13 luglio 2009

Parlamento pulito! Chi governa abbia una cultura di onestà!

IL COMMENTO

Il dovere della chiarezza

di STEFANO RODOTÀ

Archiviato il G8, con un indubbio successo personale del presidente del Consiglio, dovranno pure essere archiviate tutte le vicende che, negli ultimi turbinosi tempi, hanno riguardato la sua figura pubblica? Può un nuovo corso politico cominciare all'insegna di una omissione?

Non è un accanimento ingiustificato a sollecitare queste domande, ma proprio la necessità di avere una vita politica davvero limpida. Peraltro, era stato lo stesso Silvio Berlusconi a annunciare una svolta sul piano dei comportamenti. Un proposito limitato ai giorni aquilani o destinato a produrre qualche frutto anche in futuro? Il premier ha un'opportunità. Andare in un luogo che non ama, ma centrale per le istituzioni come il Parlamento, e rispondere alle domande che gli sono state poste.

Ricordava ieri Eugenio Scalfari che la maggiore sobrietà mostrata da Berlusconi durante il G8 può darsi che sia stata determinata anche dalla chiarezza con la quale una parte del sistema dell'informazione ha criticato il suo modo d'impersonare la più alta responsabilità politica del Paese, con echi globali che certamente non hanno giovato né alla sua credibilità, né a quello che enfaticamente si chiama il buon nome dell'Italia. E' così emersa, inaspettatamente, la forza d'una opinione pubblica che si pensava ormai indifferente o addirittura dissolta, incapace di avere reazioni politicamente significative. Gli effetti si sono visti in occasione delle elezioni europee, nelle parole taglienti del segretario della conferenza episcopale italiana. Proprio questa risvegliata opinione pubblica, questo mondo che non ha dimenticato i doveri della moralità pubblica, sono ancora in credito. I buoni propositi sono sempre importanti, ma la loro fondatezza si deve subito misurare dal modo in cui si dimostra consapevolezza piena della responsabilità degli uomini pubblici nei confronti dei cittadini, di tutti i cittadini.

E' giusto non alzare inutilmente i toni, ma questo non può significare dimenticare frettolosamente quel che è avvenuto e che, per altri versi, continua a essere oggetto di accertamenti giudiziari e inchieste giudiziarie. Se si scegliesse questa strada e non si continuasse a chiedere con voce sommessa ma chiara la verità, il già debole tessuto civile sarebbe ulteriormente logorato. Sono state proprio le troppe compiacenze e assoluzioni a buon mercato dei potenti a dare una spinta decisiva all'antipolitica, a creare un clima politico che ha spalancato le porte a una ricerca del consenso che fa leva più sui vizi che sulle virtù repubblicane. Illegalità sempre blandita, razzismo sempre meno strisciante, frequentazioni a dir poco disinvolte hanno legittimato una clima diffuso che costituisce un brodo di coltura che certo non fa bene alla democrazia.

Qui è il punto. La vicenda delle frequentazioni di Berlusconi, che nessun criterio consente di confinare nel privato, dev'essere chiarita per evitare che, per l'ennesima volta, la resistenza passiva dei politici, il loro "ha dda passà 'a nuttata" o "chinati juncu che passa la china", alla fine trionfino, non solo garantendo impunità, ma dando un pessimo esempio sociale. Non si tratta di andare alla ricerca di responsabilità penali, ma di rimettere in onore la responsabilità politica, praticamente cancellata in questi anni. E' una impresa impegnativa, perché il fronte della responsabilità politica deve essere presidiato da molti soggetti. Quanta parte del sistema dell'informazione ha fatto il suo dovere? Quanta parte del ceto politico non vede l'ora di chiudere la "parentesi moralistica" per tornare agli usati costumi? Se attingiamo alla cultura pop, ci imbattiamo in Caterina Caselli: "La verità ti fa male, lo so... Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu". Probabilmente queste sono oggi le fonti, consapevoli o no, alle quali ci si ispira in un momento che esigerebbe meno leggerezza e maggiore consapevolezza di che cosa voglia dire far politica in un sistema democratico. Non suggerisco altre canzoni o altre letture. Richiamo il senso della verità in politica, che è componente essenziale della legittimazione stessa delle istituzioni, e che non può essere accantonato con una mossa cinica o di malinteso realismo politico (che, peraltro, non ha finora dato alcun profitto alle opposizioni).

