30 luglio 2009

"Le donne belle vanno sempre con gli uomini ricchi e potenti"


LA POLEMICA
Cosa ne è delle donne ai tempi del Cavaliere
di MICHELA MARZANO


CENE, balli, barzellette, "ragazze-immagine" in abiti neri e trucco leggero, bellissime escort i cui volti si sovrappongono fino a sfumare l'uno nell'altro... No, non si tratta del copione di un film di serie B, ma di un rituale che, in questi ultimi anni, si è banalizzato in Italia, ripetendosi in modo ossessivo nel cuore stesso del potere, a Palazzo Grazioli come a Villa Certosa, eco di un mondo in cui le donne non sono più che delle controfigure sbiadite.

"Casting", "fashion", "book": le donne, ormai, nell'Italia di Berlusconi, non sembrano più contare per quello che fanno o sanno fare, per le loro competenze professionali, per la loro preparazione o per la loro storia (dolorosa, a volte; difficile, sempre), ma per il ruolo che giocano, per come appaiono, per ciò che non esprimono. Le donne sono sempre più corpi e volti ritoccati per sottomettersi tutti ad un'unica ingiunzione: sii bella e seducimi! "Io sono una bambola" afferma con fierezza una show girl alla televisione, credendo così di essere irresistibile. "Le donne belle vanno sempre con gli uomini ricchi e potenti", sembra confermare Vittorio Sgarbi in una recente intervista telefonica tirando fuori la carta ormai usata e abusata dell'apologia dell'italiano "scopatore".
Ma cosa dicono questi corpi sottomessi (alle diete, alla chirurgia plastica, allo sport, allo sguardo dell'uomo), il cui volto rifatto ha ormai perso ogni segno di singolarità e di vulnerabilità? Che tipo di relazione con l'altro possono stabilire? Si può ancora parlare di relazione e di desiderio quando l'alterità (l'irriducibile alterità dell'altro, come direbbe Levinas) scompare sotto la maschera di un oggetto di piacere e di pulsione intercambiabile? Quale donna si rivolgerebbe oggi al truccatore che vuole nasconderle le occhiaie come fece Anna Magnani, che "ci aveva messo degli anni per farsele e non voleva nasconderle"?
"Ad un volto", scriveva Deleuze, "possiamo porre due generi di domande, a seconda delle circostanze: a cosa pensi? Oppure: cosa ti succede, che cos'hai, che cosa senti o che cosa provi?". È attraverso il viso che ognuno di noi può esprimere la propria singolarità e la propria specificità: un viso non è mai "un" viso in generale, ma sempre "il" viso di qualcuno che porta su di sé i segni del tempo che passa, delle emozioni vissute, dei dolori, delle gioie. Cosa accade allora quando "il" viso diventa "un" viso, uno qualsiasi tra i tanti, conforme alle norme in vigore, ma inespressivo: un "volto angelico" di una ragazza, il cui nome può essere Noemi, ma anche Roberta, Barbara, Patrizia, Lucia?
Perché in fondo poco importano nome e viso di queste ragazze. Si tratta quasi sempre di giovani donne sorridenti e sognanti. E quando non sono più tanto giovani, tutte continuano a avere le labbra formose, il naso rifatto, le rughe cancellate, l'abito nero, il trucco leggero... per continuare a occupare la scena di una vetrina luccicante, per non smettere mai di sedurre i maschi, per incarnare l'immagine della donna perfetta che continua a guardarsi nello specchio deformante del piacere virile.

Perché allora così poche persone insorgono contro questa mascherata tutta italiana che da anni cancella "il" viso delle donne, per ridurle al ruolo subalterno e umiliante della semplice comparsa teatrale, come se, per continuare a esistere, le donne fossero ormai costrette a interpretare sempre lo stesso personaggio? Perché tante donne credono che il solo modo per emergere dalla massa informe dell'anonimato sia quello di ridursi a oggetti di pulsioni, contemplate per il corpo-feticcio che incarnano, e ridicolizzate - senza per questo scomporsi - per la loro incompetenza professionale davanti alla telecamera?

Non si tratta di criticare le scelte personali di alcune donne. In fondo, ogni persona è libera di fare quello che vuole della propria vita. Perché non diventare una velina? La questione, qui, riguarda la libertà. Quale libertà resta oggi alle donne in un paese in cui il potere in carica propone loro un modello unico di riuscita e di comportamento? Quale libertà resta quando si fa loro credere che il desiderio non sia altro che pulsione? Il desiderio, che è il sale della vita, e che spinge ognuno di noi ad andare verso l'altro, non può ridursi alla voglia frenetica di "consumare" corpi seducenti e impeccabili; il desiderio emerge e si sviluppa solo quando l'altro, l'oggetto del nostro desiderio, resta giustamente "altro": colui o colei che è ciò che io non sono, che ha ciò che io non ho e che, nonostante tutto, al di là della seduzione e dei rapporti sessuali, rimane irraggiungibile. A differenza di un pezzo di pane o di un bicchiere d'acqua che si consumano quando si ha fame o sete, la donna non è un semplice oggetto che può essere consumato a proprio piacimento. E non per ragioni morali (la "moralina", direbbe Nietzsche). Ma perché, molto più semplicemente, in ogni relazione umana c'è un "resto", qualcosa dell'altro che non si può distruggere perché l'altra persona sfugge sempre alla "presa" e, in quanto persona, resiste alla volontà dell'altro di assimilarla a sé. È in questo "resto" che risiede la sua specificità e la sua umanità. Un volto che dice "no" e che si oppone all'onnipotenza del potere, della ricchezza, della violenza.

Solo nei film pornografici il volto scompare e non esprime più nulla, producendo un sistema nel quale gli uomini e le donne non sono altro che due polarità complementari: l'attività e la passività, il potere e la disponibilità. Tutto si riduce a ripetizione, accumulazione e moltiplicazione: la ripetizione ossessiva degli stessi gesti; l'accumulazione delle donne come trofei di caccia; la moltiplicazione delle conquiste... Fino a che non emerge un mondo in cui, guardando o essendo guardati, tutti restano intrappolati nella ripetizione di un atto che simula il sesso senza più nessun riferimento all'incontro sessuale, come mostra magistralmente Kubrick nella scena dell'orgia del suo ultimo film, Eyes Wide Shut. Un mondo che, in fondo, altro non è che il vecchio sistema patriarcale in cui gli uomini amano delle donne che non desiderano e desiderano delle donne che non amano, come diceva Freud, e in cui le donne sono costrette a scegliere a quale gruppo appartenere: le "madonne" o le "puttane".

Con il 1968 e la rivoluzione sessuale degli anni Settanta, questo sistema era stato rimesso in discussione: la libertà per le donne di disporre finalmente del proprio corpo aveva come finalità principale il raggiungimento di un'uguaglianza a livello di diritti che doveva permettere a tutti di diventare soggetti della propria vita. Uomini e donne uguali. Uomini e donne capaci di costruire la propria vita, di lottare per affermarsi, di mostrare il proprio valore e le proprie competenze. Che cosa resta, nell'Italia di oggi, di questa rivoluzione? Che messaggio dà alle adolescenti di oggi un paese il cui presidente del consiglio è fiero del proprio machismo? Un paese in cui un personaggio pubblico celebre può dichiarare senza vergogna che "chi scopa bene, governa bene"?
Guardando quello che accade negli altri paesi europei, l'Italia "liberista e moderna" sfigura, presentandosi come l'emblema stesso del ritorno all'atavico machismo dei paesi mediterranei. È questo che stupisce e scoraggia quando ci si rende conto che l'unico modello femminile valorizzato oggi in Italia è quello della bambola impeccabile la cui sola preoccupazione è l'immagine del proprio corpo e la seduzione maschile. Non perché non ci si debba occupare del proprio corpo, ma perché quando il corpo non è altro che un oggetto di consumo, la donna perde la possibilità di esprimersi indipendentemente dallo sguardo degli uomini.

Facciamo, allora, in modo che il ventunesimo secolo, col pretesto di essere "alla moda", non sia la tomba di tutte le conquiste femminili del secolo scorso.

(30 luglio 2009)

25 luglio 2009

"tanto è sempre stato così", la succube accettazione italiana, che nel male crea altra corruzione e infittisce giochi di potere

La sarcastica vignetta del Times su Burlesque-oni

Sui media stranieri ampio spazio alle trascrizioni delle ultime registrazioni
Il Times: "Nastri scioccanti".
Independent: "Come un vero padrone dispensa carriere"

"Italia seria, premier no" - "Il re della giungla"

Per la prima volta da giorni il caso Berlusconi ritorna con forza sui media di tutto il mondo, che riportano fedelmente le trascrizioni delle ultime registrazioni diffuse dal sito dell'Espresso e traggono in alcuni casi le loro conclusioni.

Come sempre molto completo il coverage del britannico Times che reagisce con un commento ai "particolari scioccanti" che emergono dagli ultimi nastri. "Berlusconi sente la pressione nello scandalo sessuale" è il titolo dell'articolo di cronaca del quotidiano, con gli ultimi dettagli e i consigli del premier alla escort. Ma l'opinione del giornale conservatore britannico è affidata a un durissimo commento, "Un governo serio", che analizza la vicenda da un punto di vista di interesse generale per l'Italia e la sua reputazione nel mondo. Anche nel commento si parla degli ultimi dettagli "scioccanti" della vicenda, affermando che ormai lo scandalo sta devastando non solo la singola figura di Berlusconi ma l'incarico pubblico del primo ministro italiano. L'editoriale chiude sostenendo che "l'Italia è un paese serio, un paese membro del G8, della Nato e dell'eurozona. Non ha un governo serio perché non ha un primo ministro serio".

Nelle scorse ore inoltre sono ripresi i commenti sul web alle vicende italiane. Sul Timesonline le notizie su Berlusconi in questo momento sono la prima news internazionale, e questo trascina ormai quasi un centinaio di "post" dei lettori. Un vero botta e risposta a distanza tra inglesi e italiani, alcuni dei quali indignati rispondono difendendo il premier, altri confermando il proprio imbarazzo.

Sul Guardian il corrispondente John Hooper fa una notazione che per i britannici sembra rivelatrice: Berlusconi "ha detto di non essere un santo, ma non ha negato nulla" della storia con la D'Addario, anche se i suoi avvocati e i suoi ministri negano tutto.

"Berlusconi, il re della giungla delle bambolone", è il commento dell'Independent: il fatto che gli italiani non si scandalizzino più di tanto di quelli che vengono definiti "sguardi lascivi, linguaggio sporcaccione e instancabile promiscuità" del premier dimostra "in parte che l'Italia è politicamente primitiva". Ma anche qualcosa di più: "E' il maschio più maschilista d'Europa, ma è anche totalmente devoto all'idea che le donne che frequenta vogliono e meritano una carriera propria. Desiderio che lui, come un vero padrone, gratifica mettendole in Parlamento, nel suo governo, in televisione, eccetera. In un certo senso è un modernista e un femminista". E per milioni di italiani "è il leader ideale".

