11 agosto 2008

SetteSetteZeroSette/OttoOttoZeroOtto


Inseguiva pensieri vaganti sull’estate, e nello scorrere di giornate assolate e appesantite dalla calura, s’era smarrita sul numero dei giorni ben definiti dal calendario.
Il nome dei giorni non era “lunedì, martedì, mercoledì…”, ma il loro appropriato numero nel mese. Ignorare in qual “posto” del mese si è, appaga un selvaggio senso di libertà, diviene uno spazio illimitato in cui muoversi, come da bambini non fa differenza se è domenica o lunedì, se è primo gennaio o trenta giugno.
Il primo gennaio, il principio d’un intero rinnovato anno da scalare, o il trenta giugno, limite di scadenza del mutuo da pagare.

Insomma, che giorno era? Ah, sì, il nove d’agosto...
Ma allora la sera precedente, quella particolare sera precedente, era stata l’8 agosto!

Sorrise incredula di fronte agli scherzi dell’universo.

Un anno prima, dopo vari tentativi d’appuntamento con la sua amichetta di vent’anni più giovane di lei, un sabato finalmente erano riuscite a combinare insieme per il mare. Silvia era una donna giovanile, ed Eva una ragazza brillante e simpatica con cui scambiava volentieri discorsi e tempo libero. Dopo sole, mare e spiaggia, c’era in programma un cinema serale.
Rincasando al tramonto, Silvia spalancò l’armadio per convincere Eva a restare nonostante indossasse solo un costume e dei pantaloncini. Tirò giù il suo guardaroba, e tra un vestito rosso, uno bianco, e uno nero, sfilarono davanti allo specchio per decidere. Eva scelse quello rosso in stile impero, Silvia optò per il nero dalle spalline sottili e il corpetto aderente.


Mentre cucinavano due hamburger e affettavano pomodori, Eva espresse il desiderio di sostituire al cinema una passeggiata sull’illuminato e variopinto Lungotevere dell’estate romana, pullulante di stand multietnici, pub e ristorantini tra gli affollati argini del fiume. Silvia non gradiva la confusione di Tevere Expò, ma si tuffò nella nuova idea di Eva aprendosi al cambiamento di programma. A questo ne seguì uno ulteriore quando il telefono della ventenne squillò e un amico le chiese cosa facesse in serata.
«Vado a Tevere Expò con un’amica».
Senza esitare lui s’aggiunse al duo, accordandosi per passare a prenderle.

Silvia era perplessa e riflessiva.
- Ma questo tuo amico… è Rocco? Quel ragazzo della Sicilia, legato ai tuoi parenti siciliani, di cui m’avevi parlato?
- Sì, lui. Evidentemente stasera è libero…
- Ok… ma penso non immagini che “la tua amica” non sia una coetanea… Sarà il caso d’avvertirlo che sono più grande?
- Dici? …E che faccio? Lo richiamo?
- Bè, forse è meglio! …Se poi si viene a creare del disagio?
- Ma cosa gli dico?
- …Non lo so… puoi dirgli “guarda che la mia amica non è una coetanea”… Poi deciderà lui se vuole uscire lo stesso con noi! …No?
- Va bene… allora chiamo!
Eva aveva afferrato il cellulare, si scambiarono ancora un’occhiata, e Silvia si persuase che avvisarlo di quella particolarità aveva del ridicolo.
- No, Eva, aspetta! ...Lasciamo stare, dai! Perché ghettizzarmi così? Usciamo e basta.
- Ma sì, infatti!

Finirono di cenare e tornarono ad abbigliarsi.
Ad Eva ora non piaceva come le stava il vestito rosso, decise per quello bianco.
Silvia s’infilò quello rosso sul nero provando per gioco. Da tempo non lo indossava.
Riflesse nello specchio, valutarono insieme che il rosso dava più luce al viso, così via il nero da sotto. Silvia si lasciò il vestitino stile impero mettendo ai piedi sandali dal tacco slanciato.
L’effetto, sulla pelle bronzea, era più che soddisfacente.
Quando giunse lo squillo del telefono erano pronte per scendere. Rocco aspettava dall’altro lato della strada, dovevano solo attraversare quel viale dove nel buio le auto sfrecciavano pericolosamente.
Silvia, pratica della strada su cui abitava, afferrò per un braccio Eva impaurita e gridante trascinandola in corsa nell’unico momento di pausa dello scorrimento. Con veloci falcate sui tacchi approdò ridente per lo spavento di Eva davanti a Rocco, che osservava la scena accanto alla sua auto.
Si diedero la mano presentandosi e sorridendosi divertiti.
In auto, Eva vicino a Rocco, Silvia sul sedile posteriore, iniziarono a chiacchierare scherzosamente, e nella spontaneità Rocco lanciò l’indagante domanda: «Come vi conoscete?».
Fu Eva a rispondere con serena nonchalance:
«Lei è la mamma della mia migliore amica».

«Ah… E come mai c’è la madre e non la figlia?», scoccò secca la freccia di Rocco, quasi irritato.
La risata di Silvia esplose nell’abitacolo.
«Ah, ah, ah! La figlia è in vacanza. ...Cos'è? "Indovina chi viene a cena"?»

