08 novembre 2006

;o)) La Mostra "io sono mia" ((o;

Questa "cronaca" l'ho scritta sabato 4 novembre, la posto solo ora perchè non avevo avuto tempo di ultimarla.
Giornata assolata dell’ultimo sabato ottobrino caldo. Telefono ad un’amica per sapere che fa, e scopro che sta sulla spiaggia a prendere il sole!
È trascorsa solo una settimana, e stasera ho dovuto indossare il piumino!
Divago…
Ritornando al sabato assolato d’ottobre, scegliendo l’orario del pranzo per pedalare in strade meno trafficate, ho inforcato la bicicletta diretta alla mostra.

Roma affollata nei vicoli di Trastevere, ondate di ragazzi che escono da scuola, motorini che fanno manovra impedendomi la rincorsa per affrontare la salita, frotta di turisti straripante nel viottolo, il passaggio è bloccato persino alla bici. Mi fermo ad aspettare che il flusso umano raggiunga la sua isola.
Ponte Garibaldi, piazza Cairoli, via dei Giubbonari tra i negozi aperti e i corpi che passeggiano, bancarelline improvvisate, musici agli angoli: passaggio tortuoso degno di una gimcana.
Campo de' Fiori in pieno mercato, turisti ai tavoli dei ristorantini all’aperto, non mi arrendo: no, non scendo dalla bici per proseguire con lei a fianco, seppure sono un fastidio in più tra la gente ammassata in passaggi inesistenti…
Via del Pellegrino, poi un vicolo qualsiasi per tagliare Corso Vittorio, e sono a via del Governo Vecchio. Ancora folla, ancora tavoli esterni, persone che pranzano al sole di Roma, persone che camminano tra le strette vie e le sedie dei commensali stipate e la mia inaspettata bici che sbuca davanti alle loro gambe… Infine arrivo allo storico palazzo di “io sono mia”. Un po’ mi sento emozionata. il tragitto stesso mi ha emozionata, dopo tanto tempo che non percorrevo le mitiche strade dell’adolescenza…
Entro. Palazzo Nardini è in fase di restauro.

Mi avvicino ai tabelloni. Due donne davanti a me stanno di fronte alle tappe cronologiche. Una ascolta, l’altra legge ad alta voce e commenta: riassume i ricordi, e con corde vocali che esprimono entusiasmo, orgoglio e gaudio per il suo vissuto, ostenta una spavalderia che mi infastidisce, accompagnandosi alla sgradevole sensazione che mi abbia incluso nel suo pubblico. L’altra la segue con interesse, curiosità, ammirazione… Comincio ad essere insofferente, non riesco a leggere, il fonico da prima donna mi disturba; provo a concentrarmi ma non seguo me stessa, quel suono è troppo alto, le parole un fiume in piena ricolme dei propri racconti!
Se fossi in un fumetto le darei una martellata in testa!

Con enfasi mostra alla sua allieva le foto in bianco e nero esposte: “Vedi, vedi questi loggioni pieni di donne? Ecco, erano quelli!”, braccio e indice tesi verso l’alto, si girano a guardare dal vivo il teatro della scena.
Cosa guardano? È tutto incartato! Stanno restaurando, i loggioni sono coperti! …Mah!
Aspetto…
Aspetto, continuando a rileggere gli stessi dati cronologici più e più volte, esauriranno infine il loro filone storico e andranno avanti!
Con pazienza infatti riesco ad ottenere il mio spazio di silenzio, e leggo le tappe riassunte dal 1966 al 1976.
Perché non hanno redatto un pieghevole con quel breve riassunto? È interessante! Io non mi sono portata carta per scrivere, come mai non ci ho pensato? Ho solo la ricetta dell’omeopata, e ce l’ho per caso, così mi decido a riempire quella di tutto ciò che posso appuntare…

