29 novembre 2006

Strega del West




"ooooooOOOOOOHHhh!!!!
Lei non è verde come me!!
Intorno a lei, sì, è verde...
Ma lei è rooosaaa!!"











"...Ma che dice la Strega dell'Ovest?
Dovrei essere verde??
mah!!
...Avete scattato 'sta foto?
Fra un po' mi prende
un crampo alla mascella in questa posa...
...Ci mancherebbe pure che fossi verde!!"

E' bello giocare! E' bello sempre!
Giocare, scherzare, far restare viva la vitalità infantile dentro di noi: la creatività, il bisogno di inventare, la ricerca a stupirsi sempre, e a stupire. Riflettendoci un attimo, forse accade che tale verve è spontanea quando ci si innamora, sì, quando ci si sente innamorati, per poi andare spegnendosi...
Si incolpa allora la società, il tempo che passa, le difficoltà che dobbiamo affrontare, la stanchezza, i cambiamenti che la vita porta con sè...
In realtà una parte di noi resta per sempre "un bambino", che più o meno viene ascoltato o represso; che più o meno lasciamo esistere o no.
Crescere non implica che quella parte di noi che ha vissuto i suoi pezzetti di emozioni ed esperienze nei suoi primi anni di vita, poi scompaia! Venga sovrapposta da un altro corpo. Da un'altra mente. Da un altro se stesso!

Il bambino è la creatività, i colori, la capacità di ricominciare, di cadere e rialzarsi, di imparare attraverso l'errore senza fermarsi davanti ad un fallimento, è l'incoscienza che rende temerari, audaci, curiosi, è il desiderio di cercare, come se ogni giorno fosse una nuova "caccia al tesoro", è la spinta a farsi amici non conoscendo il timore del rifiuto, è la spontaneità, l'entusiasmo verso nuove cose da scoprire, imparare, conquistare.
Ci sono anche bambini che hanno paura, che sono timidi, introversi, sì, è vero!
Ma la maggior parte dell'infanzia è aperta, è fresca, non vede limiti... se non è l'adulto a mostrare e a spaventare con il proprio punto di vista sulla realtà!
Ecco, potrei arrivare ad un epilogo:
l'adulto è il bambino che ha scambiato il crescere con il farsi piccolo per dar spazio ai limiti.
I limiti governano, e noi ci stiamo stretti, ma questo è ciò che abbiamo raggiunto come traguardo: essere adulti significa adattarsi, adattarsi alle circostanze.
Queste riflessioni hanno preso ispirazione da un post che ho letto pochi giorni fa, insieme a pensieri che si stavano macinando già dentro di me.
Tale post sul blog Mondo Cilions, merita una sosta:
Riporto qui le parole di Francesco (Mondo Cilions):

"A volte per affrontare un problema che ci sembra insuperabile, paradossalmente è necessario spogliarsi di tutto il peso delle nostre esperienze vissute...Solo rivedendo il tutto con gli occhi di un bimbo si può realmente avere una possibilità di successo!"

Il mio commento al suo post è stato:
"E' bellissima! (la riflessione...)
Nel leggerla ho pensato che calzava perfettamente con ciò che sto vivendo!
E' vero,
le esperienze che nella vita si "affastellano"
possono diventare come dei vestiti vecchi che si conservano nell'armadio.
Se diamo loro troppo peso, troppo spazio occupano:
ci si lega al passato, e allora andare avanti è difficilissimo!
La soluzione allora è proprio quella di fare come i bambini
("fare come i bambini"? Ma noi siamo stati bambini, lo siamo ancora!):
ripartire da zero!
(le esperienze servono per crescere, non per invecchiare!)
Questa frase è pertinente e molto vicina anche a ciò che ho postato sul mio blog:
I ricordi sono belli, sono il patrimonio della nostra vita: una piccola grande ricchezza che si crea lungo il cammino. Dipende da noi non trasformarli in quelle palle di piombo, con catena al piede, che ci rendono prigionieri. Prigionieri del passato, senza più guardare avanti.
A volte è necessario ricordarsi ciò che abbiamo imparato da bambini: ripartire, sempre.
L'amichetta non mi parla più. L'amico mi ha tradito. Quella gioca facendo gruppo ed escludendomi. Sono caduto perchè mi hanno spinto e ho il ginocchio che mi sanguina.
Un pianto, un mettersi da canto per un poco, poi si cercava altrove. E si ricominciava a giocare, a correre, ad inventare...
Io inventavo molto...
Si tratta di continuare!
Un'esortazione a me stessa e a chi ne ha bisogno, e qui la condivido con chi mi legge!

Valentina e Yas



















Restiamo in argomento di gioco!
Valentina sono io.
Valentina fotografa Yasmina.
Valentina è una brava fotografa!
Yasmina...se sa che ho postato la sua foto sul mio blog... mi fa fuori!!
Ma nessuno glielo dirà!
(la foto gliel'ho rubata, anche questo non sa...ma tanto lei sul mio blog non viene a guardarci, perciò...Posso continuare a marachellare!)

...e dopo il gioco, un po' di serietà!



...E allora quand'è che si è adulti?






Quando ci si prende la responsabilità della propria vita! Senza dipendere!
Da bambini si dipende...
Si dipende dal giudizio, dalla comprensione, dal modo che hanno i genitori di guardarci, di darci affetto, attenzioni, da un loro abbraccio, da una loro sgridata...
Diventare adulto quindi non è perdere la spontaneità, il coraggio di lanciarsi, non è vedere solo limiti attorno a sè!
Bensì è rendersi indipendenti, guardando alla propria vita con lo sguardo lungimirante di cosa fare per lei... Con attenzione, con presenza...cercando di affinare la capacità alla libertà e all'indipendenza, per amare, anche, in modo libero e indipendente!
AUGH!
Queste sono delle riflessioni, tutte mie...di danDapit!
E sono aperte al confronto...

28 novembre 2006

""" QUI, NEL NORD """

L’avrei incrociata lungo il mio percorso per un certo tempo, breve per lei, in cui riuscì però a donarmi qualcosa.
Qualcosa che non conoscevo, non avevo mai posseduto.
Potrei paragonarlo ad un semplice prisma di cristallo che, attraversato da un fascio di luce, ne viene scomposto in un fantastico balenio di colori…
Delicata e fragile quanto il cristallo, poliedrica nelle sue infinite sfaccettature, trasparente e catturante, possedeva la capacità di trasformare la realtà di un raggio di sole in un magico arcobaleno.

Ci saremmo incontrati sempre qui, nel Nord. Dove il freddo ghiaccia l’acqua, dove l’acqua sommerge la terra, dove il cielo, quando non è imbiancato dalla sua coperta compatta di nubi, trilla d’azzurro, lasciando brillare lo specchio dei canali ove barche e case si riflettono contendendosi la vivacità dei verdi, dei rossi, e del cobalto intenso, limpido, dell’aria spazzata dal soffio perpetuo del vento.

Qui lei mi avrebbe raggiunto volando, decollando e poi atterrando, lasciando lontana la sua casa, chiudendo così la porta alla sua vita. Unico legame, un figlio.
A me non interessava la sua vita, né l’esistenza di quel bimbo.
Mi piaceva lei. La sua pelle color dell’oliva. I suoi occhi, che colpiti dal sole o affogati nelle lacrime, si screziavano di verde. La sua bocca, morbida, sensuale, dal sorriso dolce e invitante. Le sue gambe tornite, che svettando su dei tacchi, attiravano sguardi. Inevitabilmente.