L'obbligo di verità da parte delle istituzioni diviene diritto d'informazione sul versante dei cittadini. Nell'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Onu si afferma che "ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".
Questo diritto individuale alla ricerca della verità attraverso le informazioni chiarisce bene quale sia il significato della verità nelle società democratiche, che si presenta come il risultato di un processo aperto di conoscenza, che lo allontana radicalmente da quella produzione di verità ufficiali tipica dell'assolutismo politico, che vuole proprio escludere la discussione, il confronto, l'espressione di opinioni divergenti, le posizioni minoritarie. Proprio questa ovvia considerazione ci dice che la partita in corso intorno alle mille verità, contraddizioni, reticenze, bugie sulla vicenda personale del presidente del Consiglio deve concludersi in modo da evitare ogni inquinamento del sistema democratico. Aspettiamo pazienti. Ma della pazienza si può abusare, come si disse per quel Catilina citato a sproposito nei paraggi berlusconiani. Perché l'abuso non si consolidi, e diventi regola, bisogna non stancarsi di insistere.


(13 luglio 2009)

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da L'ESPRESSO
I misteri della Berlusconi Bank
di Paolo Biondani e Vittorio Malagutti


Una nuova inchiesta per riciclaggio penetra nei segreti della Banca Arner. Dove ci sono i conti della famiglia Berlusconi e dei suoi uomini di fiducia. E dove si intrecciano storie di fondi neri

Chi c'è stato racconta che gli uffici milanesi della Banca Arner sfoggiano un lusso inconsueto anche per una griffe della finanza elvetica. Ma i militari delle Fiamme Gialle che giovedì 11 giugno hanno perquisito il palazzotto di Corso Venezia, in una delle zone più esclusive della città, non hanno avuto molto tempo per ammirare marmi, stucchi, boiseries e arredi di gran pregio. Su ordine della Procura di Milano, il drappello di militari andava a caccia di documenti utili per un'indagine a dir poco delicata.

Un'indagine per riciclaggio che solleva dubbi e sospetti pesantissimi sull'attività della filiale italiana di Arner. Nel mirino ci sono giochi di sponda milionari con i paradisi fiscali. Almeno una decina di conti e società off shore di cui, secondo i rilievi degli ispettori della Banca d'Italia, non sarebbe possibile individuare il reale beneficiario. È un terreno minato per definizione, ma la vicenda rischia di trasformarsi in un caso politico. Perché la Arner da circa 15 anni è la banca di famiglia di Silvio Berlusconi. È l'approdo sicuro di innumerevoli operazioni fiduciarie. La cassaforte in cui viene amministrata una parte del patrimonio dell'uomo più ricco e potente d'Italia.

Non sembra un caso, allora, che il conto di gestione intestato a Berlusconi sia identificato con il numero uno. Ovvero il primo e forse il più importante tra tutti quelli aperti nella sede milanese dell'istituto con base a Lugano. Ma il premier, a quanto pare, ha fatto scuola. E così nei documenti interni della banca spuntano i nomi di alcuni degli amici più stretti di Berlusconi, gente di assoluta fiducia, custodi di molti dei segreti del regno di Arcore. Per esempio Ennio Doris, fondatore del gruppo Mediolanum. La famiglia dell'avvocato Cesare Previti, condannato in via definitiva per i casi Imi-Sir e lodo Mondadori. Il fiscalista Salvatore Sciascia, un veterano di casa Fininvest, uno che ha tirato le fila di innumerevoli affari berlusconiani. Presso lo stesso indirizzo milanese hanno parcheggiato alcune decine di milioni di euro anche tre delle finanziarie di famiglia del presidente del Consiglio. Per la precisione le Holding Italiana seconda, ottava e quinta, amministrate dai suoi figli Marina e Piersilvio.