Dal 1966 prendono il via i primi movimenti, nel 1970 a Roma nasce l’MLD (Movimento di liberazione della donna), nel 1976 viene occupato Palazzo Nardini, da tutte chiamato “Governo Vecchio”.
Il Governo Vecchio diventa l’officina dove fermentano tutte le attività e gli incontri, dove la storia di una certa rivoluzione è andata intessendosi.
Le prime denunce contro gli stupri alle donne.
L’avvocato Tina Lagostena Bassi ritratta in una foto in bianco e nero, seduta insieme ad altre donne, mentre parlano di come affrontare ciò che dovrà portare ad un cambiamento della realtà.
(Processo contro le violenze del Circeo: da: “News Letter” della Casa Internazionale Delle Donne n°50 marzo 2006 / APPROFONDIMENTI - Processo per stupro” di Giovanna Olivieri:
"Fiorella è difesa da Tina Lagostena Bassi e Grazia Volo che ottengono, nonostante le resistenze del Pubblico Ministero, la pubblicità del processo. Ed è proprio grazie al processo a porte aperte che le donne possono dimostrare, con la presenza in aula, la loro solidarietà alla donna violentata e le autrici possono effettuare le riprese. 6 i difensori degli imputati -“quattro bravi ragazzi sposati e con prole” condannati al minimo della pena e tornati in circolazione grazie alla libertà provvisoria – fra cui l’avvocato già difensore di Izzo al processo per le violenze del Circeo. Il processo si apre con la richiesta dei Collettivi femministi di Latina e del Mld di costituzione di parte civile; richiesta respinta in quanto non viene giuridicamente riconosciuto il danno subito dal movimento delle donne e a cui fa seguito un’offerta di 2 milioni di lire a Fiorella come risarcimento del danno subito.")

Leggo i nomi dei Collettivi che nascono, sono numerosissimi, e ciò che mi colpisce, oltre a notare la fucina di svariata attività, è la fantasia, l’incredibile immaginazione che la donna porta da sempre con sé!
Sorrido divertita davanti ad alcuni nomi dei collettivi:

- Collettivo delle studentesse: “Mariarosa è minorenne”
- Collettivo di artigianato: “Le Rospe Nere”
- Gruppo di teatro “Le Streghe”
- Gruppo “Erba Voglio” (ma non ci era stato insegnato che L’erba Voglio non esiste nemmeno nel giardino del Re?)
- Ostello “La Bella Addormentata” (inizio poetico e fiabesco per dormire, ma…) poi cambia nome e diventa: Ostello “Pink Panter”(denominazione che è tutta un programma, sia per dormire, sia per la combattività che prospetta con il suo evocare le Black Panters…)
- Posto di Ristoro “Alla luna Goduriosa”, nome che cambia in “Oca ladra”.

Senza contare tanti altri collettivi come “Artemide- donne lesbiche in rivolta”
- Collettivo “Camera Oscura”
- Collettivo “Separate sole e divorziate” (considerando che la legge sul divorzio fu approvata nel ’74, la realtà che albeggiava si delineava in una società radicalmente osteggiante: di conseguenza l’impatto nel sociale per le donne dal nuovo stato era di un disagio inimmaginabile. Curioso notare che per quanto ora suoni triste e ghettizzante il nome di tale collettivo, per quei tempi echeggiava come una sorta di attuale New Age!)
- Collettivo “Donne contro l’energia nucleare”
- Gruppo “Rifiutare”.

Gruppo Rifiutare…il rifiuto, il saper dire di No, era qualcosa da imparare, per le donne, bambine e fanciulle educate a dire sempre di sì, essere sempre gentili, pronte, sollecite e perspicaci nel comprendere al volo ciò che ci si aspettava da loro.

Anche io sono stata allevata così. Da piccola guai a non finire tutto ciò che avevo nel piatto anche se non mi andava, anche se non mi entrava più, dovevo finirlo! Guai a piangere e a fare storie se i cuginetti mi avevano fatto a pezzi il teatrino portato da Babbo Natale! Guai a fare rumore se papà dormiva nel pomeriggio. Guai a non rispondere ad una domanda, o a non salutare, o a non accettare anche ciò che non era gradito!
Rifiutare.
Imparare a dire NO!
A protestare, a reagire! Ad essere maleducate!
A fare le Rospe Nere, le Streghe, le Pantere aggressive, a desiderare anche l’Erba-Voglio che per me, se voglio, può crescere dove mi pare! Ad essere lunatica e goduriosa, a fare l’oca e la ladra se mi aggrada… e fu l’esplosione del lesbismo.