Desideravo un’amante, solo questo.
Non sono un seduttore, tendenzialmente sono schivo, pur invidiando quegli uomini che senza difficoltà riescono a conquistare. Mi limito a osservarle, le donne, nei loro svariati aspetti affascinanti, ma sempre ad una certa distanza, eterno spettatore, lasciando inespresso e nascosto il mio desiderio.
Anche per questo, forse, quando lei divenne la mia amante, il desiderio tanto contenuto si trasformò in un fiume in piena che travolse me per primo, di conseguenza lei pure.
Mi trovai a fronteggiare qualcosa di sconosciuto, incontenibile a quel punto, inarrestabile.
Insicuro nel mio ruolo virile, inesperto di relazioni se non quelle consuete di coppia, come la stessa che trascinavo stancamente da anni, questa situazione mi esplose fra le mani quando, sorpreso e vinto, mi imbattei nel suo caldo abbandono, nel suo accoglimento, nella sua natura sensuale, nel suo darsi senza resistenze, senza reticenze, così pienamente femminile ed obliante…

La realtà improvvisamente assunse altri significati. Cambiarono le priorità a cui ero ben ancorato, persi il senso dei valori che erano i saldi argini in cui scorreva la mia esistenza. Monotona, ma con le sue chiare certezze.
La passione avrebbe mutato i connotati a quel tratto di vita che mi sarei trovato a percorrere amando i sensi e amando i guizzi variopinti della sua gonna da gitana.

Potrebbe lo spirito libero e selvaggio di una zingara che ama danzare scalza, cessare di muovere il proprio corpo nello spazio, per recitare il rosario di donna dedita all’ordine e alla materia, con gesti uguali e ripetuti nella giusta misura?
Per uniformarsi.
Temendo la solitudine per l’intima diversità, finisce per violentare la propria essenza, obbligandosi a seguire dei binari senza riuscire a restarvi. La sua stessa natura la spinge oltre: a sfidare, a scoprire, a cambiare.
Insofferente ai limiti. All’usuale. A ciò che è scontato.

Non uguale, ma simile fu il motivo per cui fuggii recuperando i già noti binari e rinnegando la forza vitale che mi aveva spinto a deragliare. Dovevo scappare da una realtà che sarebbe stata al di fuori dei canoni usuali dell’ambiente in cui vivo.

Avrebbe protestato. Avrebbe detto di amarmi, amarmi! Mentre avrei ripetuto, invece, che la nostra storia si era compiuta. Troppo diversi, io e lei.
Troppo.
Sembrava parlare un altro linguaggio: non capiva, non accettava. Così il suo spirito ribelle avrebbe messo a nudo la sua caparbia, la propria passione inasprita, la collera contro il rifiuto, rendendomi terribilmente spinoso e difficile quel delicato momento per rientrare nella normalità. In un simile frangente avrei preferito avere di fronte una donna che umilmente comprendesse e si facesse quindi da parte trattenendo il proprio dolore, come io stesso curavo il mio.
Così doveva essere.
Anche oggi, a distanza di tempo, sento riemergere la durezza di allora per poter uscire da quella situazione a cui era impossibile dare seguito.
Impossibile.
Dall’attonito stupore il suo volto sarebbe mutato chiudendosi in furiosa ribellione, dando battaglia con inesauribile energia alla parola con cui inesorabilmente condannavo a morte il nostro insieme.
Ineluttabile.

Non sbagliavo.
Ora che finalmente ne percepisco l’animo, cogliendo così il dono della sua bellezza, ora che mi approprio della veste multicolore con cui danzava nell’immaginario e con cui avrebbe dipinto anche i miei scenari lungo il tragitto in cui mi sarei lasciato stregare, posso dire con certezza che la mia anima omeostatica, sedentaria e borghesemente conforme alla norma, non avrebbe potuto seguire i passi senza meta dell’amata zingara.

Passi che vagabondando leggeri l’avrebbero portata qui, nel Nord, dove il mio sguardo velato di ambigua trasgressività avrebbe intercettato il suo, occhi in cui la sfida brillava beffarda. Allora, con candida naturalezza sarebbe scivolata nell’alcova e avrebbe finto, femminilmente, d’essere l’ingenua preda, lasciandomi felicemente fremere di desiderio e di misteriosa sorpresa.

Sarebbe partita e poi tornata.

L’avrei aspettata catturato dal ricordo, punto da penetranti emozioni.
Ogni volta l’incontro sarebbe stato più dolce, più complice, più profondo, in caduta libera giù, ancora più giù, nel pozzo obliante dei sensi, in uno spazio ad esatta misura dei corpi nudi, vibranti, consci solamente di carezze e baci elargiti dalla nostra specifica ormai unica entità.
La simbiosi avrebbe abbracciato la nudità che ci apparteneva immersa nel liquido tiepido e cullante dell’acqua. Acqua che ci avrebbe contenuto, bagnato, scaldato, mentre lavandomi, sorridente e seduttiva, avrebbe fatto scivolare le sue mani sulle mie membra, come avrei ripetuto io su di lei, mentre gli aliti si sarebbero confusi e le labbra sigillate le une sulle altre, mentre le pelli avrebbero emanato lo stesso odore, mentre il mondo per noi sarebbe diventato sempre più distante e alieno, mentre la metamorfosi simbiotica avrebbe modificato le forme originali e l’intimo mentale, staccandoci dalla realtà circostante e lasciandoci sospesi nella nostra rarefatta atmosfera.
Sintesi degli elementi naturali, lei emergeva prioritaria ed essenziale.
Era terra umida e fertile, limpida acqua placante l’arsura della sete, acqua che scorre e leviga trascinando con sé. Era aria respirata per trattenerne l’odore, e fuoco, le cui fiamme guizzanti alimentate dal soffio istintuale, sarebbero divampate in falò sensuale.

Sarei riuscito a rimettere ordine nel caos emozionale lasciandole prendere il posto della legittimità, permettendo così agli interessi della ragione il loro lento processo per sottomettere la prorompenza della natura.

Ora, qui, nel Nord, una sua lettera.

Attraverso parole scolpite dall’amarezza, la vedo in un frammento della sua esistenza mentre trascina sofferente un pesante corpo di donna, di donna qualsiasi, schiacciata da un ruolo che non le appartiene, ma che ha cercato ad ogni costo di adattarsi a vestire.
Inconsapevole zingara, la sua figura si staglia adesso nettamente sullo sfondo della mia memoria e del suo presente carico di un animo soffocato, prigioniero del respiro che non ha luogo.

I ricordi viaggiano dileguandosi come nubi nel cielo.
Una lettera per fermare.
Scriverle forse della gitana rivelatasi ai miei occhi, svelargliene il fascino, sussurrarle di abbandonare ciò che non le appartiene per tornare a indossare i panni suoi cangianti…

Scriverle.
Da qui, dal Nord, scriverle.

Scriverle… che comunque la vita ha il suo corso.
Ineluttabilmente.

27 novembre 2006

°°° specchio specchio ... della vita °°°


Narciso si specchia e muore.
La matrigna di Biancaneve interroga lo specchio per confermarsi la sua perfezione assoluta.
Le suore dell'asilo mi dicevano che se mi fossi rimirata troppo allo specchio, ne sarebbe uscito Satana e tutte le sue fiamme (che paura, cercavo di passare in fretta lì davanti).
Gli occhi sono lo specchio dell'anima, si dice (ah, che poesia, magari fosse vero!).
La verità è che non è mica facile soffermarsi davanti ad uno specchio!

Pochi giorni fa ho scritto un
post che parlava della gioia attraverso la filosofia buddista.

Il Budda non è quel signore orientale grasso grasso, con tanta pancia, e tanta risata, sempre seduto, conosciuto nel mondo sotto forma di statuetta da soprammobile (a casa dei miei pure ce n'era uno, verde verde, tutto verde!).


Siddharta, reso celebre dal libro di Herman Hesse, fu il "budda storico", colui che andò vagando e parlando alla gente, lasciando molti insegnamenti orali, ovvero i Sutra (Sutra significa "insegnamento").
Siddharta, alias Shakyamuni (della famiglia degli Shakya), aveva praticato per molto tempo la vita degli asceti, con infinite privazioni: quindi era pelle ed ossa come dei fachiri, altro che pancia rubiconda! Praticando e "cercando" (lo spirito di ricerca è fondamentale per un essere umano! Mai che si spenga!), giunse a comprendere che non erano le privazioni a portare ad un qualche traguardo!
Shakyamuni lasciò tantissimi Sutra (prima di giungere a rivelare quello completo), perchè si rendeva conto che le persone non erano ancora pronte a comprendere. Per via di questi innumerevoli Sutra il buddismo è vasto, ricco di scuole e diramazioni. Da ogni Sutra prese il via una scuola.