APPUNTO di danDapit:
Silvio Berlusconi modernista e femminista?
Chi elargisce nel suo stretto e ben mirato gioco di potere, esige tornaconto. Se per Femminista si intende colui che USA le donne come pedine a proprio comodo UTILIZZANDO -in primis e- IN FINALE il vasto potere che ha d'elargire e distribuire... bè, allora: sì, ottimo femminismo!
E complimenti per il suo essere un modernista, nonostante l'anagrafe dei suoi 72 anni e la cultura radicalmente maschilista cresciuta con il mito del Super uomo da quando nacque fino ai giorni nostri, dando il meglio di sè nell'attuale mondo del duemila.


Spagna. Nell'articolo del Pais dedicato alle registrazioni di Patrizia D'Addario, il corrispondente Miguel Mora dà conto anche dell'appello pubblicato su Repubblica - e ora aperto alle firme online dei cittadini sul sito di Repubblica.it - e nota la "curiosa svolta archeologica dello scandalo", con le ripercussioni che stanno avendo in ambienti scientifici e politici le dichiarazioni registrate di Berlusconi sulla presenza nel parco di Villa Certosa di "trenta tombe etrusche".

(24 luglio 2009) ----

-----------LA LETTERA------------- (da La Repubblica)

Non voltiamoci dall'altra parte

Caro direttore, le cronache di questi giorni raccontano di un paese che non reagisce ai gravi comportamenti del presidente del Consiglio. Non esiste nessun paese al mondo che tolleri le menzogne dei propri governanti.

Siamo un caso unico. Sono state davvero poche le voci che hanno cercato di non far passare il tempo per evitare che l'assuefazione addormenti la coscienza pubblica.

Sì, in questo momento noi crediamo che occorra uno scatto d'orgoglio di tutti gli italiani che pensano che la menzogna sia un danno al paese e alla sua credibilità. Se Berlusconi sia un santo o no interessa davvero poco.
Qui si parla di una questione politica e le domande che emergono impongono risposte non equivoche. Si può impunemente mentire al paese? Si è messa a rischio la sicurezza nazionale? Quanto si sono sovrapposti gli interessi privati alle funzioni pubbliche? Le questioni sono decisive. Riguardano la credibilità delle istituzioni e l'autorevolezza della classe dirigente.

Non è superfluo ricordare quanto impone l'articolo 54 della nostra Costituzione: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore". Quello che emerge dalle inchieste giudiziarie non può essere considerato il fatto personale di un "utilizzatore finale". Coinvolge tutti e non può essere accantonato dalla politica. Soprattutto dal Partito Democratico.

Ecco perché invitiamo il nostro partito a utilizzare le sue feste e le sue iniziative per rilanciare nel paese una profonda riflessione sui danni che sta provocando il Presidente del Consiglio. In questo momento tutti coloro che vogliono bene al nostro paese, in qualsiasi formazione militino, devono trovare il coraggio di non girarsi dall'altra parte.

Rita Borsellino
Gianrico Carofiglio
Sergio Cofferati
David Sassòli
Debora Serracchiani
Luigi Zanda

(24 luglio 2009)

24 luglio 2009

"sono una Donna, non sono una Santa..." - Rosanna Fratello come il Premier!

L'ANALISI
La sindrome del maschio
di CHIARA SARACENO


"Non sono un santo", ha dichiarato Berlusconi, meritandosi i titoli di apertura di tutti i giornali. È davvero una ammissione di colpevolezza, una assunzione di responsabilità rispetto al pericolo serio in cui ha messo la sicurezza dello stato con i suoi comportamenti a dir poco sventati, e rispetto alle menzogne profuse con generosità al paese?

Persino gli ambienti della Santa Sede sembrano aver accolto con benevolo favore questa ammissione, mostrando ancora una volta quanta real politik ci sia nell'atteggiamento della gerarchia cattolica nei confronti dei politici italiani. Pronta a chiudere non uno, ma due occhi di fronte alle nefandezze comportamentali, purché (verrebbe da dire, in cambio) sia assicurato il mantenimento e l'approvazione delle norme che le stanno a cuore, anche se contro il principio di sovranità dello stato e di rispetto della libertà dei cittadini. Viceversa pronta ad attaccare violentemente i politici, specie se cattolici, che tentano di trovare ragionevoli equilibri normativi tra le diverse opzioni valoriali. Ne sanno qualche cosa Prodi e Bindi.

In realtà a me sembra che, con la solita furbizia e tempismo, Berlusconi abbia semplicemente detto, strizzando l'occhio alla platea di cittadini maschi, ma anche di un bel po' di donne: sono uno come voi, solo più fortunato e più potente. Sono un "maschio vero", e per questo potenzialmente incontenibile e incontinente. A differenza di voi, mi posso permettere tutte le donne giovani e carine (e disponibili) che voglio, perché le posso pagare sia direttamente sia utilizzando risorse pubbliche (posti di lavoro, candidature in parlamento, ministeri). Per questo ci sono schiere di "belle figliole", anche non necessariamente già professioniste del ramo, disposte ad accettare un mio invito, anche con il consenso dei genitori.

Questo tipo specifico di "non santità", in effetti, è la realizzazione dei sogni più o meno inconfessati di molti maschi italiani (anche russi, a leggere la Komsomolskaia Pravda) - a prescindere dal colore politico. E lusinga tutte quelle donne giovani e meno giovani che perdono la testa per gli uomini forti e potenti. E sono disponibili, come le mamme degli stupratori, a trovare loro ogni tipo di scusante, compresa la cattiveria femminile. O le donne che, più cinicamente, hanno deciso di fare del proprio corpo e della propria sessualità il proprio strumento di lavoro, o di accesso al lavoro, in una società dove abbondano i maschi guardoni e segretamente mandrilli.

Una società che sembra avere della sessualità una concezione sfruttatoria, coattiva e ripetitiva, svincolata da ogni dimensione relazionale, mortalmente triste. Molte donne italiane sono soffocate e umiliate da questa situazione e si ribellano. Ma non si sentono uomini ribellarsi a questa immagine della maschilità e dei rapporti uomo-donna che suggerisce.

E' questa complicità sotterranea di una parte grande della società italiana che permette a Berlusconi la sfrontatezza che conosciamo e a cui si è rivolto con quella banale, ma furba, ammissione. Una complicità, verrebbe da dire, a tutto campo, che riguarda le sue imprese sessuali con corollario di scambio sesso-potere, ma anche i vari conflitti di interesse e le imprese finanziarie non sempre limpide. Del resto, che cosa ci si può aspettare in un paese che approva solennemente codici etici quando basterebbe fare rispettare il codice civile e penale? Ovvero dove non imbrogliare assurge a dimensione etica alta e non è il normale atteggiamento che ci si deve attendere nei rapporti commerciali e non? Se Berlusconi è un problema per la nostra democrazia, lo è ancora di più la complicità di larga parte della società civile, con il benevolo silenzio-assenso della gerarchia cattolica.

(24 luglio 2009)

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IL COMMENTO
L'autunno del patriarca
di GIUSEPPE D'AVANZO


I documenti sonori resi pubblici dall'Espresso dicono che Patrizia D'Addario, prostituta, ha detto la verità e Silvio Berlusconi, capo del governo, ha mentito.

È giunto allora il momento di tirare qualche (temporanea) conclusione sull'affare che, nel "carnevale permanente" dell'Italia di oggi, rischia di uscirne sfigurato e invece ha un solo, ostinatissimo punto fermo: Silvio Berlusconi è costretto o a tacere o a mentire perché non è nelle condizioni di rispondere ad alcuna domanda.
Non è che il Cavaliere non abbia provato a dare qualche risposta. Ci ha provato ripetutamente, confusamente, animatamente, affannosamente e sempre in condizioni protette (giornali di sua proprietà, il servile servizio pubblico della Rai), mai riuscendo nell'impresa di non contraddirsi. Di non ingannare. Di non smentire se stesso. Di non dover ammettere a collo torto quel che aveva già pubblicamente negato.
Oggi, nel mondo rovesciato che lo protegge, frulla qualche argomento buffo: in difficoltà dovrebbe essere chi chiede la verità e non chi, impossibilitato a raccontarla ai pensanti, vive sotto tutela, in fuga da se stesso e dalla sua vita, nascosto anche al suo amatissimo pubblico al quale sempre chiede che lo applauda e gli voglia bene. È il mondo della verità rovesciata. Sono i prodigi di un'Italia con malattie organiche, impavidamente adulatoria, pronta a proclamare presto Berlusconi anche "correttore di terremoti, delle eclissi, degli anni bisestili e degli altri errori di Dio".

La scena diventa farsa se soltanto si ricorda che, nel corso del tempo, il lavoro giornalistico (non solo di questo giornale e di questo gruppo editoriale) ha sempre meglio definito il "sistema di scambio sesso-danaro-potere" inaugurato da Berlusconi (Dominijanni, Manifesto, 14 luglio).

Si dice: non ci sono più spine che pungono il Cavaliere, magari un po' ammaccato, Berlusconi l'ha fatta franca anche questa volta, ed è tutto un vivamaria. Come se si potessero dimenticare le "storie" note. È vero che "la memoria politica ha delle sincopi" (Franco Cordero), ma in questo caso i ricordi non sono ancora deperiti. Conviene riproporli in bell'ordine: Berlusconi premia con candidature al Parlamento le giovani donne che sono state gentili con lui a Palazzo o in Villa. Berlusconi frequenta minorenni, ne lusinga una (Noemi) sbirciando un portfolio procuratogli da Emilio Fede, le promette un futuro nello spettacolo o, in alternativa, a Montecitorio. Berlusconi fa sesso con prostitute che affollano le sue feste, qualcuna (come Patrizia d'Addario) diventa candidata.
La politica può assuefarsi a questo varietà che disonora le istituzioni e le rende vulnerabilissime come osservano anche le teste meno ammobiliate che, mentre gridano "che schifo!", non si accorgono di aver detto che "il governo è ricattato da succhiatrici di capezzoli"?
Può essere considerata ordinaria, nel mondo evoluto, una così smaccata debolezza di un premier all'estorsione, al ricatto?
È un aspetto rilevante della storia perché quel che non mancano in quest'affare sono le testimoni, e quindi gli attori di una possibile coercizione delle volontà del capo del governo. Sono decine e decine le amanti senza amore, ricompensate bene o mediocremente, che si sono succedute nel serraglio del capo del governo. Festa dopo festino. Orgia dopo orgia. Nel taccuino del pubblico ministero di Bari ci sono diciannove nomi di giovani donne che hanno partecipato alle feste di Palazzo Grazioli o di Villa Certosa.
Il pubblico ministero deve dimostrare che un ruffiano ha favorito la prostituzione. Ne sono state sufficienti quattro, di quelle diciannove giovani donne, per chiudere il cerchio. Il loro racconto è stato univoco: sono state pagate dal ruffiano, amico di Berlusconi, per andare a Palazzo e, in qualche caso, per fare sesso con il "sultano" o infilarsi in formazioni - diciamo - più eclettiche e animate nel "letto grande", dono stravagante (o intenzionale) di Vladimir Putin. Il ruffiano le ha pagate per le loro prestazioni e quattro fonti di prova sono sufficienti per il processo, pensa il pubblico ministero. Che mette punto. Non vuole scandali. Vuole un processo.