Un legame tanto stretto con l'universo berlusconiano è il frutto di rapporti consolidati nel tempo. La Arner, 250 dipendenti, sede centrale a Lugano proprio sul lungolago, offre riservatezza assoluta e rifugi esentasse. Il repertorio della casa comprende fondi d'investimento alle Bahamas e società lussemburghesi. Di recente è stato inaugurato anche un ufficio a Dubai, l'ultimo grido in fatto di paradisi fiscali e societari. Insomma, le specialità sono quelle classiche delle piccole banche svizzere nate come funghi a Lugano per intercettare i capitali in fuga dal fisco italiano. Niente di straordinario, se non fosse che la storia di questo istituto corre parallela a quella della Fininvest e si incrocia fatalmente con le inchieste giudiziarie che hanno messo a nudo il versante off shore dell'impero di Berlusconi.

L'uomo chiave è Paolo Del Bue, classe 1951, figlio di un alto dirigente del gruppo Eni. Romano di nascita, ma svizzero di adozione, Del Bue è uno dei fondatori della Arner di Lugano, prima come semplice finanziaria e, poi dal 1994, banca a tutti gli effetti. Da principio, i suoi compagni di avventura sono Nicola Bravetti, Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borelli. Del Bue però vive di luce propria.

La conferma arriva da un documento recente: la sentenza di primo grado che nel 2009 ha condannato l'avvocato inglese David Mills con l'accusa di essersi fatto corrompere da Berlusconi per testimoniare il falso nei processi in cui era imputato l'attuale premier. Nella motivazione il tribunale spiega che Mills si fece pagare per nascondere ai giudici italiani che due grosse casseforti off shore, chiamate Century One e Universal One, facevano capo non ai manager Fininvest, ma "direttamente a Silvio Berlusconi".

A gestire i conti esteri di quelle due società così delicate era proprio Del Bue. Grazie ai "poteri di firma" da lui ottenuti il 21 e 28 giugno 1991, Del Bue ritira "sempre in contanti", nei successivi tre anni, ben "72 miliardi di lire dal conto svizzero di Century One e altri 32 da quello di Universal One". L'entità dei prelievi, secondo i giudici del caso Mills, "è assolutamente indicativa dello strettissimo rapporto di fiducia" tra Berlusconi e Del Bue, che non si limita a fare il banchiere, ma agisce come un tesoriere occulto del presidente del Consiglio italiano.

Link: i conti Berlusconi (grafico)

Imputato di riciclaggio nello stesso processo sui diritti tv, che ora è sospeso grazie al lodo Alfano, Del Bue si è rifiutato di rispondere alle domande dei giudici. E il suo silenzio continua a proteggere molti altri segreti. Secondo l'accusa, per nascondere i fondi neri di Berlusconi, il banchiere della Arner si sarebbe trasformato in una specie di 007. Nell'aprile 1996, mentre la polizia inglese perquisisce per la prima volta Mills, scoprendo le finanziarie off shore del sistema All Iberian, Del Bue si presenta nello studio dell'avvocato inglese e si fa consegnare tre faldoni di carte: guarda caso, quelle che riguardano Century One e Universal One. Per questo ora il banchiere svizzero è accusato anche di aver fatto sparire quei documenti così compromettenti per Berlusconi. Subito dopo averli ritirati, Del Bue ha un incontro riservatissimo, a Londra, con Mills e con un avvocato italiano della Fininvest: Giovanni Acampora. Lo stesso legale che ha poi subito due condanne definitive, insieme a Previti, per aver corrotto il giudice Vittorio Metta. Ma cosa c'entra Acampora con l'uomo della Arner? E perché Mills, appena perquisito, deve incontrare proprio quel corruttore italiano insieme al banchiere svizzero che ha fatto sparire le carte su Berlusconi? Anche a queste domande Del Bue non ha dato alcuna risposta.