Ciò che resta punto fermo nel buddismo è che la vita è eterna, non c'è inizio, né fine, e che ciascuno di noi è un Budda.
Tutti gli esseri umani devono affrontare le 4 grandi sofferenze: nascita, invecchiamento, malattia e morte. Ciò che il buddismo desidera donare è la capacità di vivere con gioia, sempre, trasformando le difficoltà e le sofferenze.
Dentro di noi c'è una parte piena di luce, si tratta di farla emergere, e per permettere questo, dice il Sutra del Loto:

"Devi lucidare lo specchio della tua vita".


Non è facile, spesso è veramente faticoso, ma:

dare valore alla propria vita,
saper affrontare lo specchio e guardarvi dentro,
raccogliere i nostri desideri,
non scappare davanti a ciò che ci fa soffrire,
andare sempre fino in fondo,
e sentire che dipende da noi, solo da noi dare forma a quel tocco di creta che abbiamo fra le nostre mani, senza distogliere lo sguardo dallo specchio,
è l'unica strada, ciascuno ha la propria!

La pancia del budda che ride non c'entra proprio!
Il sorriso arriva solo se si va fino in fondo! Un sorriso vero, di gioia non effimera.
Guardandoci dritti nello specchio della nostra vita, e lucidandolo...COME?
...questo è semplice,
ma anche complicato da "esplicare" qui per qui!
Il segreto è racchiuso nel Sutra del Loto, nel suo titolo.

Il loto è un fiore che nasce dal fango. Il fiore è puro e bellissimo, ma nasce dalla melma.
Richiama una vecchia canzone che tutti conoscono,

di F. De' Andrè:

("Dai diamanti non nasce niente)
Dal letame nascono i fior"!

26 novembre 2006

IL PROFESSORE DELLA PRIMA "G"



Ileana ha 11 anni, e fa la I media.
Dall'inizio della scuola il professore di italiano è stato sostituito da un supplente.
A fine novembre il professore di ruolo è tornato.
Ileana mi parlava spesso del professore supplente, trentenne, ricco di iniziative allegre, che aveva persino dato il suo indirizzo e-mail per chiedere notizie sui figli, senza doversi presentare agli estenuanti colloqui a scuola.
Purtroppo era un supplente, perciò è arrivato il "giorno dei saluti".

Questo addio mi è stato raccontato nei suoi particolari: commozioni, lacrime, e una lettera in mano!
Il professore se ne è andato lasciando un regalo.
Un'attenzione che apre a dolce stupore...

(due fogli scritti a pennarello nero che, in espansione di stupore, diligentemente copio)


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Regalo di addio alla I G

Desidero congedarmi da voi, facendovi un regalo, un regalo noioso, da professore, ma, credetemi, ci tengo tanto e vi chiedo perdono.
Vi regalo due tra le citazioni a me più care, perché spero ne facciate tesoro. Se ciò non accadrà, non me la prenderò, anzi, apprezzerò ancor di più i vostri dissensi.
Non perdete i grandi tesori che la vita vi ha donato.
Mantenete viva la fresca curiosità che palesate nei vostri sguardi accesi.
Diffidate da chi vi vuole seri, se serio significa triste e annoiato.
Diffidate da chi vi vuole ordinati, se ordinato significa sterile e poco creativo.
Diffidate da chi vi vuole rendere “qualcuno”, perchè solo voi sapete come dovete e dovrete essere.
Chi ama non vuole imporre cambiamenti al prossimo o chiedere che non ve ne siano: il cambiamento è ciò che rende la vita unica e degna di essere chiamata tale.

Un professore per due mesi, un amico per sempre.

10.11.2006
Daniele

“Il fanciullo trova il tutto nel niente, l’uomo adulto il niente nel tutto”
(G. Leopardi – “Zibaldone”)

“Sulle cose dell’altro mondo indago, ma non ragiono.
Sulle cose di questo mondo ragiono, ma non critico”

(Quang Zi)

25 novembre 2006

racconto in 9 foto e in 9 puntate

Una porticina in giardino.

L'ala esterna
della casa.

Dove c'erano i lavatoi,
la rimessa per la carrozza,
la stalla per i cavalli,
e il fienile.

(provincia vicentina/
casa costruita nel 1886)


La porta sull'ingresso
(con l'iniziale del nome di famiglia)



L'accesso alle scale
davanti alla porta del salone


La ringhiera.
La ringhiera che sale al primo e al secondo piano (quello delle soffitte).
Al primo piano c'erano le stanze da letto e un bagno.

Quando ero bimba, forse avevo cinque - sei anni...
Una mattina mi svegliai ispirata dalla tentazione di fare uno scherzo...
Veramente non ero certa che mi riuscisse, avevo un'idea in mente, e la voglia di provarla per poi stare ad osservare cosa sarebbe accaduto. Molta curiosità, e l'eccitazione di un esperimento...
Il bagno di quella grande casa era piccolo: lungo e stretto. Aveva una finestrella piccina e alta, che dava sul giardino, ma era al primo piano. La porta era senza chiave, con un piccolo chiavistello che girava su una rotella dentata ad ingranaggio, che faceva apparire all'esterno la scritta "occupato" o "libero".
Quella mattina, a passi felpati, mi avvicinai alla porta; senza rumore la chiusi, e dall'esterno, con le piccole dita feci scorrere la scritta nello stretto spazio orizzontale del cerchio metallico: man mano che quella girava, all'interno si muoveva la ruota dentata inserendo il chiavistello.
Sul corridoio non passava nessuno, quindi alcuno mi vide.
Con una forte emozione mi allontanai dalla porta. La prima parte del mio scherzo sembrava funzionare...
Era estate, momento più affollato per la casa, con 3 famiglie alloggiate!
Non ricordo bene, forse fra bambini e adulti eravamo una dozzina, o anche di più? E probabilmente quella mattina, ispirata dallo scherzo, mi ero alzata presto!
Le prime persone che andarono al bagno, fecero dietro front. Pian piano, uno alla volta, tutti cercarono di entrare in bagno, ma ciascuno rinunciava davanti alla porta chiusa.
Passarono i minuti, poi un quarto d'ora, poi una mezz'ora... All'avvicinarsi dell'ora molti abitanti della casa, in pigiama, cominciarono a interessarsi a chi orbitava lì nel vano tentativo, mentre io mi chiedevo per quanto tempo avrei potuto far durare lo scherzo che, incredibile, stava avendo successo!
Guardandosi l'un l'altro in pigiama, ormai affollati davanti alla porta, le persone si chiesero: "Ma chi c'è in bagno?"- Domanda legittima, visto che ormai sembravano essere tutti là sul corridoio...
Mi veniva da ridere, mi sentivo il viso bollente per l'emozione, anche perchè non sapevo come uscire allo scoperto... Forse mi notarono, e mi trovai gli occhi puntati addosso. Mi fu chiesto in tono indagatorio: "Ma tu forse sai chi c'è lì dentro?".
Presa dall'euforia, quasi vittoriosa per la riuscita della mia trovata, ridendo dissi che era stata opera mia! Con sorriso godurioso e ingenuo, confessavo che non c'era nessuno in bagno!! Lo avevo chiuso io dall'esterno! E come mi gongolavo per la bella trovata...
Intorno a me il gelo.
Torve occhiate mi scrutarono come raggi "x".
Chi non mi era genitore mi avrebbe incenerito!
I miei: "Bene, ora lo rimetti a posto tu! Solo tu hai le dita così piccole da poterlo fare! Avanti!"
Rimetterlo a posto non fu emozionante come l'averlo manomesso. In più mi sentivo sulle spalle un'atmosfera pesante in cui mi trovavo decisamente a disagio, e poi, chissà perchè, la rotella dell'ingranaggio aveva girato molto più agilmente nel porsi ad "occupato", ma per liberare la porta, era come remare controcorrente!
Mi sentivo delusa: era stato uno scherzo tanto carino, io ero stata così abile, così intelligente a scoprire quella cosa, nessuno ci aveva pensato! E perchè neppure una persona aveva riso? Si erano tutti arrabbiati!
Che avvilimento!