Si sa come Berlusconi si scrolla di dosso la polvere: è vero, ho fatto sesso con Patrizia D'Addario, ma non sapevo che fosse una prostituta, ho invitato in casa un'ospite sbagliato, tutto qui. L'argomento del "sultano" è degno di Friedrich Durrenmatt: "Il caso è stato interpretato come intenzione, la sventatezza come proposito deliberato". In questa storia - è un domino, Veline, Noemi, D'Addario - affiora dunque una nuova tessera da vagliare: caso o intenzione, sventatezza o programma, la presenza di zambràccole nel "letto grande"?

I documenti sonori dell'Espresso sono la risposta inoppugnabile all'interrogativo. Berlusconi sa che Patrizia è una prostituta (lo sa perché deve pagarla "con una busta"), lo sa per i giochi multipli che propone alla signora. È una realtà così caparbia che non lascia margini all'avvocato del presidente (quello dell'utilizzatore finale). Nicolò Ghedini deve negare alla radice che quella realtà ci sia; deve dire che è inventata nella pretesa - si potrebbe dire totalitaria - di eliminare in un colpo solo ragione, memoria e finanche l'udito.

A quasi tre mesi dal viaggio a Casoria per i diciotto anni di Noemi, un provvisorio rendiconto deve concludere che Silvio Berlusconi ha in questi mesi attraversato, senza pudicizia, tutta intera la fenomenologia della menzogna.

Nella sua classificazione, Vladimir Jankélévitch distingue la menzogna in base al rapporto che intrattiene con la verità.
E dunque c'è la dissimulazione, quando ci si limita a nascondere la verità (Berlusconi ha detto: "Non ho mai voluto candidare veline, non frequento minorenni").
L'alterazione, quando si modifica la natura del vero (Berlusconi ha detto: "Non sapevo che Patrizia fosse una prostituta").
La deformazione, quando se ne ingrandisce o se ne rimpicciolisce il formato (Berlusconi ha detto: "Ho visto tre, quattro volte Noemi e sempre con i genitori").
L'antegoria, quando si dice l'assoluto contrario (Berlusconi ha detto: "Non ho mai pagato una prostituta").
La fabulazione, quando invece di mascherare la verità, la si inventa di sana pianta (Berlusconi ha detto: "C'è un progetto eversivo contro di me").

Verità e menzogna. Etica pubblica. Fiducia tra eletto ed elettori. Tra i pifferi e le grancasse di un'Italia ingaglioffita o pavida, di questo ci parla uno scandalo, da cui il capo del governo non riesce a venir fuori.

Non c'è bisogno di ripetere quanto hanno scritto qui Carlo Galli (L'etica della democrazia, 22 giugno), Stefano Rodotà (L'etica pubblica perduta, 10 luglio; Il dovere della chiarezza, 13 luglio), Edmondo Berselli (Verità finte e bugie vere, 15 luglio). Dovrebbe essere ormai chiaro che "chi mente - non importa su che cosa - è un pericolo per la libertà e la democrazia" e diventano "parole al vento" gli "assennati appelli alla concordia e al dialogo senza il parallelo, anzi preliminare, appello alla chiarezza della verità" (Gustavo Zagrebelsky, Quando il potere teme la verità, 17 luglio).
A meno di non voler pensare, come il patriarca di Marquez: "Non importa che una cosa non sia vera, che cazzo, lo diventerà col tempo".

Quel tempo non arriverà fino a quando rifiuteremo di credere vero ciò che sappiamo falso, fino a quando continueremo a chiedere al patriarca di turno di rendere disponibile la verità in un dibattito pubblico. Finanche Berlusconi, all'alba della sua avventura politica, era d'accordo: "La gente deve fidarsi solo di chi dice la verità" (2 marzo 1994). E dunque, presidente, adesso che è al suo autunno, come ci si può fidare di lei?

(21 luglio 2009)

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Quando il potere teme la verità
di GUSTAVO ZAGREBELSKY


SONO venute a galla, finalmente, due questioni che riguardano, l'una, la verità e, l'altra, la moralità nella vita pubblica. Sono questioni che oggi particolarmente toccano un uomo alle prese con l'affannosa gestione davanti alla pubblica opinione di uno sdoppiamento, tra la realtà di ciò che effettivamente egli è e fa e la rappresentazione fittizia che ne dà, a uso del suo pubblico. Siamo di fronte a una novità? Possiamo credere sia un caso isolato? Via! La menzogna e l'ipocrisia, alla fine la schizofrenia, sono sempre state compagne del potere.

Questa constatazione realistica può chiudere il discorso solo per i nichilisti, i quali pensano a un eterno nudo potere, che volta a volta, si presenta in forme esteriori diverse, ma sempre e solo per coprire la sua immutabile, disgustosa, realtà. Per gli altri, quelli che credono che il potere non necessariamente sia sempre solo quella cosa lì, ma che si possa agire, oltre che per conquistarlo, anche per cambiarlo; per quelli, in breve, che credono che vi siano diversi possibili modi di concepire e gestire le relazioni politiche, verità e menzogna, moralità e ipocrisia sono dilemmi su cui si può e si deve prendere posizione.

Vizi e virtù cambiano, anzi si scambiano le vesti, a seconda di quali siano le concezioni del vivere comune. I vizi possono diventare virtù e le virtù, vizi. Onde possiamo dire che da come li si concepisce capiamo che idea abbiamo della nostra convivenza. C'è qui una spia che permette di guardare nello strato profondo, magari inconscio, delle nostre concezioni politiche.

Nelle Istorie fiorentine (III, 13), Machiavelli dice che i mezzi del potere sono "frode e forza" e che "quelli che per poca prudenza o per troppa sciocchezza, fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e fraudolenti". Buone massime di comportamento, ma per il Principe in società di servi e padroni: qui davvero le virtù diventano vizi e i vizi, virtù.

La verità, il rispetto dei "bruti fatti", è la virtù di coloro che si intendono e vogliono intendersi tra loro; al contrario, quando il proposito non è l'intesa ma la sopraffazione, la virtù non è più la verità ma è la menzogna, la simulazione di quel che è e la dissimulazione di quel che non è.

La verità predispone al dialogo in cui ciascuno onestamente fa valere i propri punti di vista; la menzogna prepara inganni e, in risposta, giustifica altre simulazioni e dissimulazioni (Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta - 1641), come arma di legittima difesa. Ne vengono società di maschere, mascheramenti e mascherate che nascondono violenza, come erano le società di cortigiani, venefici e tradimenti del 5 e '600 in cui l'elogio della malafede dei governanti ha trovato il suo terreno di coltura.

Gesù di Nazareth impartisce ai discepoli due comandamenti, all'apparenza contraddittori: "Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 36) e "siate avveduti (phronimòi) come serpenti" (Mt 10, 16). Da un lato, dunque, rispecchiare la verità, né più né meno; dall'altro, usare la lingua biforcuta del "più astuto tra tutti gli animali" (Gn 3, 1).

Come si scioglie la contraddizione? In un modo molto interessante per la nostra questione. Il primo comandamento vale nei rapporti tra leali appartenenti alla stessa cerchia, in quel caso i credenti nella medesima parola di Dio ("avete inteso che fu detto ..., ma io vi dico"). Il secondo vale quando le pecore (i discepoli) sono inviati in mezzo ai lupi, gli uomini dai quali devono "guardarsi" con accortezza.
Ecco, dunque. La verità vale tra amici; tra nemici è dissennatezza. Se riteniamo di non essere vincolati alla mutua obbligazione al vero, se riteniamo legittima la frode, la menzogna, l'inganno è perché viviamo nell'ostilità e i regimi dell'ostilità sono quelli inclini alla sopraffazione.

Noi comprendiamo perciò lo scandalo che, purtroppo in altri Paesi e non nel nostro, dà l'uomo pubblico che è scoperto avere mentito, per questo solo fatto, magari su una questioncella da niente: uno scandalo non di natura morale o moralistica ma politico, che può portare alla rovina d'una carriera.
Chi mente, non importa su che cosa, è un pericolo per la libertà e la democrazia.
Oggi, da noi, si moltiplicano assennati appelli alla concordia e al dialogo, ma senza il parallelo, anzi preliminare, appello alla chiarezza della verità, sono parole destinate al vento.
* * *
Anche la questione della moralità conduce a un problema politico di democrazia. Si dice: il giudizio morale non deve influire sul giudizio politico. La politica si giudica con criteri politici; la moralità, con criteri morali. Un ottimo uomo pubblico può essere un pessimo individuo nel privato, col quale non si vorrebbe avere nulla da spartire. O viceversa: una persona dabbene può essere un pessimo politico, cui non vorremmo affidate responsabilità pubbliche. Gli ambiti sono diversi e devono essere tenuti separati. Lo Stato moderno è il prodotto della scissione dell'ufficio pubblico dalla persona fisica che lo ricopre. Il funzionario è, come tale, soggetto a particolari e stringenti doveri di moralità pubblica, della cui osservanza risponde pubblicamente. Ma la stessa persona, nel momento in cui è spogliato della sua funzione ritorna a essere uno come tutti, ha il diritto di essere lasciato in pace come un qualunque altro cittadino. La sua moralità è in questione solo di fronte alla sua coscienza, a Dio o al confessore.
Tutto questo è chiaro ma troppo semplice. I punti di interferenza sono numerosi, in un senso e nell'altro. Quando c'è interferenza, non si può negare l'esigenza di verità. Può accadere che la posizione pubblica sia spesa nella vita privata, oppure che i comportamenti privati si riverberino sulla posizione pubblica. Talora queste commistioni hanno rilievo per il codice penale. Ma molto spesso no. Non per questo non hanno rilievo politico. Esempio del primo tipo: la strumentalizzazione del "fascino del potere" per ottenere vantaggi nella vita privata. I favori sessuali attengono certamente alla vita privata. Ma altrettanto certamente ciò non basta a escludere il diritto dell'opinione pubblica di sapere se questi si ottengono facendo balenare o distribuendo favori, come solo chi occupa posizioni di pubblico potere può fare. Oppure, esempio del secondo tipo, lo stile di vita personale attiene certamente all'ambito privato che chiunque ha il diritto di definire come vuole. Ma
se questo stile di vita contraddice i valori sociali e politici che si professano pubblicamente e si vogliono imporre agli altri, possiamo dire che questa ipocrisia sia irrilevante per un giudizio politico da parte dell'opinione pubblica?
Non è affatto questione di moralismo. Nessuno, meno che mai quella cosa che si denomina opinione pubblica, ha diritto di pronunciare sentenze morali, condannare peccati e peccatori. Chi mai gradirebbe un giudizio di questo genere sulle piazze o sui giornali? Non è questo il punto. Il punto è che in democrazia i cittadini hanno diritto di conoscere chi sono i propri rappresentanti, perché questi, senza che nessuno li obblighi, chiedono ai primi un voto e instaurano con loro un rapporto che vuol essere di fiducia. Devono poterli conoscere sotto tutti i profili rilevanti in questo rapporto.