Di certo, però, si può dire che l'intera storia della Arner è strettamente intrecciata agli affari più segreti della galassia Fininvest. Da questa piccola banca svizzera, per cominciare, passa l'operazione che porterà i pm milanesi del pool Mani pulite a scoprire, a partire dalla prima rogatoria del maggio 1994, un enorme serbatoio di fondi neri del gruppo Fininvest: circa un miliardo di euro, nascosti da una fittissima rete di società off shore. La principale si chiama All Iberian ed è servita, tra l'altro, a finanziare segretamente il Psi di Craxi (tangenti per 21 miliardi di lire solo tra il '90 e il '92) e a fornire all'avvocato Cesare Previti i soldi per comprare i giudici romani corrotti (in particolare nel caso Mondadori). Per tutta l'inchiesta Mani pulite, però, i magistrati ignoravano l'esistenza di questa 'tesoreria occulta'. Il primo a parlarne, per quanto di sua conoscenza, è stato l'ex presidente del Torino, Gianmauro Borsano. È il 1994. Berlusconi guida il suo primo governo. Inquisito per bancarotta, Borsano rivela di aver incassato 10 miliardi di lire in nero per vendere al Milan il calciatore Gianluigi Lentini. I soldi gli erano arrivati dalla società panamense New Amsterdam, che è amministrata fiduciariamente proprio dalla Arner. Partendo dalla New Amsterdam, le inchieste giudiziarie milanesi hanno ricostruito il sistema off shore della 'Fininvest parallela'.

Berlusconi, a suo tempo imputato di falso in bilancio per questi fatti, ha evitato la condanna grazie ai nuovi termini di prescrizione introdotti dalla legge varata in Parlamento dalla sua maggioranza. La Banca Arner invece, tirata in ballo a più riprese nelle indagini italiane, ha varato un riassetto in consiglio. Paolo Del Bue lascia la carica di amministratore nel 2005, ma non è chiaro se, come pare probabile, rimane ancora tra i soci di riferimento dell'istituto. Due anni dopo, anche su pressione delle autorità di vigilanza svizzere, la banca nomina un nuovo presidente di garanzia, il revisore di bilancio Adriano Vassalli.

Fine della storia? Arner torna nei ranghi? Pare di no, perché il terremoto continua. E la crisi finanziaria, per una volta, non c'entra nulla. A maggio del 2008 è finito agli arresti Nicola Bravetti, direttore e socio fondatore della Arner, nonché presidente della filiale italiana fino al 2007. La Procura antimafia di Palermo lo accusa di intestazione fittizia di beni per aver aiutato l'imprenditore siciliano Francesco Zummo a far sparire alle Bahamas 13 milioni di euro. Zummo, già condannato per associazione mafiosa, stava cercando di nascondere questa somma a un sequestro della magistratura. I pm siciliani sono riusciti, caso rarissimo, a ottenere assistenza giudiziaria dal paradiso fiscale caraibico: le Bahamas hanno sequestrato i 13 milioni e spedito a Palermo l'intera documentazione.
La Arner difende Bravetti: in un comunicato, la banca sottolinea che Zummo, dopo la condanna in primo grado a cinque anni, è stato assolto in appello nell'aprile scorso. E se cade il reato a monte, secondo la difesa, scompare anche il riciclaggio. L'accusa però ribatte che qui il reato è diverso: l'intestazione fittizia è vietata anche se in un momento successivo i giudici escludono il reato principale. Sulla questione specifica deciderà il tribunale. Ma intanto il caso Zummo-Bravetti ha acceso la miccia di una bomba giudiziaria che è esplosa in questi giorni con il nuovo commissariamento disposto dalla Banca d'Italia, la perquisizione e l'inchiesta per riciclaggio. Nel mirino, ancora una volta, i segreti della banca preferita di Berlusconi.

(09 luglio 2009)

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