La ringhiera delle scale che salgono in soffitta.

Ottobre 2006. Il giorno dell'addio alla casa.



La bambina di oggi.



La bambina di ieri.

-the end!-


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in due post precedenti parlo di questa casa:
cliccare al n°1 (un po' di storia)
cliccare al n°2 (qui solo un accenno)

24 novembre 2006

"Quando c'è la gioia apriti alla gioia"

DAL GOSHO:
"Felicità in questo mondo"

"Non permettere mai che le avversità della vita ti preoccupino, nemmeno i santi o i saggi possono evitarle.
[…] Quando c'è la sofferenza illuminati rispetto ad essa e quando c'è la gioia apriti alla gioia. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo."

Nichiren
Il ventisettesimo giorno del sesto mese del secondo anno di Kenji (1276)

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Nichiren era un monaco buddista vissuto in Giappone nel 1200.
Scrisse molti "Gosho", ovvero: lettere.
Lettere ai suoi discepoli, per spiegare principi buddisti e per incoraggiarli ad affrontare le avversità della vita. Come? Attraverso la fede.
I Gosho ora vengono usati come base di studio per approfondire insegnamenti e principi, per imparare a conoscere la propria vita...
Sto usando poche parole, riducendo all'osso gli infiniti contenuti, intraducibili su un blog!

E' solo un modo per introdurre il mio desiderio di postare le due frasi estratte dal gosho e che qui ho accompagnato dall'immagine di due persone sorridenti seppure in una situazione di difficile equilibrio e, per noi europei, impensabile per la sua bizzarrìa e scomodità!

Ripeto nuovamente la frase che più mi piace:
"Quando c'è la sofferenza illuminati rispetto ad essa e quando c'è la gioia apriti alla gioia."
Quando c'è una sofferenza o si inventano piume d'oca impermeabili, o se ne resta annichiliti.
Quando c'è la gioia troppo spesso non la comprendiamo, ne abbiamo paura per il suo carattere effimero, non sappiamo goderla nella sua preziosità di regalo alla vita.
Lo appunto e lo dichiaro a me e al mondo!
Condividere ciò che trovo di valore è per me vitale.

22 novembre 2006

"ci sarebbe stato un muro di colore blu"

A volte le parole non servono nel loro significato.
A volte servono solo per il loro suono.
Per creare evocazioni.
Per non dire, ma lasciare.
Forse sono incomprensibili.
Sono solo emozioni che ti scavano dentro.
A volte preferisco i suoni ai significati.
Un grido.
Ma anche un gesto. Uno sguardo.
I segreti dell’intimo che nessuna parola può dare.

Ho ripensato ai libri della Duras.
Il primo per me,
“Occhi blu
capelli neri”,
mi fu regalato da un ragazzo.
Al suo interno dei foglietti a righe
ormai ingialliti,
dove aveva scritto pensieri per me.
Scrittura volante da una mano
che inseguiva il tempo che marcia…
Scrittura dal sapore
delle scolpenti parole
di Marguerite Duras.
“occhi blu
capelli neri”

“Si sdraia vicino a lei. Provano una felicità che non hanno mai conosciuto, così profonda, ne sono terrorizzati.
[…]
Lui dice che si è sbagliato, che non è il giorno che spunta, è il crepuscolo, vanno verso un’altra notte e bisognerà che passi tutta per arrivare al giorno, si sono sbagliati circa il passare delle ore. Lei gli chiede il colore del mare. Non lo ricorda.
La sente che piange. Le chiede di cosa pianga. Non aspetta risposta. Le chiede che colore dovrebbe avere, il mare. Lei dice che il mare prende il colore da quello del cielo – che non si tratta di un colore quanto di uno stato di luce.
Lei dice che forse hanno cominciato a morire.
Lui dice di non saper niente sulla morte, è un uomo che non sa quando ha amato, quando ama, quando muore. Nella sua voce vi sono ancora grida, ma lontane, intrise di pianto.
Tuttavia le dice che anche lui, adesso, crede che fra di loro ci sia quello che diceva lei nei primi giorni della loro storia. Lei nasconde il volto contro il pavimento, piange.

È l’ultima notte, dice l’attore.
[…]
L’ultima notte, annuncia l’attore.
[…]
Quella sera della sesta notte, lo sguardo di lui si sarebbe distolto da quello della donna, e lei, al suo avvicinarsi, si sarebbe ricoperta con il lenzuolo bianco.
[…]
Un’ultima frase, dice l’attore, sarebbe forse stata detta prima del silenzio. Presumibilmente sarebbe stata detta da lei, per lui, durante l’ultima notte del loro amore. Si sarebbe riferita all’emozione che si prova a volte nel riconoscere ciò che non si conosce ancora, all’impaccio in cui ci si trova nel non poter esprimere questo impaccio a causa della sproporzione delle parole, della loro povertà davanti all’enormità del dolore.
[…]
Di fronte al teatro, dice l’attore, ci sarebbe stato un muro di colore blu.
[…]
Quando c’era burrasca, certe notti, si sentiva chiaramente l’assalto delle onde contro il muro della camera e il loro frangersi attraverso le parole.”
da "Occhi blu capelli neri"-
(sui foglietti a righe, infilati nel libro:)
non passano frasi significanti
ho solo parole uniche
che hanno un senso
solo se suonate insieme
non ho una penna
da scrittore
ma odori forti
che rimangono impigliati
in foglietti prossimi
alla mia mente
ti chiedo di ascoltare
la musica
ascoltala con le pause
e la lentezza
che usi nel guardare
le mie mani
si rivolgono
a momenti passati
dimenticati
ma sparsi in luoghi comuni
troppo
da non poter essere
notati
ho molta paura
e di notte dormo
sollevato dal letto
con un’aria
disinteressata
eppure
non ho scampo
sento forti odori
di stanza vuota
come passi abbandonati
sento grida assordanti
di bambole
con ambizioni di vita
o fotografie
di momenti mai vissuti
o finiti di vivere
non c’è nulla che non dica
di essere già stato
o di non esserlo mai
tutto questo
è finito
o non ha mai potuto esserlo
spesso credo
di muovermi
per dimostrare
che ieri era solo
un sogno
ma non è sufficiente
per raggiungere
il senso della mia vita
anzi
l’odore della carne andata a male
mi impaurisce
come quello
delle donne comete
o dei pensieri passati
si tratta di
morte
ed è un senso
più concreto
e più raggiungibile
temerariamente
completo
indissolubile
così come ogni
azione
frazione
frammentazione
che
non avrebbe senso
senza
una fine
non è un problema
di
paura
solo di
convivenza
ossimoro perenne
capacità astrattiva
vivo con o senza
vita
non c’è nulla che
posso negare
o affermare
in questo incredibile
e dissennato
volo di pensieri
volevo essere
volevo essere
mi dispiace
ma i cornetti sono terminati
ed il tempo
da lei rappresentato
non ci piace
usi il favore
di portare via
questa puzzolente
e retorica
ansia
e la confusa
e antica
angoscia
come occhi al buio
senza speranza
di lanterne
ecco
ora solo
capisco
che
tutto quello che
ho scritto
deve
finire

link per il libro: su titolo post

16 novembre 2006

saluti prima di andare...


ciao
ciao... ...io vado (parto...!)







15 novembre 2006

--- TRADIMENTI ---

La maestra: - Bambini ora vi do il compito di matematica. Chi lo farà bene sarà premiato. Allora state attenti a non farvi copiare, perchè solo il più bravo riceverà il premio!-
Il compagno di banco: - Mannaggia... non sono capace! Non mi ricordo le tabelline... Guarda Giovanni come è bravo!! ...è così preso dai suoi conti che non mi vede... quasi quasi sbircio...una bella copiatina e risolvo il problema! Che male c'è? Tanto nessuno se ne accorge... -

Ho voglia di parlare dei Tradimenti.

