14 luglio 2008

“Felicità è vera soltanto se condivisa”

«Non dovremmo negare […] che l’essere nomade ci ha sempre riempiti di gioia.
Nella nostra mente è associato alla fuga da storia, oppressione, legge e noiose coercizioni, alla libertà assoluta, e la strada ha sempre portato a Ovest.»
Wallace Stegner


Mia madre racconta che quando ero piccola piangevo ogni notte, ed era mio padre che si alzava per cullarmi, per lei era impossibile decurtare il sonno. Come d’incanto, poi, quando nacque mio fratello smisi di piangere e iniziai a dormire.
Avevo tre anni quando mio fratello venne alla luce.
Non ho memoria del mio pianto, ma ricordo che vedevo ombre che s’allungavano sulle pareti e m’incutevano paura.
Quando nacque mio fratello ero eccitata per la novità, e seppure non potevo esserne cosciente, la gioia sconosciuta nel profondo era quella di non essere più sola. Ho un’immagine ben nitida, nonostante avessi solo 3 anni, l’immagine di quando di soppiatto mi fecero entrare in clinica, luogo del parto, e di quando mi nascosero dietro ad un paravento per non farmi scoprire dal medico in visita nella stanza. Silenziosa e acquattata, da lì sbirciavo tra gli spazi aperti della stoffa plissetata, curiosa d’ogni movimento. L’emozione per la novità della nascita persisteva, mi sentivo elettrizzata per l’evento e per l’altrui euforia che percepivo sulla mia pelle e con naturalezza condividevo d’infantile spontaneità.
Ricordo che temevano che come primogenita fossi gelosa, mentre io ero felice. E se qualcuno ora me ne chiedesse il motivo, non saprei rispondere con le parole e le emozioni di quella bambina. Posso rispondere solo attraverso la conoscenza che ho maturato di me stessa.
Ero felice perché condividere è nella mia natura. È essenziale.
Il mio pianto notturno che improvvisamente cessò, anche se mia madre ne parla come fatto misterioso, ha il senso profondo della mia peculiare sensibilità.
Con mio fratello giocai volentieri e contenta finchè non iniziai a sentire che la sua presenza mi veniva imposta e che avevo l’obbligo -come sorella maggiore- d’occuparmene. Il disturbo per tale imposizione, che ebbe l’effetto di forgiare nel mio fratellino un carattere prepotente, finì per trasfomare la mia disposizione e il nostro stesso rapporto.


Ho pubblicato il post precedente definendolo solo una premessa.
«Felicità è vera soltanto se condivisa»

Quelle parole furono appuntate da Christopher McCandless su di un libro dopo la sua fuga dal mondo attuale, deformato dalla malattia di possedere, dalla corsa al benessere e al consumismo, da relazioni malate perché basate su dinamiche di conflitti e competizioni piuttosto che di coraggio affettivo; furono appuntate con le poche forze rimastegli a causa della denutrizione forzata, e nel momento di massima amarezza per aver compreso che il suo isolamento lo stava conducendo alla morte, non all’elevazione spirituale che lui aveva cercato attraverso il suo estremismo.

«Da due anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente biliardo, niente animali, niente sigarette. Il massimo della libertà. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. Scappato da Atlanta. Mai dovrai fare ritorno, perché the west is the best. E adesso, dopo due anni a zonzo, arriva la grande avventura finale. La battaglia climatica per uccidere l’essere falso dentro di lui e concludere vittoriosamente il pellegrinaggio spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop lo hanno portato fino al grande bianco del Nord. Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina sulla terra per smarrirsi nella foresta.»
Alexander Supertramp maggio 1992

Christopher, 21enne nel ‘90, laureato a pieni voti, fugge da tutto: regala i suoi soldi, abbandona l’auto, cambia identità per non farsi trovare, si dà nome Alexander Supertramp. Viaggia per due anni lungo l’America, fino a realizzare il suo sogno. Vivere di niente e di natura nelle terre selvagge dell’Alaska.