Ora, entrambe le interferenze tra pubblico e privato di cui si è detto convergono nel creare divisioni castali in cui la disponibilità del potere crea disuguaglianze, privilegi e immunità, perfino codici morali diversi, che discriminano chi sta su da chi sta giù. E questo non ha a che vedere con la democrazia? Non deve entrare nel dibattito pubblico? Così siamo ritornati al punto di partenza, il rapporto verità menzogna.
Che questa immoralità tema la verità è naturale ed evidente. Anzi, proprio il rifiuto ostinato di renderla disponibile a tutti in un pubblico dibattito, motivato dalle temute ripercussioni sul rapporto di fiducia tra l'eletto e gli elettori, è la riprova che questa è materia di etica politica, non (solo) di moralità privata; è questione che tocca tutti, non (solo) famigliari, famigli, amici, clienti.

(17 luglio 2009)

20 luglio 2009

L'incentivare l'evasione fiscale origina dall'occultare ciò che lecito non è, ovvio!

Le "escort" e la crociata antievasione
di Massimo Giannini


Se l'è chiesto perfino l'Economist: ma le escort invitate a Palazzo Grazioli dall'"utilizzatore finale" Berlusconi, e regolarmente retribuite per i loro "servizi" dall'"organizzatore serale" Tarantini, hanno pagato le tasse oppure no? L'interrogativo sembra stupido, ma non lo è affatto. Nel loro piccolo, come hanno notato due fior di economiste su Lavoce.info (Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra) "anche questi sono problemi, di non poco conto, di moralità pubblica". Soprattutto nel momento in cui il capo del governo e i suoi ministri si lanciano in campagne poco credibili contro l'evasione fiscale.

Dunque Patrizia d'Addario e Barbara Montereale, tra le altre, hanno spiegato ai giornali e ai magistrati di Bari che la "tariffa" per una serata in compagnia del premier ammontava a 1.000 euro, che diventavano 2.000 se la "prestazione" si protraeva per l'intera nottata. Ora - scrivono Giannini e Guerra "se le ragazze hanno partita Iva, avrebbero dovuto rilasciare regolare fattura e addebitare all'acquirente l'Iva del 20%. Dovrebbero poi dichiarare nella denuncia Irpef il reddito così percepito. Se invece il provento fosse stato corrisposto a fronte di prestazioni occasionali (o attività illecite come la prostituzione) l'Iva non sarebbe dovuta, ma il reddito andrebbe comunque dichiarato nella categoria "redditi diversi" ai fini Irpef".

Che farà la Guardia di Finanza, che sta indagando sul caso? Andrà a verificare se a Villa Certosa o nell'adiacente residenza sarda di "Gianpi" è rimasta traccia di qualche fattura? Verificherà l'avvenuto versamento delle imposte nell'Irpef, ed eventualmente inoltrerà le cartelle esattoriali alle escort inadempienti? Sarebbe utile saperlo. In nome e per conto di quei poveri cristi di italiani a reddito fisso che pagano le tasse in busta paga fino all'ultimo centesimo.

Contro gli evasori non basta fare la "faccia feroce". Bisogna picchiare duro. Anche quando l'evasione non si nasconde nella "caverna di Ali Babà" (come dice Giulio Tremonti) ma nel salone di casa del presidente del Consiglio.

(20 luglio 2009)

13 luglio 2009

Parlamento pulito! Chi governa abbia una cultura di onestà!

IL COMMENTO

Il dovere della chiarezza

di STEFANO RODOTÀ

Archiviato il G8, con un indubbio successo personale del presidente del Consiglio, dovranno pure essere archiviate tutte le vicende che, negli ultimi turbinosi tempi, hanno riguardato la sua figura pubblica? Può un nuovo corso politico cominciare all'insegna di una omissione?

Non è un accanimento ingiustificato a sollecitare queste domande, ma proprio la necessità di avere una vita politica davvero limpida. Peraltro, era stato lo stesso Silvio Berlusconi a annunciare una svolta sul piano dei comportamenti. Un proposito limitato ai giorni aquilani o destinato a produrre qualche frutto anche in futuro? Il premier ha un'opportunità. Andare in un luogo che non ama, ma centrale per le istituzioni come il Parlamento, e rispondere alle domande che gli sono state poste.

Ricordava ieri Eugenio Scalfari che la maggiore sobrietà mostrata da Berlusconi durante il G8 può darsi che sia stata determinata anche dalla chiarezza con la quale una parte del sistema dell'informazione ha criticato il suo modo d'impersonare la più alta responsabilità politica del Paese, con echi globali che certamente non hanno giovato né alla sua credibilità, né a quello che enfaticamente si chiama il buon nome dell'Italia. E' così emersa, inaspettatamente, la forza d'una opinione pubblica che si pensava ormai indifferente o addirittura dissolta, incapace di avere reazioni politicamente significative. Gli effetti si sono visti in occasione delle elezioni europee, nelle parole taglienti del segretario della conferenza episcopale italiana. Proprio questa risvegliata opinione pubblica, questo mondo che non ha dimenticato i doveri della moralità pubblica, sono ancora in credito. I buoni propositi sono sempre importanti, ma la loro fondatezza si deve subito misurare dal modo in cui si dimostra consapevolezza piena della responsabilità degli uomini pubblici nei confronti dei cittadini, di tutti i cittadini.

E' giusto non alzare inutilmente i toni, ma questo non può significare dimenticare frettolosamente quel che è avvenuto e che, per altri versi, continua a essere oggetto di accertamenti giudiziari e inchieste giudiziarie. Se si scegliesse questa strada e non si continuasse a chiedere con voce sommessa ma chiara la verità, il già debole tessuto civile sarebbe ulteriormente logorato. Sono state proprio le troppe compiacenze e assoluzioni a buon mercato dei potenti a dare una spinta decisiva all'antipolitica, a creare un clima politico che ha spalancato le porte a una ricerca del consenso che fa leva più sui vizi che sulle virtù repubblicane. Illegalità sempre blandita, razzismo sempre meno strisciante, frequentazioni a dir poco disinvolte hanno legittimato una clima diffuso che costituisce un brodo di coltura che certo non fa bene alla democrazia.

Qui è il punto. La vicenda delle frequentazioni di Berlusconi, che nessun criterio consente di confinare nel privato, dev'essere chiarita per evitare che, per l'ennesima volta, la resistenza passiva dei politici, il loro "ha dda passà 'a nuttata" o "chinati juncu che passa la china", alla fine trionfino, non solo garantendo impunità, ma dando un pessimo esempio sociale. Non si tratta di andare alla ricerca di responsabilità penali, ma di rimettere in onore la responsabilità politica, praticamente cancellata in questi anni. E' una impresa impegnativa, perché il fronte della responsabilità politica deve essere presidiato da molti soggetti. Quanta parte del sistema dell'informazione ha fatto il suo dovere? Quanta parte del ceto politico non vede l'ora di chiudere la "parentesi moralistica" per tornare agli usati costumi? Se attingiamo alla cultura pop, ci imbattiamo in Caterina Caselli: "La verità ti fa male, lo so... Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu". Probabilmente queste sono oggi le fonti, consapevoli o no, alle quali ci si ispira in un momento che esigerebbe meno leggerezza e maggiore consapevolezza di che cosa voglia dire far politica in un sistema democratico. Non suggerisco altre canzoni o altre letture. Richiamo il senso della verità in politica, che è componente essenziale della legittimazione stessa delle istituzioni, e che non può essere accantonato con una mossa cinica o di malinteso realismo politico (che, peraltro, non ha finora dato alcun profitto alle opposizioni).

L'obbligo di verità da parte delle istituzioni diviene diritto d'informazione sul versante dei cittadini. Nell'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Onu si afferma che "ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".
Questo diritto individuale alla ricerca della verità attraverso le informazioni chiarisce bene quale sia il significato della verità nelle società democratiche, che si presenta come il risultato di un processo aperto di conoscenza, che lo allontana radicalmente da quella produzione di verità ufficiali tipica dell'assolutismo politico, che vuole proprio escludere la discussione, il confronto, l'espressione di opinioni divergenti, le posizioni minoritarie. Proprio questa ovvia considerazione ci dice che la partita in corso intorno alle mille verità, contraddizioni, reticenze, bugie sulla vicenda personale del presidente del Consiglio deve concludersi in modo da evitare ogni inquinamento del sistema democratico. Aspettiamo pazienti. Ma della pazienza si può abusare, come si disse per quel Catilina citato a sproposito nei paraggi berlusconiani. Perché l'abuso non si consolidi, e diventi regola, bisogna non stancarsi di insistere.


(13 luglio 2009)

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da L'ESPRESSO
I misteri della Berlusconi Bank
di Paolo Biondani e Vittorio Malagutti


Una nuova inchiesta per riciclaggio penetra nei segreti della Banca Arner. Dove ci sono i conti della famiglia Berlusconi e dei suoi uomini di fiducia. E dove si intrecciano storie di fondi neri

Chi c'è stato racconta che gli uffici milanesi della Banca Arner sfoggiano un lusso inconsueto anche per una griffe della finanza elvetica. Ma i militari delle Fiamme Gialle che giovedì 11 giugno hanno perquisito il palazzotto di Corso Venezia, in una delle zone più esclusive della città, non hanno avuto molto tempo per ammirare marmi, stucchi, boiseries e arredi di gran pregio. Su ordine della Procura di Milano, il drappello di militari andava a caccia di documenti utili per un'indagine a dir poco delicata.

Un'indagine per riciclaggio che solleva dubbi e sospetti pesantissimi sull'attività della filiale italiana di Arner. Nel mirino ci sono giochi di sponda milionari con i paradisi fiscali. Almeno una decina di conti e società off shore di cui, secondo i rilievi degli ispettori della Banca d'Italia, non sarebbe possibile individuare il reale beneficiario. È un terreno minato per definizione, ma la vicenda rischia di trasformarsi in un caso politico. Perché la Arner da circa 15 anni è la banca di famiglia di Silvio Berlusconi. È l'approdo sicuro di innumerevoli operazioni fiduciarie. La cassaforte in cui viene amministrata una parte del patrimonio dell'uomo più ricco e potente d'Italia.