Termine che evoca immediatamente l’immagine dei tradimenti amorosi, dei tradimenti sessuali, dei tradimenti coniugali, e delle famose “Corna”.
A me non interessa questo aspetto!
Il tradimento lo intendo molto più profondo e doloroso quando è un tradimento di amicizia, di fiducia amichevole affettiva, un tradimento ad una complicità stretta fra due persone, il tradimento ad un’intesa…
È difficile con le parole rendere un sentimento, è difficile introdurre delle emozioni con la razionalità di una spiegazione. La razionalità, e la stessa vita che scorre, conducono verso la libertà di ogni essere, svincolato da impegni che non siano quelli strettamente doverosi, o manifestamente riconoscibili, a cui comunque è possibile trovare fuga, esattamente come recita il detto: “Fatta la Legge, trovato l’inganno”.
Quindi parlo di una silente concordia di lealtà e fiducia, insita nell’amicizia, nei rapporti complici di segreti e affetti. Parlo di quel sentimento che può legarmi affettivamente (anche l’amicizia profonda è affetto) ad una persona a cui mi piace sentirmi legata! E sottilineo: mi piace, partendo dal presupposto che non c'è obbligo nel ritenermi legata a qualcuno! (Né c'è obbligo nell'Altro, questa è la libera scelta!)
Parlo di un legame, di un’amicizia, di una complicità che non vorrei offendere, visto che è nella mia libertà scegliere, e quindi rendermi anche consapevole che “il tradimento” a quell’amicizia e a quel legame sarebbe, prima di ogni cosa, un tradimento a me stessa. Segnalerebbe una grossa carenza di libertà di movimento nella mia vita, e una viltà verso me stessa, che pagherei in un conflitto interiore, prima o poi alla luce della mia consapevolezza.

Annaspando nell'esprimere fino in fondo ciò che provo, e mirando ad allargare il discorso ristretto fin qui ad una visione troppo personale, ricorro ad un articolo (Rassegna Stampa de La Repubblica-12/3/2000) di LUCIANA SICA sul libro della sociologa Gabriella Turnaturi, ("Tradimenti", Feltrinelli, 2000). Libro, scrive L. Sica nel sottotitolo del suo articolo: “sulla fragilità dei rapporti di fiducia”. E continua:Quanti modi ci sono di essere sleali con gli altri? Nella sfera degli affetti come delle professioni in ogni relazione umana c'è il rischio dell'abbandono”

“Se l'Altro esiste indipendentemente da noi, se prima ancora di calcare altri prosceni e coltivare innumerevoli rapporti ha innanzitutto una relazione con sé in buona parte inconsapevole, allora il tradimento è sempre possibile. E noi stessi, determinati a difendere improbabili progetti con l'Altro, non siamo in grado di prevedere i possibili mutamenti dei nostri percorsi (mai lineari), escludendo ogni forma d' inganno. Non ci conosciamo mai abbastanza, non sappiamo quale sogno o quale accidente sconvolgerà l'algoritmo obbligato della nostra esistenza quotidiana! Altrimenti l'Io sarebbe padrone in casa propria, cosa che così non è - si sa. Le interazioni sociali, non essendo imbalsamate, congelate in una luttuosa immobilità, contengono sempre una dose - fors'anche minacciosa - d'imprevedibilità.
Ogni volta che si forma un Noi - rappresentato da una coppia come da un gruppo o da una comunità-, ogni volta che c'è la condivisione di un affetto, di un segreto, di un ideale, di un fine c'è sempre la possibilità di una lacerazione, di una rottura, di un abbandono.

Mettiamo, ad esempio, la storia di Elisabetta I e il conte di Essex raccontata da
Lytton Strachey (“Elisabetta e il conte di Essex”/ Tea), considerata come la messa in scena di "una delle più tragiche rappresentazioni del tradimento". La tempestosa relazione tra la regina, ormai sessantenne, e il giovane passionale Robert Devereux conte di Essex, vive nella doppia cornice dell'intimità amorosa e delle rigide regole di corte. In una doppia appartenenza, dunque, dove i Noi si conciliano male e finiranno col frantumarsi senza che nulla possa essere salvato, dopo una ridefinizione improvvisa e violenta di aspettative e comportamenti. Lei non è solo una donna invaghita di un irruento giovanotto: è innanzitutto la sovrana, la "sua" e di tutti gli altri, lui è il favorito della regina ma è comunque un suddito. Ci sono troppi ruoli da interpretare contemporaneamente, troppe occasioni di conflitto. E infatti, sarà la diffidenza reciproca a prevalere. Quando lei lo schiaffeggerà di fronte a una corte ammutolita dallo sconcerto e lui avrà l'ardire di definirla "una vecchia carcassa", il libero corso che lasceranno alle emozioni - ira, orgoglio, rabbia - si concluderà in una terribile recita di potere: il conte tenta di destituire Elisabetta dal trono, la regina lo fa decapitare.
Ci sono modi più sottili di tradire, naturalmente, e appartengono alla vita quotidiana di tutti, nella sfera degli affetti come delle professioni. Ci sono ambienti in cui patti di lealtà espliciti o impliciti, pur senza chiamare in causa "vecchi" codici generali basati sull'onore, rimandano alla necessità di un comune riserbo, se non proprio alla condivisione di un segreto, e dove quindi è la "confessione" a diventare imperdonabile.
Così la Turnaturi sintetizza uno degli aspetti di fiducia e lealtà: "Ci rendiamo affidabili, seppure parzialmente, così come ci fidiamo degli altri settorialmente. E quindi di nuovo fiducia e lealtà non sono declinazioni virtuose, ma comportamenti strumentali o parziali".

Privi di un'etica collettiva, i soggetti della modernità si muovono come viandanti leggeri e fluttuanti, assai poco radicati e inclini a interpretare le forme del tradimento senza un particolare sentimento di colpevolezza, ma anzi come un segno della propria libertà. Del resto, è la stessa organizzazione dell'economia che tende a considerare non funzionale, se non proprio un ostacolo, il radicarsi e la possibilità di sviluppare rapporti fiduciari verso le singole persone, le organizzazioni, le istituzioni.
Ecco come l'imperativo della flessibilità si riflette sulla famiglia di un manager intervistato dal grande sociologo americano
Richard Sennett (L'uomo flessibile, Feltrinelli): "Non puoi immaginare quanto mi sento stupido quando dico ai miei figli che è importante dedicarsi a qualcosa... Per loro si tratta di una virtù astratta: non la vedono da nessuna parte".”

Qui l'articolo si conclude, e così anche ciò che volevo esprimere... il resto (del mio desiderio di parlare di Tradimenti) sta alla libera interpretazione delle parole, e al proprio modo di vedere la vita, le relazioni, e di fare i conti con se stessi...


10 novembre 2006

"Divergenze&Provocazioni" (il seguito- da "Ridere, ridere, ridere ancora")



Questo post lo dedico ad un "contenzioso" nato sul blog NON ERA PREVISTO.

Con titubanza stavo per scrivere l'ennesimo commento (lungo e dettagliato) su "Ridere, ridere, ridere ancora", post che ha scatenato tanta polemica, quando ho dirottato l'idea di rispondere, sul mio blog.

NON ERA PREVISTO ha già ospitato lo snocciolarsi e il crescere dei toni, preferisco non invadere ulteriormente tale spazio con la mia risposta che, o non doveva esserci affatto, oppure non riusciva a contenersi in poche righe.

Il contenzioso parte da un'idea politica, dall'imago di un sorriso conosciutissimo a tutti gli italiani; come era conosciuto il mento volitivo di un altro signore che ha fatto la storia dell'Italia, affacciandosi da un celebre balcone romano su piazza Venezia.

Diciannove i commenti a Ridere, ridere, ridere ancora, il ventesimo lo posto qui!