Per molto tempo il concetto di “femminismo” diventò, nella simbologia parlata, sinonimo di lesbismo. Quelle donne che difendevano libertà che nel privato venivano ignorate o ridicolizzate, si conquistavano, pari al copricapo con su scritto “Asino”, la qualifica di “femminista” che, come una Matrioska, conteneva a sua volta il sottinteso di lesbica.
In conclusione battagliare equivaleva, nel senso diffuso alla cultura del momento, rifiutare l’uomo (significato che non si è ancora evoluto per alcune persone…)!

Tale ambiguo sottinteso, ben dichiarato nei tète-à-tète dentro casa o fra le lenzuola di un letto, ha posto per anni la donna davanti ad un aut-aut: o ami l’uomo con tutta la sua prepotenza, o, mia cara, sappi che tu non vuoi un uomo! Vuoi una “femminuccia”! (a libera interpretazione)

Palazzo Nardini diviene sempre più decadente e fatiscente, le donne hanno bisogno di un’altra casa.

Nel 1983 ottengono l’immobile del Buon Pastore a via della Lungara, e nel settembre 1984 ci sarà l’irruzione della polizia al Governo Vecchio, che viene completamente sgombrato.
Il 14 dicembre 2001 il sindaco Veltroni consegna le chiavi del Buon Pastore: la casa delle donne.

La mostra è piccola, poche foto, anche se documentano la storia e i passaggi.
Le foto in bianco e nero ricordano i momenti della lotta degli anni '70, le scritte con gli spray sui muri:

“I giochi di potere non sono solo maschili, ma anche noiosi”
“E la luce è solo l’inizio”
“Voglio la rivoluzione delle donne come voglio un’amante”
(sì! C’è l’apostrofo: un piccolo apostrofo che contiene molto)

Poi iniziano le foto a colori, quelle scattate ora, prima di iniziare i lavori di restauro: le foto che documentano la vita vissuta dalle donne fra le mura del Governo Vecchio, i graffiti sui muri, le porte disegnate, i murales. Foto scattate per preservare il ricordo storico di tanta lotta, di tanta vita, di tanto amore…
Ho copiato alcune scritte sul mio foglietto.

Ho scattato delle foto alle foto: stanze vuote, pareti scrostate, graffiti, scritte, disegni, la porta di Radio Lillith decorata con riccioli e tondi.

(Alcune delle scritte appuntate le posterò colorate ed estrapolate dal testo)

Ho ripreso la bici e ho pedalato fra la calca delle persone fino a piazza Navona. Mi sono seduta su un gradino al sole a riscaldarmi al suo tepore. La piazza era gremita di gente, turisti italiani e stranieri, era la solita piazza Navona, sempre più affollata! Davanti a me è passata una statua che aveva finito il suo turno di lavoro: mantello argento, bombetta argentata, viso argentato, sosteneva i lembi della veste argentata per camminare con falcata lesta…L’ho seguita con lo sguardo, incrociando un’altra statua umana ancora in servizio: tutta bianca, immobile, col braccio alzato nella sua fiaccola. Statua della Libertà. Ho pensato: “Ma come fa a stare tante ore con quel braccio in aria?”. Poi mi sono distratta ancora.

Ci tenevo a vedere quella mostra, piccola, ma per me significativa. Ci sono cresciuta dentro, a “io sono mia”!
E mentre inforco la bici per tornare, mi vengono in mente alcuni racconti su episodi degli anni '50, quando chi poteva partoriva in clinica; in ospedale le infermiere, donne dimentiche della propria identità, esortavano con crudo scherno la partoriente impegnata nel suo travaglio:
“Hai voluto la bicicletta? Ora pedala!!”





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