Non sembra un caso, allora, che il conto di gestione intestato a Berlusconi sia identificato con il numero uno. Ovvero il primo e forse il più importante tra tutti quelli aperti nella sede milanese dell'istituto con base a Lugano. Ma il premier, a quanto pare, ha fatto scuola. E così nei documenti interni della banca spuntano i nomi di alcuni degli amici più stretti di Berlusconi, gente di assoluta fiducia, custodi di molti dei segreti del regno di Arcore. Per esempio Ennio Doris, fondatore del gruppo Mediolanum. La famiglia dell'avvocato Cesare Previti, condannato in via definitiva per i casi Imi-Sir e lodo Mondadori. Il fiscalista Salvatore Sciascia, un veterano di casa Fininvest, uno che ha tirato le fila di innumerevoli affari berlusconiani. Presso lo stesso indirizzo milanese hanno parcheggiato alcune decine di milioni di euro anche tre delle finanziarie di famiglia del presidente del Consiglio. Per la precisione le Holding Italiana seconda, ottava e quinta, amministrate dai suoi figli Marina e Piersilvio.

Un legame tanto stretto con l'universo berlusconiano è il frutto di rapporti consolidati nel tempo. La Arner, 250 dipendenti, sede centrale a Lugano proprio sul lungolago, offre riservatezza assoluta e rifugi esentasse. Il repertorio della casa comprende fondi d'investimento alle Bahamas e società lussemburghesi. Di recente è stato inaugurato anche un ufficio a Dubai, l'ultimo grido in fatto di paradisi fiscali e societari. Insomma, le specialità sono quelle classiche delle piccole banche svizzere nate come funghi a Lugano per intercettare i capitali in fuga dal fisco italiano. Niente di straordinario, se non fosse che la storia di questo istituto corre parallela a quella della Fininvest e si incrocia fatalmente con le inchieste giudiziarie che hanno messo a nudo il versante off shore dell'impero di Berlusconi.

L'uomo chiave è Paolo Del Bue, classe 1951, figlio di un alto dirigente del gruppo Eni. Romano di nascita, ma svizzero di adozione, Del Bue è uno dei fondatori della Arner di Lugano, prima come semplice finanziaria e, poi dal 1994, banca a tutti gli effetti. Da principio, i suoi compagni di avventura sono Nicola Bravetti, Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borelli. Del Bue però vive di luce propria.

La conferma arriva da un documento recente: la sentenza di primo grado che nel 2009 ha condannato l'avvocato inglese David Mills con l'accusa di essersi fatto corrompere da Berlusconi per testimoniare il falso nei processi in cui era imputato l'attuale premier. Nella motivazione il tribunale spiega che Mills si fece pagare per nascondere ai giudici italiani che due grosse casseforti off shore, chiamate Century One e Universal One, facevano capo non ai manager Fininvest, ma "direttamente a Silvio Berlusconi".

A gestire i conti esteri di quelle due società così delicate era proprio Del Bue. Grazie ai "poteri di firma" da lui ottenuti il 21 e 28 giugno 1991, Del Bue ritira "sempre in contanti", nei successivi tre anni, ben "72 miliardi di lire dal conto svizzero di Century One e altri 32 da quello di Universal One". L'entità dei prelievi, secondo i giudici del caso Mills, "è assolutamente indicativa dello strettissimo rapporto di fiducia" tra Berlusconi e Del Bue, che non si limita a fare il banchiere, ma agisce come un tesoriere occulto del presidente del Consiglio italiano.

Link: i conti Berlusconi (grafico)

Imputato di riciclaggio nello stesso processo sui diritti tv, che ora è sospeso grazie al lodo Alfano, Del Bue si è rifiutato di rispondere alle domande dei giudici. E il suo silenzio continua a proteggere molti altri segreti. Secondo l'accusa, per nascondere i fondi neri di Berlusconi, il banchiere della Arner si sarebbe trasformato in una specie di 007. Nell'aprile 1996, mentre la polizia inglese perquisisce per la prima volta Mills, scoprendo le finanziarie off shore del sistema All Iberian, Del Bue si presenta nello studio dell'avvocato inglese e si fa consegnare tre faldoni di carte: guarda caso, quelle che riguardano Century One e Universal One. Per questo ora il banchiere svizzero è accusato anche di aver fatto sparire quei documenti così compromettenti per Berlusconi. Subito dopo averli ritirati, Del Bue ha un incontro riservatissimo, a Londra, con Mills e con un avvocato italiano della Fininvest: Giovanni Acampora. Lo stesso legale che ha poi subito due condanne definitive, insieme a Previti, per aver corrotto il giudice Vittorio Metta. Ma cosa c'entra Acampora con l'uomo della Arner? E perché Mills, appena perquisito, deve incontrare proprio quel corruttore italiano insieme al banchiere svizzero che ha fatto sparire le carte su Berlusconi? Anche a queste domande Del Bue non ha dato alcuna risposta.

Di certo, però, si può dire che l'intera storia della Arner è strettamente intrecciata agli affari più segreti della galassia Fininvest. Da questa piccola banca svizzera, per cominciare, passa l'operazione che porterà i pm milanesi del pool Mani pulite a scoprire, a partire dalla prima rogatoria del maggio 1994, un enorme serbatoio di fondi neri del gruppo Fininvest: circa un miliardo di euro, nascosti da una fittissima rete di società off shore. La principale si chiama All Iberian ed è servita, tra l'altro, a finanziare segretamente il Psi di Craxi (tangenti per 21 miliardi di lire solo tra il '90 e il '92) e a fornire all'avvocato Cesare Previti i soldi per comprare i giudici romani corrotti (in particolare nel caso Mondadori). Per tutta l'inchiesta Mani pulite, però, i magistrati ignoravano l'esistenza di questa 'tesoreria occulta'. Il primo a parlarne, per quanto di sua conoscenza, è stato l'ex presidente del Torino, Gianmauro Borsano. È il 1994. Berlusconi guida il suo primo governo. Inquisito per bancarotta, Borsano rivela di aver incassato 10 miliardi di lire in nero per vendere al Milan il calciatore Gianluigi Lentini. I soldi gli erano arrivati dalla società panamense New Amsterdam, che è amministrata fiduciariamente proprio dalla Arner. Partendo dalla New Amsterdam, le inchieste giudiziarie milanesi hanno ricostruito il sistema off shore della 'Fininvest parallela'.

Berlusconi, a suo tempo imputato di falso in bilancio per questi fatti, ha evitato la condanna grazie ai nuovi termini di prescrizione introdotti dalla legge varata in Parlamento dalla sua maggioranza. La Banca Arner invece, tirata in ballo a più riprese nelle indagini italiane, ha varato un riassetto in consiglio. Paolo Del Bue lascia la carica di amministratore nel 2005, ma non è chiaro se, come pare probabile, rimane ancora tra i soci di riferimento dell'istituto. Due anni dopo, anche su pressione delle autorità di vigilanza svizzere, la banca nomina un nuovo presidente di garanzia, il revisore di bilancio Adriano Vassalli.

Fine della storia? Arner torna nei ranghi? Pare di no, perché il terremoto continua. E la crisi finanziaria, per una volta, non c'entra nulla. A maggio del 2008 è finito agli arresti Nicola Bravetti, direttore e socio fondatore della Arner, nonché presidente della filiale italiana fino al 2007. La Procura antimafia di Palermo lo accusa di intestazione fittizia di beni per aver aiutato l'imprenditore siciliano Francesco Zummo a far sparire alle Bahamas 13 milioni di euro. Zummo, già condannato per associazione mafiosa, stava cercando di nascondere questa somma a un sequestro della magistratura. I pm siciliani sono riusciti, caso rarissimo, a ottenere assistenza giudiziaria dal paradiso fiscale caraibico: le Bahamas hanno sequestrato i 13 milioni e spedito a Palermo l'intera documentazione.
La Arner difende Bravetti: in un comunicato, la banca sottolinea che Zummo, dopo la condanna in primo grado a cinque anni, è stato assolto in appello nell'aprile scorso. E se cade il reato a monte, secondo la difesa, scompare anche il riciclaggio. L'accusa però ribatte che qui il reato è diverso: l'intestazione fittizia è vietata anche se in un momento successivo i giudici escludono il reato principale. Sulla questione specifica deciderà il tribunale. Ma intanto il caso Zummo-Bravetti ha acceso la miccia di una bomba giudiziaria che è esplosa in questi giorni con il nuovo commissariamento disposto dalla Banca d'Italia, la perquisizione e l'inchiesta per riciclaggio. Nel mirino, ancora una volta, i segreti della banca preferita di Berlusconi.

(09 luglio 2009)

12 luglio 2009

G8 finito: le ruspe riprendono a scavare la difficile strada della Verità italiana

POLITICA

Le menzogne e i fatti
di GIUSEPPE D'AVANZO

ORA che "il mondo" ci ha lasciato di nuovo soli, con le nostre anomalie, ricordiamo dove ci siamo interrotti. Con la solita mossa da lupo, mentre ciascuno con responsabilità segnava una pausa "per il bene del Paese" (Repubblica, 8 luglio), il premier ha approfittato del G8 per afferrare qualche beneficio personale (abusivo, come se i "Grandi della Terra" fossero venuti all'Aquila per soddisfare il loro Ego con giudizi personali e non a rappresentare gli interessi nazionali).

Berlusconi - "sorriso, piagnisteo, ringhio" - si è illuso di acconciare alla meglio la sua infelice reputazione. Ha rilanciato il suo mantra ("Calunnie!") per esorcizzare i fatti nel caleidoscopio delle verità rovesciate che si è combinato. Ci ritorna per due giorni di seguito. "Sulla strada delle menzogne si sbatte contro il muro dei fatti", dice (la Stampa, 9 luglio). "Ci sono due tipi di realtà, quella vera della gente comune e l'altra, la realtà descritta dai giornali che è pura fantasia", ripete (Repubblica, 10 luglio)

Dunque, se non a ugole gregarie per vocazione (come Piero Ostellino, soi-disant liberale di via Solferino, parolaio indifferente ai fatti, che vede separazione dei poteri dove c'è - macroscopico - un "potere unico" che liquida il principio costituzionale d'eguaglianza), almeno al capo del governo è chiaro di che cosa si discute.

Parliamo di "fatti" e di "menzogne", quindi di una tecnica della politica contemporanea che trova in Berlusconi un artefice ineguagliato nel mondo evoluto: valgono ancora le qualifiche "vero", "falso" nel virtuale politico e televisivo che domina? Ci si interroga su una strategia che riduce i fatti a trascurabili opinioni lasciando campo libero a una menzogna deliberata che soffoca la realtà. Ci si chiede se siamo disposti a ridurre la complessità del reale a dato manipolabile, e quindi superfluo. Ci si domanda quale funzione specifica e drammatica abbia la menzogna nell'epoca dell'immagine, della Finktionpolitik. Sono i "falsi indiscutibili" di Berlusconi a rendere rassegnata l'opinione pubblica italiana o il "carnevale permanente" l'ha già uccisa? Di questo discutiamo.