Riprendo solo dagli ultimi commenti, tagliando parte della miccia.
Per chi, passando da queste parti, volesse capire dall'inizio il filo conduttore, lo rimando al link su "Ridere, ridere, ridere ancora".
Uno dei principali "protagonisti" del vivace dibattito, il signor
Pasquale Coriolano (per l'esordio cliccare link), è già apparso su questo Blog. Questo è il secondo post (il primo è "Piti-piti-piticoscienza") che dedico alla sua..."esuberanza" verbale! - Eufemisticamente parlando -

Prologo:

zip zap said...
[... ].... per caso "Coriolano" sta per "Berlusconi"? sei un qualunquista pieno d'aria


LeCannu said...
ragazzi, moderiamo i termini, altrimenti scatta la mannaia censoria.


Coriolano said...
credevo ci fosse libertà di pensiero e di espressione e invece c'è pieno di fascisti in giro. Non è che a forza di Guzzanti il ragazzo s'è calato troppo nel personaggio? che brutt' aria


LeCannu said...
Coriolano, sapessi almeno chi sei... Sembra che tu mi conosca, ed invece io non so niente di te, e mi tocca pure sentirmi dare del fascista... Forse questo non è il migliore dei blog, ma comunque è uno spazio che controllo e metto a disposizione dei più. Mi piace la chiarezza e mi stancano le volgarità gratuite.. Comunque spero che scriverai ancora.


danDapit said...
LeCannù ...sei un signore!! parola di Dandapì!


LeCannu said...
@danda: grazie carissima, cerco solo di esser chiaro e pretendo chiarezza dai miei commentatori. Chiedo troppo? Un bacio


Coriolano said...
1- la storiella di Esopo è volgarità gratuita? La prossima volta la faccio pagare. 2- il "fascista" non era indirizzato a te ma al /alla tizio/a che mi dice che sono un qualunquista pieno d'aria. 3- lo spazio sul web che controlli sicuramente non è dei migliori ma mi piace e mi diverto. Mi diverto a dire la mia e non vedo perchè a seguito di questo debba essere apostrofato come sopra. Ragazzi moderiamo i termini dici. E quali termini avrei alterato? 4- no. non ti conosco e tu non conosci me. Per me si può andare avanti così. Se vuoi ci diamo un appuntamento e ci troviamo alla Elsa Morante. 5. Zip Zap si è espresso con l'aggressione verbale, che non è fisica ma da pc è difficilissimo metterla in pratica, e tu non hai battuto ciglio per difendere la libera circolazione delle idee anche di quelle che non condividi, che per uno di sinistra non è che sia tanto un onore. Allora?


LeCannu said...
Caro Coriolano, il mio invito alla sobrietà non era indirizzato solo a te, ovviamente, ma anche a zip- zap: se noti, nel mio commento ho scritto "ragazzi". Perciò, confido che anche zip- zap, il cui commento era pesantuccio, si astenga in futuro da terminologie gratuite, peraltro in uno spazio Ospite. E ovviamente rivolgo l' invito a tutti. Mi viene il sospetto che tu e zip zap vi conosciate, comunque. Al di la di questo, non ho trovato alcuna idea da difendere: eravate sul surreale entrambi. Forse devo ancora imparare molto sull' essere di sinistra, ma non credo di essermi comportato scorrettamente. Spero la conversazione ritorni su toni pacati anche se bizarri.E, fino a prova contraria, non c' è stata censura. E' uno strumento che mi infastidisce e spero proprio di non averne bisogno. Ciao!


danDapit said...
...avrei molto da ridire sui 4 punti del caimano Coriolano (rif. allo Zecchino d'Oro di svariati lustri fa), ma mi astengo per non incrementare la polemica già densa, insieme alle frittate molto rivoltate! ..tra res publica e res privata... (p.s: @L.C.-baci!-)


Coriolano said...
(Polli d'allevamento 1974 Giorgio Gaber) bene vi rispondo qui così non lo vede nessuno. L'italiano è una lingua morta ed incomprensibile. Quali frittate Danda quali? "zip zap è stato pesantuccio", cos'è non ce la fai a dirlo che è uno stronzo fascista. Questo aggettivo vezzeggiativo per descrivere un tizio che si è scagliato contro qualcuno solo perchè ha detto qualcosa che non condivide? o era volgare? Compagnoni e Lacedelli sanno per esperienza quanto sia difficile arrampicarsi sugli specchi. Detto questo: uno di sinistra duro e puro e che ha fatto la resistenza chiederebbe scusa.


Qui finisce il Prologo..


Ecco la mia risposta a Coriolano:

Caro Coriolano, per quanto mi sforzi di seguirti, mi permane la sensazione che sia tu degno di essere affiancato a Compagnoni e Lacedelli! E la sgradevolezza di fondo è che, menando il can per l’aia, ti prenda gioco di chi con ingenuità cerchi di risponderti!
Polli d’allevamento di Gaber: perché lo citi? Per dire che “da queste parti” (e vista la polemica nata anche sul mio blog, mi ci infilo in mezzo) la politica si porta avanti solo per moda? Che in definitiva, invece di esser concreti, come le tue barzellette che parlano di vita nei suoi fatti e misfatti veri, ci si dà arie di coscienze politiche? E, circa le barzellette, dato che mi interpelli per aver menzionato delle frittate rigirate, ti dirò: se vuoi fartele pagare, le barzellette, prego, fai pure! Ti offendi perché non viene apprezzata, e dovrebbe essere addirittura pagata? ..ah, sì! così non è più gratuita, la volgarità! Oohplà, frittata girata!

E cosa c’era, nella tua barzelletta, di politico, da condividere o non? Anche questo mi sfugge.
La barzelletta prendeva in giro un pacifista che scriveva scritte sul muro (e ritorniamo a “Polli d’allevamento”…ah, guarda che è del ‘78! Del 1974 è: “Anche oggi non si vola”), e caso volle che la postasti sul post che, col mal di pancia, ricordava Berlusconi. Bè, potevi postarla anche su "Elogio della Follia" o su "Idraulici Tentativi", no?

Mister (o miss?) Zip Zap ti ha dato del qualunquista. È un’offesa? E per questo io dovrei ammettere che il tal Zip Zap è un fascista? La barzelletta direi che era volgaruccia assai! Magari raccontata fra le lenzuola, per giocare nell’intimità, era pure carina, ma nel contesto di una LIBERA espressione di disagio politico, in effetti aveva molto sapor di qualunquismo, oltre che di provocazione… ma ammetto che questo potrebbe essere un mio limite mentale! Però, concordando con Zip Zap, non potrò dare soddisfazione a te dichiarando che il suo modo di fare è fascista! ZipZap si è espresso, come te!
Concludi: uno di sinistra duro e puro e che ha fatto la resistenza chiederebbe scusa.
Ma di che parli? Chi ha fatto la resistenza? Tuo padre? Forse mio nonno!
Te lo avevo già chiesto sul mio blog: di che parli?? Perché mescoli tutto come in un minestrone? Chi dovrebbe berselo il minestrone?
E poi, guardandosi nelle palle degli occhi (con te stesso, allo specchio): duro e puro?
La purezza non è roba umana, l’idealismo sì!...la durezza, senza purezza, è ovunque!

Così avevo chiuso il commento di risposta. Ora però sono "ospite" del mio blog, e aggiungo un'ulteriore postilla. Altra rigirata di frittatina notata, è quando dall'attacco a LeCannu, ed era un attacco a LeCannu! Eccolo qua: "...e invece c'è pieno di fascisti in giro. Non è che a forza di Guzzanti il ragazzo s'è calato troppo nel personaggio? che brutt' aria", chi ha postato Guzzanti? LeCannu! ...Hai poi cercato il parafulmine nella prestante figura di ZipZap: "2- il "fascista" non era indirizzato a te ma al /alla tizio/a che mi dice che sono un qualunquista pieno d'aria."

"Quali frittate Danda quali?"
QUESTE! evidenti..., e altre che serpeggiano nel minestrone!
Signor Coriolano, dai!
Ora sono io che alzo il cappello e mi congedo! Si ricordi della piticoscienza che si infutura...

