro? Chissà!) da un'amica a cui in cambio io ho dato "La passione secondo G.H." di Clarice Lispector.
Non ci siamo ancora resituite le reciproche proprietà!
Dopo anni in cui è rimasto chiuso, appoggiato in un angolo della stanza, ad agosto 2006 l'ho aperto e l'ho scoperto!
Ne sono rimasta così affascinata che gli ho dedicato due post a settembre
UNO, e DUE (in questo post riporto un articolo sull'autrice).
Eppure ancora non l'ho finito.
Per vari mesi mi sono bloccata nella lettura (l'ho anche tradito, iniziando un altro libro, interrotto ugualmente).
Ora sto per finirlo.
Mi accorgo che corona perfettamente questa scelta di libri in cui il mio punto focale -lo noto giungendo qui- è "la donna". La ricerca del significato di esserlo e viverlo nella sua peculiarità arricchente, e non secondo i canoni tradizionali, ovvero secondo una certa educazione sociale che spoglia e impoverisce la creatività, l'estro, l'immaginario del femminile: dall'istintualità alla capacità d'amare.

La protagonista è nata il 1° gennaio 1900, in Sicilia.
La sua autrice, che si chiamava Goliarda (da genitori anarchici), le ha dato nome "Modesta".
Modesta cavalca la storia italiana amando, ma attenta a non cadere mai nella facile prigione dell'amare. Lei precede quelle che saranno le idee femministe, ma senza alcun idealismo, al contrario: le pratica realizzandole nella sua stessa vita.
Io sono giunta alla fine della seconda guerra mondiale...vi farò sapere!


STRETTA LA FOGLIA, LARGA LA VIA, RACCONTA LA TUA CHE' Io HO RACCONTATO LA MIA!

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