Se gli interrogativi fanno massa intorno ai comportamenti privati del premier, accade perché egli stesso - guadagnandone grande consenso - lo ha voluto. Ha eliminato, fin dall'inizio della sua avventura politica, ogni confine tra il suo "privato" e il suo "pubblico". Ha preteso - una volta al governo - di legiferare con mano ferma quale debba essere il nostro "privato": dal momento in cui nasciamo fino all'ultimo respiro. Infine, ha negato in pubblico (Porta a Porta, 4 maggio) i comportamenti che la moglie giudica inaccettabili.

* * *

Bisogna definire, ora, quali siano - in questa storia - i fatti e quali le menzogne a uso degli spiriti cortigiani - nella lobby c'è chi declassa a notiziuccia anche le parole terribili del segretario generale della Cei: "Nessuno deve pensare che non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio" (Ansa, 6 luglio).

Finora Silvio Berlusconi ha mentito a ogni posta di questa storia. Lo si può documentare, al di là del chiasso sollevato da un'informazione servile, e dire di lui con quieta serenità: il capo del governo è Gran Bugiardo.
a. Ha negato di aver voluto candidare veline al parlamento europeo. È stato contraddetto finanche dalle veline deluse per l'esclusione e smentito dalle prostitute a cui aveva promesso un seggio a Strasburgo.
b. Ha negato di aver frequentato minorenni, ha giurato di aver incontrato Noemi Letizia soltanto "tre, quattro volte e sempre alla presenza dei genitori". Ha dovuto ammettere di aver avuto Noemi, minorenne e senza genitori, prima accanto ad una cena del governo, poi tra le ospiti del suo Capodanno 2009 a Villa Certosa.
c. Ha dichiarato di non aver mai conosciuto l'avvocato David Mills. È stato accertato che il corrotto (Mills) e il corruttore (Berlusconi) si sono parlati per lo meno in un'occasione e incontrati in un'altra, ad Arcore.
d. Ha dichiarato di aver usato i "voli di Stato" soltanto per "esigenze di servizio" anche quando erano a bordo musici e ballerine, ma ha dovuto proteggere con il segreto di Stato le liste dei passeggeri e i piani di volo degli aerei presidenziali.

* * *

La quinta posta di questa storia, ancora per esclusiva responsabilità di Berlusconi, parla di prostituzione e di abitudini sessuali che il capo del governo vuole punire con il carcere. Anche in questo caso, il presidente del Consiglio ha ingannato il Paese che governa.
Patrizia D'Addario racconta di aver fatto sesso a pagamento con il capo del governo, la notte del 4 novembre 2008 (la paga un prosseneta, abituale ospite delle feste del premier). La donna raccoglie, a Palazzo Grazioli, fotografie e registrazioni di quella notte. La sua testimonianza è indiscutibile. Berlusconi e il suo avvocato ne sono consapevoli e accennano a una manovra di aggiramento. Ghedini si preoccupa innanzi tutto di evitare guai giudiziari al Capo: "Ancorché fossero vere le indicazioni di questa ragazza, e vere non sono, il premier sarebbe l'utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile". (Affaritaliani. it, 17 giugno)

Berlusconi, dice l'avvocato, "sarebbe soggetto inconsapevole". Magari incantato, una notte, dalla bellezza di quella donna che non sapeva si prostituisse. Un povero diavolo, insomma, un po' ingenuo e citrullo. Ne ha approfittato gentaglia rapace e ingrata. È la linea di difesa che il premier accentua. "Purtroppo abbiamo sbagliato l'ospite, e lui ha sbagliato l'ospite dell'ospite", dice dalla "capitale del dolore", L'Aquila. (Ansa, 25 giugno).

E poi perbacco, gli dà manforte Ghedini, davvero qualcuno può credere che un "sultano" debba pagarsi il sesso? "Il presidente è uomo ricco di denari e di simpatia e di voglia di vivere. Certamente non ha bisogno che qualcuno gli porti le donne. Pensare che Berlusconi abbia bisogno di pagare 2000 euro una ragazza, perché vada con lui, mi sembra un po' troppo. Penso che potrebbe averne grandi quantitativi, gratis" (Corriere, 17 giugno). Grandi quantitativi, gratis. Lo lascia intendere anche Berlusconi. Si fa chiedere da un salariato della Casa: "Ha mai pagato una donna perché restasse con lei?". Risponde: "Naturalmente no. Non ho mai capito che soddisfazione ci sia, se non c'è il piacere della conquista..." (Chi, 24 giugno). Il piacere della conquista.

Questa è la scena. Già vista, la strategia di banalizzazione. Nessun eccesso, nessuna disinvoltura. Soltanto qualche decisione infelice, un carnet disordinato, un'incuria nell'aprire la porta di casa a chi non lo merita. Nulla di cui Berlusconi si debba vergognare: "Io non ho nulla di cui dovermi scusare. Non c'è nulla nella mia vita privata di cui mi debba scusare" (Chi, 24 giugno).

Anche stavolta Silvio Berlusconi inganna chi lo ascolta perché - anche se non c'è alcun rilievo penale in questi comportamenti, come teme Ghedini, né la magistratura pare interessata al "caso" - i ricordi invincibili dei testimoni, le parole intercettate da un'inchiesta giudiziaria, raccontano come le residenze private di Berlusconi (Villa Certosa, Palazzo Grazioli) si affollino con regolarità di prostitute di caro prezzo - "grandi quantitativi", direbbe Ghedini - ingaggiate dagli amici e dalle amiche del presidente secondo un rituale preciso e sempre uguale. Convocazione a Roma; obbligo di vestire in nero; di truccarsi con leggerezza; di essere gentile con il "presidente"; di trascorrere la notte con lui in pratiche che la malavita, a Bari, definisce "torte" (ma questa è un'altra storia).

* * *

Ora che "il mondo" ci ha lasciato di nuovo soli con noi stessi, immaginiamo di poter attribuire ai "Grandi della Terra" quel che si può assegnare al nostro premier. Immaginiamo di poter dire, senza timore di essere contraddetti, che Barack Obama è un bugiardo e ha mentito al suo Paese; che Nicholas Sarkozy va in vacanza con minorenni; che Angela Merkel porta con sé in voli di Stato musici e ballerini che allietano le sue serate; che Gordon Brown, imputato in un processo, ha corrotto un testimone; che Taro Aso si riempie la casa di prostitute a frotte, pagate da un suo amico a cui poi promette affari. Pensate che, con questo peso, le opinioni pubbliche consentirebbero a chiunque di quei "Grandi" di restare al loro posto? Perché questo da noi non avviene dovrebbe interessarci: ci mostra la malattia organica di un'Italia moralmente "gobba". A meno di non voler pensare, con Giolitti, che convenga soltanto tagliarle addosso un abito deforme.

(11 luglio 2009)

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L' ETICA PUBBLICA PERDUTA

Repubblica — 10 luglio 2009

Etica pubblica.
Parole perdute, e al loro posto un deserto, dove scompare la responsabilità della politica, privacy vuol dire fare il comodo proprio, il senso dello Stato è ormai un'anticaglia. Ogni giorno, più che una nuova pena, porta una mortificazione continua del vivere civile, con un circuito di imbarazzanti ospitalità, che vanno da quella generosamente offerta a schiere di ragazze dal Presidente del Consiglio fino a quella elargita con altrettanta generosità allo stesso Presidente da giudici costituzionali.

Registrare questi fatti vuol dire moralismo, eccesso di voyeurismo, ultima spiaggia di una opposizione senza idee, antiberlusconismo da abbandonare?
O siamo di fronte ai segni di un processo di decomposizione di cui i protagonisti non sembrano neppure consapevoli, tanto sono sgangherate le difese loro e dei loro sostenitori, affidate alla disinvoltura del mentire e del contraddirsi senza pudore, a censure televisive, a lettere imbarazzanti e più rivelatrici d'una confessione?


Il catalogo è questo, ed è lungo.
Tutto comincia con la pretesa dell' impunità, ma una impunità totale, che non si concentra solo nel lodo Alfano e dintorni, ma si estende in ogni direzione, diventa diritto assoluto di stabilire che cosa possa essere considerato lecito e che cosa (poco, assai poco) illecito, che cosa sia pubblico e che cosa debba rimanere privato.

Il voto popolare diventa un lavacro e una unzione.
Ancora oggi, quando si parla di conflitto d'interessi, spunta una schiera di avvocati difensori che esibisce un argomento in cui si mescolano arroganza e disprezzo d'ogni regola: "Di conflitto d'interesse si è parlato mille volte, i cittadini lo sanno e il loro voto a Berlusconi, quindi, respinge nell'irrilevanza politica e giuridica quel conflitto".

Non si potrebbe trovare una mortificazione della democrazia e della sovranità popolare più eloquente di questa. Il voto dei cittadini è degradato a scappatoia per sottrarsi alle regole e alla decenza etica. E, quando, finalmente qualcuno dice che il re è nudo (ahimè, in tutti i significati possibili), il re s'infuria, si comporta come se chiedere spiegazioni fosse un delitto di lesa maestà.

Improvvisamente lo spazio pubblico gli sembra insopportabile, proprio quello spazio che aveva voluto costruire a propria immagine e somiglianza, e nel quale si radica non piccola parte del suo consenso.

Alla vigilia di una tornata elettorale di qualche anno fa, milioni di italiani ricevettero un colorito libretto dove Silvio Berlusconi esibiva e rivelava infiniti dettagli della propria vita privata, compresi il nome del suo camiciaio e quello del fornitore di cravatte. Campagna all' americana si disse, ovviamente.
Ma l' America è un' altra cosa, è il paese dove la Corte Suprema fin dal 1973 ha stabilito che gli uomini pubblici hanno una minore "aspettativa di privacy", dove proprio in questi giorni, sull' onda di uno scandalo che rischia di spegnere le ambizioni del governatore della Carolina del Sud, si sono unanimemente ribaditi due capisaldi dell' etica pubblica: un uomo politico non può mentire; deve accettare la pubblicità di ogni sua attività quando questa serve per valutare la coerenza tra i valori proclamati e i comportamenti tenuti.

Niente doppia morale, niente vizi privati e pubbliche virtù per chi riveste funzioni pubbliche, alle quali è giunto per scelta e non per obbligo, e del cui esercizio deve in ogni momento rendere conto alla pubblica opinione.

Ma il contagio berlusconiano si è diffuso, come dimostra l'imbarazzante vicenda che ha visto protagonisti due giudici costituzionali. "A casa mia faccio quello che mi pare", diceva il Presidente. "A casa mia invito chi mi pare" (con contorno di assicurazioni sulla riservatezza della fedele domestica), viene di rincalzo il giudice.
E chi non accetta queste sbrigative forme di autoassoluzione viene bollato come gossipparo, guardone dal buco della serratura, spione, nostalgico dell'Inquisizione, fautore della società della sorveglianza...
Ma le cose non stanno così, e basta un' occhiata alle regole della tanto invocata privacy per confermarlo.