...Perchè non ci vediamo alla Elsa Morante? Faccio un salto ad Ostia e studiamo insieme in biblioteca, è il mio ambiente! Magari mi presenti anche il tuo amico ex pescatore che ora fa il postino (si chiamava Mario?), e forse dal vivo risponderai al mio quesito, a cui un mese fa ti sei sottratto: "Com'è che scivolasti a firmarti tuo Zorro?"

[L'immagine al Post è tratta da un gruppo di sculture distribuite su una spiaggia australiana. E' in tema? ...chissà!]

...dulcis in fundo: se per caso Zip Zap si trovasse a passare di qui, sarà Benvenuto/a!

Ossequiosamente.................

08 novembre 2006

;o)) La Mostra "io sono mia" ((o;

Questa "cronaca" l'ho scritta sabato 4 novembre, la posto solo ora perchè non avevo avuto tempo di ultimarla.
Giornata assolata dell’ultimo sabato ottobrino caldo. Telefono ad un’amica per sapere che fa, e scopro che sta sulla spiaggia a prendere il sole!
È trascorsa solo una settimana, e stasera ho dovuto indossare il piumino!
Divago…
Ritornando al sabato assolato d’ottobre, scegliendo l’orario del pranzo per pedalare in strade meno trafficate, ho inforcato la bicicletta diretta alla mostra.

Roma affollata nei vicoli di Trastevere, ondate di ragazzi che escono da scuola, motorini che fanno manovra impedendomi la rincorsa per affrontare la salita, frotta di turisti straripante nel viottolo, il passaggio è bloccato persino alla bici. Mi fermo ad aspettare che il flusso umano raggiunga la sua isola.
Ponte Garibaldi, piazza Cairoli, via dei Giubbonari tra i negozi aperti e i corpi che passeggiano, bancarelline improvvisate, musici agli angoli: passaggio tortuoso degno di una gimcana.
Campo de' Fiori in pieno mercato, turisti ai tavoli dei ristorantini all’aperto, non mi arrendo: no, non scendo dalla bici per proseguire con lei a fianco, seppure sono un fastidio in più tra la gente ammassata in passaggi inesistenti…
Via del Pellegrino, poi un vicolo qualsiasi per tagliare Corso Vittorio, e sono a via del Governo Vecchio. Ancora folla, ancora tavoli esterni, persone che pranzano al sole di Roma, persone che camminano tra le strette vie e le sedie dei commensali stipate e la mia inaspettata bici che sbuca davanti alle loro gambe… Infine arrivo allo storico palazzo di “io sono mia”. Un po’ mi sento emozionata. il tragitto stesso mi ha emozionata, dopo tanto tempo che non percorrevo le mitiche strade dell’adolescenza…
Entro. Palazzo Nardini è in fase di restauro.

Mi avvicino ai tabelloni. Due donne davanti a me stanno di fronte alle tappe cronologiche. Una ascolta, l’altra legge ad alta voce e commenta: riassume i ricordi, e con corde vocali che esprimono entusiasmo, orgoglio e gaudio per il suo vissuto, ostenta una spavalderia che mi infastidisce, accompagnandosi alla sgradevole sensazione che mi abbia incluso nel suo pubblico. L’altra la segue con interesse, curiosità, ammirazione… Comincio ad essere insofferente, non riesco a leggere, il fonico da prima donna mi disturba; provo a concentrarmi ma non seguo me stessa, quel suono è troppo alto, le parole un fiume in piena ricolme dei propri racconti!
Se fossi in un fumetto le darei una martellata in testa!

Con enfasi mostra alla sua allieva le foto in bianco e nero esposte: “Vedi, vedi questi loggioni pieni di donne? Ecco, erano quelli!”, braccio e indice tesi verso l’alto, si girano a guardare dal vivo il teatro della scena.
Cosa guardano? È tutto incartato! Stanno restaurando, i loggioni sono coperti! …Mah!
Aspetto…
Aspetto, continuando a rileggere gli stessi dati cronologici più e più volte, esauriranno infine il loro filone storico e andranno avanti!
Con pazienza infatti riesco ad ottenere il mio spazio di silenzio, e leggo le tappe riassunte dal 1966 al 1976.
Perché non hanno redatto un pieghevole con quel breve riassunto? È interessante! Io non mi sono portata carta per scrivere, come mai non ci ho pensato? Ho solo la ricetta dell’omeopata, e ce l’ho per caso, così mi decido a riempire quella di tutto ciò che posso appuntare…

Dal 1966 prendono il via i primi movimenti, nel 1970 a Roma nasce l’MLD (Movimento di liberazione della donna), nel 1976 viene occupato Palazzo Nardini, da tutte chiamato “Governo Vecchio”.
Il Governo Vecchio diventa l’officina dove fermentano tutte le attività e gli incontri, dove la storia di una certa rivoluzione è andata intessendosi.
Le prime denunce contro gli stupri alle donne.
L’avvocato Tina Lagostena Bassi ritratta in una foto in bianco e nero, seduta insieme ad altre donne, mentre parlano di come affrontare ciò che dovrà portare ad un cambiamento della realtà.
(Processo contro le violenze del Circeo: da: “News Letter” della Casa Internazionale Delle Donne n°50 marzo 2006 / APPROFONDIMENTI - Processo per stupro” di Giovanna Olivieri:
"Fiorella è difesa da Tina Lagostena Bassi e Grazia Volo che ottengono, nonostante le resistenze del Pubblico Ministero, la pubblicità del processo. Ed è proprio grazie al processo a porte aperte che le donne possono dimostrare, con la presenza in aula, la loro solidarietà alla donna violentata e le autrici possono effettuare le riprese. 6 i difensori degli imputati -“quattro bravi ragazzi sposati e con prole” condannati al minimo della pena e tornati in circolazione grazie alla libertà provvisoria – fra cui l’avvocato già difensore di Izzo al processo per le violenze del Circeo. Il processo si apre con la richiesta dei Collettivi femministi di Latina e del Mld di costituzione di parte civile; richiesta respinta in quanto non viene giuridicamente riconosciuto il danno subito dal movimento delle donne e a cui fa seguito un’offerta di 2 milioni di lire a Fiorella come risarcimento del danno subito.")

Leggo i nomi dei Collettivi che nascono, sono numerosissimi, e ciò che mi colpisce, oltre a notare la fucina di svariata attività, è la fantasia, l’incredibile immaginazione che la donna porta da sempre con sé!
Sorrido divertita davanti ad alcuni nomi dei collettivi:

- Collettivo delle studentesse: “Mariarosa è minorenne”
- Collettivo di artigianato: “Le Rospe Nere”
- Gruppo di teatro “Le Streghe”
- Gruppo “Erba Voglio” (ma non ci era stato insegnato che L’erba Voglio non esiste nemmeno nel giardino del Re?)
- Ostello “La Bella Addormentata” (inizio poetico e fiabesco per dormire, ma…) poi cambia nome e diventa: Ostello “Pink Panter”(denominazione che è tutta un programma, sia per dormire, sia per la combattività che prospetta con il suo evocare le Black Panters…)
- Posto di Ristoro “Alla luna Goduriosa”, nome che cambia in “Oca ladra”.

Senza contare tanti altri collettivi come “Artemide- donne lesbiche in rivolta”
- Collettivo “Camera Oscura”
- Collettivo “Separate sole e divorziate” (considerando che la legge sul divorzio fu approvata nel ’74, la realtà che albeggiava si delineava in una società radicalmente osteggiante: di conseguenza l’impatto nel sociale per le donne dal nuovo stato era di un disagio inimmaginabile. Curioso notare che per quanto ora suoni triste e ghettizzante il nome di tale collettivo, per quei tempi echeggiava come una sorta di attuale New Age!)
- Collettivo “Donne contro l’energia nucleare”
- Gruppo “Rifiutare”.

Gruppo Rifiutare…il rifiuto, il saper dire di No, era qualcosa da imparare, per le donne, bambine e fanciulle educate a dire sempre di sì, essere sempre gentili, pronte, sollecite e perspicaci nel comprendere al volo ciò che ci si aspettava da loro.