L’atmosfera continuò ilare mentre arrivavano a destinazione. Silvia notò da subito che Rocco usava verso di lei modi giocosi, in linea col suo carattere intraprendente e da mattatore, senza lesinare interventi che sembravano celare mire di conoscenza oltre una semplice passeggiata sugli argini del Tevere. La faccenda l’intrigava, la serata nel suo insieme stava scivolando leggera e spensierata. Non dava eccessiva considerazione alle sue sensazioni, non poteva credere che un ragazzo tanto più giovane, fosse interessato a lei. Quelle erano solo avances goliardiche!
Si sedettero a un pub appollaiandosi su degli sgabelli attorno a una panciuta botte di legno, degna sostituta di banali tavolini. Rocco alla sua destra, Eva alla sua sinistra. Le battute e gli aneddoti si sussueguivano, e tra una risata e l’altra, mentre era intenta a raccontare, sentì il ginocchio di Rocco sfiorarla sul punto più profondo della schiena. Ebbe un sussulto interiore, le parole s’immobilizzarono sulla lingua, le idee si mescolarono nella testa, incespicò, perse il filo del discorso, cercò di non mostrare il turbamento, inseguì affannosamente il ricordo di ciò che stava eprimendo per riacciuffarlo senza dare a vedere a Eva, tanto meno a Rocco, che dubbi e smarrimento la stavano rapendo a causa d’un lieve tocco, che non capiva - e ciò le creava confusione - se intenzionalmente serviva per comunicarle qualcosa, o fosse dovuto alla logistica delle loro posizioni nell’impossibilità d’infilare le gambe al di sotto d’un tavolo e, quelle lunghissime di Rocco, girato completamente verso di lei, erano perciò finite posizionate dietro al suo sgabello.
Trascinando ripetutamente la vocale della congiunzione “e” in un prolungato e balbettante “eeeeee”, riuscì a recuperare il filo perduto, s’augurò che entrambi non avessero notato la sua ingenuità fanciullesca, e da quel momento prestò più attenzione ai modi di Rocco. Sottovalutati?

Quando s’avviarono per tornare, comprese che il tocco del ginocchio non era stata casualità. Di avances velate ne seguirono ancora e, ironia del destino, Eva accusò mal di testa chiedendo d’essere riaccompagnata, nella zona opposta alle abitazioni di Silvia e Rocco.
In auto Silvia sedette accanto a Rocco, Eva preferì il sedile posteriore.
La salutarono affidandosi al navigatore che in siculo sbraitava strade impossibili da prendere. Ridendo lo spensero, dirigendosi a zonzo nella notte calda e illuminata, fino allo scoppiar dei sensi.

Era il sette-sette-duemilasette.

Un souvenir immortalato dalla sua stessa data.


Durante l’anno che seguì Silvia conobbe un’altra Eva, sempre di qualche anno più giovane di lei, solo di poco.
Con la prima Eva non riuscirono ad accordarsi per una puntata al mare nell’estate duemilaotto. Ci andò con la seconda Eva, che abitava vicino a lei.

La vita va avanti, sempre.
Strade che si aprono a volte finiscono per smarrirsi in viottoli che vanno scomparendo nella selva, chiudendosi su se stesse, mentre altri sentieri appaiono ancora vergini.

L’Eva più grande, anche lei una donna del Sud, in procinto di partire le aveva proposto d’uscire insieme una sera.
Le giornate dei primi d’agosto si scandagliarono assolate e afose, anche quella, fino al tramonto e oltre l’imbrunire. Si fece tardi, i cinema nelle Arene erano omai iniziati, Eva suggerì a Silvia una passeggiata sugli argini di Tevere Expò.

Aggiunse: «C’è un mio amico che verrebbe con noi, per te va bene?»
Silvia non aveva nulla in contrario.


Nel pomeriggio, per vezzo, s’era provata il vestito rosso stile impero, ma aveva preferito la solita mini, quasi una seconda pelle, con un top dal velo leggero, sgargiante di giallo solare. Ai piedi dei sandali infradito senza tacco.
Raggiunsero il Tevere usando il tram, e lì incontrarono Guido.
Nel momento in cui Eva era intenta a scegliere e pagare il panino per la sua cena, arrivò fatidica la domanda: «Come vi conoscete?»
Fu Silvia a rispondere.
«Frequentiamo lo stesso corso di filosofia delle religioni».
Lui si mostrò stupito e interessato.
Parlarono a lungo di misticismo e di razionalità, poi dell’America e degli ortaggi, della matematica, e della vita in campagna fatta a misura d’uomo. Del bisogno d’essere in due per condividere un orto e una casa fuori città.

Guido le salutò al volo mentre il tram apriva le porte sulla fermata raggiunta in corsa.

S’era smarrita, Silvia, sul numero dei giorni ben definiti dal calendario. Nel silenzio riflessivo ripassava alla moviola i tasselli disseminati nell’ampio quotidiano.
Quella particolare sera precedente, dunque…
Rise incredula.
Il sette-sette-duemilasette era stata a Tevere Expò con Eva, dove aveva conosciuto Rocco.
L’otto-otto-duemilaotto era stata a Tevere Expò con Eva, dove aveva conosciuto Guido.

L’epilogo era diverso, ma i tratti del disegno tra le costellazioni nell’Universo sembravano scorrere beffardamente paralleli.