Certo, anche le "figure pubbliche" hanno diritto a un loro spazio di intimità, ma questa tutela è garantita solo se le informazioni non hanno "alcun rilievo" per definire il ruolo nella vita pubblica della persona interessata (articolo 6 del codice deontologico sull' attività giornalistica in tema di privacy).
Proprio così: "alcun rilievo".

Non solo questa formula è netta, senza equivoci, ma proprio l'attenzione della stampa internazionale è prova evidente dell'esistenza di un interesse forte a conoscere, così come è clamoroso il fatto che vi sia stata una cena "privata" tra il Presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia che ha dato il nome al famoso "lodo" e due tra i giudici che dovranno valutare la costituzionalità della più personale tra le leggi ad personam.
Non si può invocare la privacy per interrompere il circuito del controllo democratico.
Proviamo di nuovo a dare un' occhiata alle regole, alle odiatissime regole. Qui troviamo un' altra formula eloquente: "commensale abituale". Dobbiamo ritenere che questa sia la condizione del Presidente del Consiglio, visto che il giudice costituzionale invitante ha detto che quella cena non era la prima e non sarebbe stata l' ultima.

Gli implicati in questa vicenda protestano, dicendo che quella situazione, che obbliga ogni altro magistrato ad astenersi quando abbia frequentazioni della persona che deve giudicare, non è prevista per i giudici costituzionali. Ma questo non vuol dire che i giudici della Consulta possano fare i loro comodi. Proprio perché la loro funzione richiede indipendenza assoluta da tutto e da tutti, sì che giustamente il Presidente della Repubblica ha escluso la possibilità di un suo intervento, massimo deve essere il rigore del loro comportamento.
Non un meno, ma un più, rispetto agli altri giudici.
Moralismo, o grado minimo della deontologia professionale e dell' etica pubblica? Proprio questi riferimenti sembrano scomparsi.


Mentre la quotidiana attività legislativa smantella pezzo a pezzo lo Stato costituzionale di diritto, negando diritti fondamentali agli immigrati o dando in outsourcing a ronde private l'essenziale compito della sicurezza pubblica (qui s'incontrano le pulsioni della Lega e la concezione aziendalistica del Presidente del Consiglio),è quasi fatale che il senso dello Stato venga relegato in un angolo, considerato un inciampo dal quale liberarsi.
Interviene qui la questione del moralismo, del quale in altri tempi ho scritto un pubblico elogio e del quale torno a dichiararmi un fedele. Non voglio nobilitare le miserie di questi tempi invocando la lettura di quelli che, giustamente, vengono detti "moralisti classici".

Registro due fatti.
Il primo riguarda l' uso italiano e inverecondo dell'esecrare il moralismo per liberarsi della moralità. E' una vecchia trappola, alla quale si può sfuggire solo se si hanno convinzioni forti e non si cede al realismo da quattro soldi, che spinge ad accettare qualsiasi cosa in nome d'una politica senza respiro.
Il secondo lascia aperto uno spiraglio alla speranza. Proprio una rivolta in nome della moralità politica e dell' etica pubblica ha scosso le fondamenta d'un potere che sembrava saldissimo e che i vecchi riti della politica d'opposizione non riuscivano a scalfire. Lo conferma l' annuncio che il Presidente del Consiglio vorrebbe compiere a "svolta personale". Ancora uno sforzo, moralisti!


- STEFANO RODOTÀ
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Patrizia D'Addario rifiutò di restare di notte con le altre ragazze
Intercettate molte telefonate "preparatorie" del premier a Tarantini

Le "torte" a Palazzo Grazioli raccontate dalle escort

Oltre a "Gianpi" nell'inchiesta di Bari spuntano altri due procacciatori di ospiti femminili
di GIUSEPPE D'AVANZO e GIULIANO FOSCHINI

"Torte?", chiede il pubblico ministero. Accade qualche tempo fa, a Bari. Il magistrato interroga un trafficante di droga e l'uomo gli racconta i costumi della sua banda. "Torte" è un'espressione che il magistrato non ha mai sentito. Il pubblico ministero torna allora a chiedere al criminale: "Che cosa sono le "torte"?". L'altro gli risponde: "Le "torte", dottore: le orge, i festini, com'è che dite voi?". Il ricordo di quella formula - "torte" - affiora oggi nella conversazione di una fonte vicina all'inchiesta di Bari perché sono le "torte" il punto critico che rende politicamente imbarazzanti le ricostruzioni delle serate di Silvio Berlusconi. Tra le 19 ragazze, ospiti a pagamento nelle residenze del capo del governo e interrogate dalla procura di Bari, c'è più di una testimone che ha ammesso di aver trascorso, "con altre ragazze", la notte con Silvio Berlusconi.

Di "festino" e "orgia"" ha già parlato Patrizia D'Addario. Patrizia è, per la prima volta, a Palazzo Grazioli la sera del 15 ottobre 2008. Rifiuta di trascorrere la notte nel letto regalato al capo del governo da Vladimir Putin, "il letto grande". Ci rimarrà dopo, la notte del 4 novembre e di queste ore si sa - più o meno - tutto. Ma perché, quella prima volta, Patrizia lasciò Palazzo Grazioli?

Andare via non è stato un colpo di testa, sostiene Patrizia. Le orge, dice Patrizia, non sono mai riuscita a farmele piacere e avevo intuito che mi sarei trovata in quella sgradevole situazione se fossi rimasta, dopo la cena, i balli, la ola, le barzellette, i canti e la musica di Apicella. C'erano molte escort quella sera nella residenza del capo del governo. Per lo meno, cinque. Due molto appariscenti. Lesbiche, "le uniche in pantaloni, lavorano sempre in coppia". La cena era ancora in corso, ricorda Patrizia, quando Berlusconi mi volle mostrare le camere da letto. Soprattutto quella con "il lettone". Non eravamo soli, ricorda Patrizia. Con Berlusconi c'erano altre due escort che cominciarono a coccolare il "sultano". Berlusconi, dice Patrizia, mi chiamava, mi invitava con la voce e i gesti a unirmi a loro. Patrizia decise di chiudersi in bagno e uscirne soltanto quando il gruppo fosse tornato nel salone per completare la cena. Fu allora, nella camera con il "letto grande", che Patrizia, pur ingaggiata per duemila euro, decise di non rimanere per la notte. Ritornata in albergo, al Valadier, raccontò subito alla sua amica, Barbara Montereale, l'episodio. Barbara, tra molte reticenze, ne ha un ricordo ancora oggi vivo: "Patrizia ha preferito andar via perché c'erano altre due escort" e d'altronde ella stessa vide scene simili a Villa Certosa, poi, nel gennaio del 2009 "quando decine di ragazze straniere si stringevano a Papi, litigando tra loro, quasi aggredendosi".

* * *

Il racconto di Patrizia ha trovato una conferma con la testimonianza di un'altra signora, Maria Teresa De Nicolò, 37 anni, barese. La sua partecipazione alla serata di Palazzo Grazioli ha ripercorso, come se si trattasse di un rito, la stessa esperienza di Patrizia. Identiche le modalità, identiche le regole da rispettare. Convocazione a Roma, improvvisa e un po' misteriosa. Abitino nero, trucco leggero. Prima di andare a letto, se richiesto dal padrone di casa, una disponibilità assoluta a mostrare ammirazione estatica per i successi di "Silvio"; pieno divertimento per barzellette e canti; gratitudine per i regalini "da negozietto". Stesso contatto, Gianpaolo Tarantini. Povero Gianpi, racconta un amico, certi giorni era davvero disperato perché, se è agevole organizzare un "festino" con qualche giorno d'anticipo, diventa arduo farlo in un solo pomeriggio. Nell'estate-autunno del 2008, la sexual addiction di Berlusconi è compulsiva, la sua satiriasi indiavolata. Telefona anche dieci volte, nello stesso giorno, a Tarantini (intercettato dalla magistratura di Bari). Gli chiede di mettere insieme "le ragazze" per la sera anche con un anticipo di poche ore. Gianpi fa quel può, ricordano gli amici, ma la fretta è, senza eccezione, cattiva consigliera e così non sempre ha il tempo di "invitare" a Roma da Milano le "cortigiane perfette", "bellissime, molto giovani, molto professionali e, soprattutto, consapevoli della necessaria riservatezza".

Pressato, Gianpi deve accontentarsi, dicono gli amici, "di quel che ha sotto mano". E' così che a Palazzo Grazioli entra anche chi non avrebbe mai messo piede, con più tempo a disposizione. Maria Teresa viene convocata (prima e unica volta) in questa emergenza. Parte per Roma e, come accade a Patrizia, Barbara e Lucia R. ("ospiti" il 4 di novembre), scopre nei saloni del de Russie che la meta di quella serata di lavoro sarà Palazzo Grazioli. Maria Teresa, agli inquirenti di Bari, ha ammesso di aver fatto sesso con il presidente, "rimborsata" da Gianpi, ma quel che qui conta è la "torta", il numero delle "ragazze" che - quella notte (un "lunedì o un martedì di settembre del 2008" fa la vaga Maria Teresa, probabilmente martedì 23 settembre) - si trattiene con il capo del governo nella sua residenza di Palazzo Grazioli. Maria Teresa tace il numero delle "ragazze" (anche se l'ha riferito al magistrato che l'ha interrogata). E' disposta però ad ammettere, con Repubblica, che "c'erano altre ragazze". Qualcuna di quelle "ragazze" seguirà, il giorno dopo, Berlusconi a Melezzole, vicino a Todi, quando (come ha svelato l'Espresso) il presidente del Consiglio rinuncia a una "missione" a New York, alla partecipazione alla "campagna del Millennio" contro la povertà e la fame nel mondo, all'intervento all'assemblea delle Nazioni Unite per starsene, con le sue "ragazze", nell'health center di Marc Mességué (sbarrato agli estranei).

* * *

La rilevanza del racconto più veritiero delle serate di Silvio Berlusconi è dunque in questo "punto critico" non ancora illuminato: le "torte" di Palazzo Grazioli. Finora la scena ci è stata raccontata così. Un giovanotto ambizioso (Tarantini) conduce prostitute di caro prezzo nelle residenze del capo del governo offrendole al "sultano" (Berlusconi) per ingrassare affari e potere d'influenza. Il "sultano" - ingenuo e ignaro - fa sesso con una di quelle ragazze (Patrizia D'Addario). Emerso l'episodio, il "sultano" muove in tre mosse. Nega l'episodio ("Non ricordo la faccia di questa Patrizia"). Scredita la testimone ("I miei nemici politici l'hanno pagata per accusarmi"). Banalizza quel che è accaduto ("Ho soltanto scelto ospiti sbagliati").