Anche io sono stata allevata così. Da piccola guai a non finire tutto ciò che avevo nel piatto anche se non mi andava, anche se non mi entrava più, dovevo finirlo! Guai a piangere e a fare storie se i cuginetti mi avevano fatto a pezzi il teatrino portato da Babbo Natale! Guai a fare rumore se papà dormiva nel pomeriggio. Guai a non rispondere ad una domanda, o a non salutare, o a non accettare anche ciò che non era gradito!
Rifiutare.
Imparare a dire NO!
A protestare, a reagire! Ad essere maleducate!
A fare le Rospe Nere, le Streghe, le Pantere aggressive, a desiderare anche l’Erba-Voglio che per me, se voglio, può crescere dove mi pare! Ad essere lunatica e goduriosa, a fare l’oca e la ladra se mi aggrada… e fu l’esplosione del lesbismo.

Per molto tempo il concetto di “femminismo” diventò, nella simbologia parlata, sinonimo di lesbismo. Quelle donne che difendevano libertà che nel privato venivano ignorate o ridicolizzate, si conquistavano, pari al copricapo con su scritto “Asino”, la qualifica di “femminista” che, come una Matrioska, conteneva a sua volta il sottinteso di lesbica.
In conclusione battagliare equivaleva, nel senso diffuso alla cultura del momento, rifiutare l’uomo (significato che non si è ancora evoluto per alcune persone…)!

Tale ambiguo sottinteso, ben dichiarato nei tète-à-tète dentro casa o fra le lenzuola di un letto, ha posto per anni la donna davanti ad un aut-aut: o ami l’uomo con tutta la sua prepotenza, o, mia cara, sappi che tu non vuoi un uomo! Vuoi una “femminuccia”! (a libera interpretazione)

Palazzo Nardini diviene sempre più decadente e fatiscente, le donne hanno bisogno di un’altra casa.

Nel 1983 ottengono l’immobile del Buon Pastore a via della Lungara, e nel settembre 1984 ci sarà l’irruzione della polizia al Governo Vecchio, che viene completamente sgombrato.
Il 14 dicembre 2001 il sindaco Veltroni consegna le chiavi del Buon Pastore: la casa delle donne.

La mostra è piccola, poche foto, anche se documentano la storia e i passaggi.
Le foto in bianco e nero ricordano i momenti della lotta degli anni '70, le scritte con gli spray sui muri:

“I giochi di potere non sono solo maschili, ma anche noiosi”
“E la luce è solo l’inizio”
“Voglio la rivoluzione delle donne come voglio un’amante”
(sì! C’è l’apostrofo: un piccolo apostrofo che contiene molto)

Poi iniziano le foto a colori, quelle scattate ora, prima di iniziare i lavori di restauro: le foto che documentano la vita vissuta dalle donne fra le mura del Governo Vecchio, i graffiti sui muri, le porte disegnate, i murales. Foto scattate per preservare il ricordo storico di tanta lotta, di tanta vita, di tanto amore…
Ho copiato alcune scritte sul mio foglietto.

Ho scattato delle foto alle foto: stanze vuote, pareti scrostate, graffiti, scritte, disegni, la porta di Radio Lillith decorata con riccioli e tondi.

(Alcune delle scritte appuntate le posterò colorate ed estrapolate dal testo)

Ho ripreso la bici e ho pedalato fra la calca delle persone fino a piazza Navona. Mi sono seduta su un gradino al sole a riscaldarmi al suo tepore. La piazza era gremita di gente, turisti italiani e stranieri, era la solita piazza Navona, sempre più affollata! Davanti a me è passata una statua che aveva finito il suo turno di lavoro: mantello argento, bombetta argentata, viso argentato, sosteneva i lembi della veste argentata per camminare con falcata lesta…L’ho seguita con lo sguardo, incrociando un’altra statua umana ancora in servizio: tutta bianca, immobile, col braccio alzato nella sua fiaccola. Statua della Libertà. Ho pensato: “Ma come fa a stare tante ore con quel braccio in aria?”. Poi mi sono distratta ancora.

Ci tenevo a vedere quella mostra, piccola, ma per me significativa. Ci sono cresciuta dentro, a “io sono mia”!
E mentre inforco la bici per tornare, mi vengono in mente alcuni racconti su episodi degli anni '50, quando chi poteva partoriva in clinica; in ospedale le infermiere, donne dimentiche della propria identità, esortavano con crudo scherno la partoriente impegnata nel suo travaglio:
“Hai voluto la bicicletta? Ora pedala!!”





07 novembre 2006

UN FURTO - "Ritorni" - dal blog: "Nulla di così importante"

Il mio essere ladra ha colpito ancora!
Furto di parole per una silenziosa intimità dolce-amara che in me passeggia su e giù. Da me nasce e si lascia ascoltare senza mai giungere all'emersione, in nuda espressione...
Parole composte in muto canto, le ho trovate, mi ci sono riflessa come sullo specchio d'un limpido lago, mi ci sono immersa, le ho sentite mie, desiderando d'averle scritte io stessa.
Ho chiesto il permesso di rubarle, l'autrice me lo ha accordato.
Ho commesso così nuovamente il misfatto.
Ringrazio Demolish, autrice di poetica che si sgrana nel buio. Il suo post, immerso nelle stelle dove un punto d'orato appare per regalare passi che s'aprono nel nero, racchiude il cuore d'una notte pregna d'umani umori,
sensualmente fluidi,
amaramente effimeri,
in un ritorno che ritorno non è...

"RITORNI"
Riconobbe il suo passo, lo scintillio spumeggiante delle sue apparizioni.

Riconobbe il suo modo di bere col dito all’insù.
Riconobbe quello che c’era nella caduta improvvisa nei suoi occhi depressi.
Riprese a sorseggiare liquori già detti, a filtrare pensieri gelosi cercando di renderli meno patetici.
Riconobbe il braccio di lei che cingeva la sua spalla voltata.
Riconobbe la mano di lei nata per distruggere il suo equilibrio interiore.
Comprese la follia che spirava dalla sue osservazioni e decise di andare per non disturbare.
Riconobbe la stessa nottata ripetuta più volte, la necessità di girovagare in cerca di aiuto.
Si accontentò di una birra da scolare da sola e di una musica dolce che attutiva la botta.
Riconobbe la paura di sentirselo addosso, pronto a soffiare sui suoi castelli di carta.
Parlò con se stessa assicurandosi che ciò non sarebbe accaduto mentre gli ultimi toni di lui intralciavano le sue convinzioni.
Riconobbe la sensazione di caldo che l’aveva accompagnata nel suo tuffo nel buio.
Riconobbe i loro sorrisi che esistevano per tagliare la strada alla sua ricerca del bene.
Pensò a ciò che poteva salvare e a ciò che era meglio bruciare.
Pensò a i suoi nuovi propositi, alle nuove intese che andava instaurando.
Si chiese quali segreti portasse l’anima di lei per prevalere così forte sulla sua ostinazione.
Si chiese quanto ancora dovesse durare l’effluvio di domande provocate dalla loro presenza.
Si chiese se lui fosse davvero felice e decise che forse non lo sarebbe mai stato ma che forse non era importante.
Riconobbe la sua confusione.
Riconobbe l’amore che inspiegabilmente li univa.
Tornò a casa e decise di scrivere, perché solo quello era in grado di fare.
Scrisse pensando alla loro tristezza, alla faccia di lei che dormiva tra lenzuola imbrattate di un odore non suo, a ciò che meritava la sua cecità.
Ripudiò quel pensiero e si astenne dal dare giudizio a tanta tristezza.
Ripensò alle mani di lui e le immaginò sui suoi fianchi.
Ripensò alla bocca di lui e la desiderò sulla pelle.
Riconobbe la possibilità di cadere e si chiuse in se stessa, come era giusto che fosse.
Riconobbe la sua debolezza e decise di smettere.
Si buttò nel letto assonnata e delusa, chiedendosi quale fosse la strada capace di portare alle stelle.