Diciamolo con le parole di Nicolò Ghedini: Berlusconi è soltanto un "soggetto inconsapevole. Se io vado a casa del presidente e, per fare bella figura, mi presento con un'accompagnatrice, è difficile che lui possa saperlo. E, se anche poi vi fossero rapporti [sessuali tra il presidente e quella donna], lui continuerebbe a non sapere e quindi [il fatto] non può avere nessuna implicazione né giuridica né morale" (Agi, 18 giugno).

Lasciamo stare la giustizia (Bari non contesta a Berlusconi alcun ipotesi di reato e a Tarantini soltanto il favoreggiamento alla prostituzione: le ospiti non erano indotte a prostituirsi, era il loro mestiere e nessuno lo ignorava). Lasciamo stare la morale (è diritto di ciascuno avere le abitudini sessuali che ritiene opportune). Quel che conta qui è che cosa è accaduto e che cosa significa.

Quel che accade, ragionevolmente, lo si può dire così. Al contrario di quanto sostengono Berlusconi e il suo avvocato, il capo del governo è consapevole che le "ragazze" di Tarantini siano delle cortigiane. A Gianpi le chiede espressamente. Berlusconi sa della "professione" della D'Addario, come dice Patrizia, come conferma Barbara Montereale e testimonia - per altre circostanze - Maria Teresa De Nicolò.

Emerge, dunque, dall'inchiesta di Bari un tableau ben definito. Intorno al presidente del Consiglio, c'è un'organizzazione molto discreta, anche se spericolata, che fornisce prostitute al "sultano" per le sue serate con "torta" finale; una rete di servizio che si muove secondo moduli, programmi e desideri sempre uguali. Tarantini è soltanto uno dei server che il presidente del consiglio attiva quando la sexual addiction l'afferra. Dall'inchiesta emerge che lo stesso "lavoro" di Gianpi è assolto per lo meno da altre due personaggi (un professionista di Bari, una signora di Roma).

Questo accade. Quel che significa (lo ha già scritto qui Stefano Rodotà) interpella l'etica pubblica. "Un uomo politico non può mentire. Deve accettare la pubblicità di ogni sua attività quando questa serve per valutare la coerenza tra i valori proclamati e comportamenti tenuti" (Repubblica, 10 luglio). Da questo punto di vista, la scena è chiara. Berlusconi ha una volta di più, in questa storia, ingannato il Paese: non ignora che le "ragazze" che affollano il "lettone di Putin" siano prostitute e prostitute chiede, per le sue "torte", ai prosseneti che siedono al suo tavolo (non esita a "smanacciarle" subito sotto gli occhi della sua scorta).

Il comportamento privato del capo del governo è in fragorosa contraddizione con i valori (Dio, famiglia) che proclama in pubblico e con le leggi che propone al Parlamento (severe punizioni per chi favorisce la prostituzione e per chi fa sesso con le prostitute). E' questo lo stato delle cose che Berlusconi dovrebbe finalmente affrontare in pubblico, quali che siano gli esiti per la sua reputazione e per il suo destino politico.

(12 luglio 2009)
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da L'ESPRESSO:

Che vita da papi

di Peter Gomez, Marco Lillo e Antonio Massari
Gli appuntamenti istituzionali saltati. A favore di cene e centri benessere. Con la presenza fissa di Tarantini e la sua pattuglia di ragazze

La frase chiave è "mal di schiena" o, come dice lui, "colpo della strega". La traduzione esatta, però, è Giampaolo 'Giampi' Tarantini, il giovane imprenditore di Bari al centro di un sistema di potere fatto di relazioni ai massimi livelli, gare d'appalto truccate, belle donne e qualche escort. Sì, perché dietro ad almeno due improvvise inspiegabili assenze di Silvio Berlusconi dalla scena poltica, spunta adesso la figura di Giampi e della sua corte di amiche.

La prima volta accade mercoledì 24 settembre quando il premier lascia all'improvviso Roma e, dopo aver salutato i giornalisti appostati davanti palazzo Grazioli, scompare. Siamo in piena crisi Alitalia. Proprio quel giorno, stando ai programmi ufficiali, Berlusconi dovrebbe essere a New York per parlare, accanto al sindaco di Milano Letizia Moratti, di Expo e del Millennium Goal, la 'campagna del Millennio' contro la povertà e la fame nel mondo. Ma l'agenda è saltata e salterà giovedì anche il previsto intervento del premier davanti alle Nazioni Unite, dove invece si presenta il ministro degli Esteri, Franco Frattini. La situazione della compagnia di bandiera, che è ormai a un passo dal fallimento, "impone la presenza costante del presidente del Consiglio" per arrivare a un accordo con i piloti, si giustifica Frattini.

Ma il giovedì i cronisti scoprono che il premier non è né a Roma, né a Milano. Si è rifugiato a Melezzole, vicino a Todi, nell'health center di Marc Mességué, per "risolvere il mal di schiena che lo affligge da alcuni giorni", spiega un inviato dell'Ansa. Nessuno però sa che Berlusconi, come ora 'L'espresso' è in grado di rivelare, la sera prima di partire su un elicottero della Protezione civile alla volta del centro Mességué, ha fatto festa. Martedì 23, ha avuto a cena Giampi Tarantini, alcune amiche e altri ospiti tra i quali sono stati anche visti personaggi molto noti in tv.

Si tratta, con tutta probabilità, della stessa cena di cui ha parlato con 'la Repubblica' l'arredatrice barese Maria Teresa 'Terry' De Nicolò che, intervistata martedì 7 luglio, ha spiegato di essere stata a Palazzo Grazioli in settembre assieme ad altre 20 ragazze e quattro uomini. "Abbiamo chiacchierato di Alitalia, abbiamo fatto le quattro del mattino, Berlusconi raccontò che a breve sarebbe dovuto partire per un centro benessere e io da Giampaolo ho ricevuto mille euro come rimborso spese", ha detto Terry, prima di rifiutarsi di rispondere alla domanda più imbarazzante: "Le informazioni raccolte da 'Repubblica' indicano che lei ha dormito con altre ragazze a palazzo Grazioli, è andata così?".

Un interrogativo a cui adesso se ne aggiunge un altro, tutto politico. L'intensa vita notturna del Cavaliere rischia di danneggiare, oltre che l'immagine, anche il buon funzionamento dello Stato? Certo, lui assicura di avere il fisico di un ventenne. "Se dormo per tre ore, poi ho ancora l'energia per fare l'amore per altre tre ", dice il 5 ottobre mentre fa ingresso verso l'una di notte nella discoteca Lotus di Milano. "Fra un'ora comincio a lavorare, ma mi sento fresco. Ero alla notte bianca di Parigi, poi un amico mi ha invitato a questa festa e non ho saputo resistere", giura uscendo sempre dallo stesso locale alle 6 e un quarto del mattino.

Ma il dubbio rimane. Perché, pure se il suo nuovo intervistatore di fiducia, il direttore di 'Chi', Alfonso Signorini, ha svelato che i più "stretti collaboratori" lo chiamano 'Duracell', a sett'anni passati da un pezzo e con un pacemaker nel petto, il corpo non reagisce più come prima. Chi lo ha sentito per telefono parlare di Alitalia mentre si trovava da Mességué racconta infatti che Berlusconi aveva la voce quasi spettrale. Anche se poi le cure e i massaggi devono aver fatto il miracolo. Già due giorni dopo il premier sembra rianimarsi, al pari dell'allora segretario del Pd, Walter Veltroni, che subito dopo la sua scomparsa, dagli studi di 'Porta a Porta', aveva attaccato a fondo: "In queste ore cruciali per la compagnia aerea Berlusconi non si sa dove si trovi".
Venerdì 26 settembre, in piena forma, il presidente del Consiglio è comunque a Todi, per un fuori-programma politico. Interviene a sorpresa a un convegno dei Popolari-Liberali del sottosegretario Carlo Giovanardi, dove dal palco parla, tra l'altro, di valori cattolici: "La famiglia per noi, nonostante questa pretesa modernità, è sempre e soltanto quella indicata dalla tradizione cristiana". Da Mességué restano invece ancora centinaia fra poliziotti e carabinieri, da subito impegnati a proteggere la privacy del premier e di quello che le agenzie chiamano "il suo staff".

Secondo dubbio: chi ne faceva parte? Anche questo interrogativo non nasce per caso. Perché Berlusconi, in Umbria, ci tornerà di nuovo due mesi dopo - e questa volta, lo ha scoperto 'L'espresso' - in compagnia di Giampi Tarantini e le sue girls. È un weekend di fine novembre. E, venerdì 28, Berlusconi scompare ancora da tutti gli schermi radar. Non si fa vedere, non si rintracciano sue dichiarazioni. Si sa solo che per domenica è atteso a Sesto San Giovanni, dove dovrebbe parlare ad un convegno organizzato dalla Dc per le autonomie del ministro Gianfranco Rotondi. Ma a Sesto il premier non andrà mai e si limiterà a un appluditissima telefonata in cui tra l'altro rivendica con orgoglio il fatto di aver raddoppiato l'Iva a Sky Tv, la rete criptata dell'ex amico Rupert Murdoch.

"Una modalità (quella dell'intervento telefonico) che", secondo l'Ansa, "ha portato qualche sostegno alle voci diffusesi in questi giorni che lo davano fuori dal capoluogo lombardo, forse per curare il mal di schiena che lo affligge". E infatti anche a fine novembre il capo del governo si sta sottoponendo a terapie a base di massaggi. Solo che con lui c'è l'amico Giampi e ci sono molte ragazze.

Alcune sono arrivate da Milano, altre invece, dopo aver rischiato di perdersi nelle campagne della regione più verde d'Italia, sono giunte in auto assieme a Tarantini. Tra loro, stando a quanto è stato riferito a 'L'espresso', c'è Barbara Guerra, un'ex valletta Rai, già sentita a Potenza, nel 2006, dal pm Henry John Woodcock, nell'indagine che porterà all'arresto di Fabrizio Corona, il fotografo tra l'altro accusato di averla fatta prostituire, a Roma e Vicenza, con due uomini d'affari.

"Non ho capito? State scrivendo un articolo su dove vado in vacanza? Non intendo parlarne e non mi cerchi mai più", taglia corto ora Barbara. Così non si ha nemmeno il tempo di chiederle come mai Canale 5, nell'inverno del 2009, le abbia trovato un posto nel reality 'La Fattoria', tirandosi addosso, com'era prevedibile, più di una critica, visti i suoi rapporti con Corona. Altrettanto sbrigativa, il giorno dopo, è Licia Nunez, al secolo Licia Del Curatolo, attrice, amica di Giampi e nata a Barletta, a 60 chilometri da Bari. Dopo le prime domande, attacca il telefono, "Sono di corsa, non posso parlare. Non so nulla in merito". A quel punto si rifà viva con 'L'espresso' Barbara Guerra. Vuole dire che non conosce né Licia, né Giampi e che lei in Umbria non c'è mai stata. Così il mistero sui weekend del Cavaliere riprende quota. Come sempre.

(09 luglio 2009)