Una storia vera, quanto gli appunti di Chris durante i suoi due anni di vagabondaggio e i mesi di permamenza nelle foreste dell’Alaska. Una storia che fa male ma che apre a molte riflessioni, e che ha evocato in me una parte che esistite, anche se non prepotente e selvaggia quanto quella di Chris.

«…C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso...
... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un'esistenza non convenzionale...»
Stralcio d’una lettera di Chris diretta a una persona conosciuta durante il suo vagabondare.

«Non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso...»
Per il mio desiderio di libertà, di vita, di scoperte sempre nuove, questa è una verità. Un motto. Eppure non riuscirei a iniziare un’avventura da sola, necessito della condivisione.
Condividere tramonti, idee, sogni, e nuove tappe, condividere poesie della natura, sorrisi o silenzio.
Per condividere non occorre necessariamente essere stanziali, ovvero costruire famiglia, case, accumulare beni, avere un lavoro fisso…
E soprattutto: come si può basare la propria felicità unicamente sul proprio orticello tirato a lucido? Siamo veramente felici dopo aver raggiunto dei traguardi non condivisibili?

Le idee si susseguono, e questo post si riempie di pensieri che si muovono come nuvole, addensandosi per poi andare ciascuna per la sua strada sospinta dai venti.
Panta rei. Tutto scorre.



Ora in Italia condividiamo un grande disagio. Parlare di tramonti e sorrisi, di poesie e cambiamenti, d’un sole sempre diverso, e di riflessioni sulla felicità sembra un argomentare astratto, quasi da struzzi alieni della realtà che circonda.
Ho vissuto mesi difficili a causa di gravità condominiali. Situazione che non ha ancora visto esito. Improvvisamente mi salta agli occhi il parallelo tra il Condominio, microcosmo della società in cui la nostra vita respira, si muove, mangia, dorme, lavora, e l’Italia. Il nostro paese, il microcosmo del pianeta Terra.

Da giorni penso al post da scrivere.
Ieri ho vagato su qualche blog. Da Assu ho scoperto una lettera per Morgan. Da Morgan una lettera per Laura.
Leggendo della risoluzione di Morgan, delle sue difficoltà per vivere a Roma, ho pensato: “ma allora non accade solo a me!”
(stralcio del post di Morgan) «[…] Vedi, senza tanti giri di parole, quelle 400 o 500 euro al mese in più ti cambiano la vita, dall’andare al cinema […] dal fare un piccolo regalo ad un amico all’acquistare un libro voluminoso che osservi nelle librerie da mesi. E non mi metto neppure a raccontarti se lo scooter si rompe […] o al dente che ti fa male e devi recarti dal dentista. Per fortuna “risparmi” con un enorme fatica quelle trecento euro e te le spari tutte in un viaggio di quattro giorni, come è ovvio low cost dall’aereo all’ostello, tanto la carie può aspettare, altrimenti vai in depressione se non stacchi la spina.
I conti sono semplici: fra affitto di una stanza e bollette partono di certo 350-400 euro al mese, devi anche mangiare e acquistare i prodotti per le pulizie della casa ad esempio, 150-200 euro volano con grande facilità, paga la benzina o l’abbonamento ai tram, prendi una pizza e una bottiglia di vino per una cena fra amici e tutto diventa più chiaro. Ogni mese 550-600 euro al mese sono dilapidati e sono stato ottimista o comunque considerando una persona al minimo delle spese. Lavori per guadagnare meno di 1000 euro al mese o giù di lì […], da quella ingente somma devi fare uscire il vestiario (di bassa qualità evidentemente), […] uno sfizio al supermercato e non al discount, un libro, una ricarica al telefono cellulare e poco altro. Senza imprevisti, ovviamente, altrimenti è un dramma.
Risparmio zero, desiderio di progettare devastato alla fonte.»

Ecco, condivido! Condivido ogni singola parola e difficoltà espressa. Non ho trent’anni come Morgan, né un lavoro precario, eppure mi servo dal discount per la spesa da quando la moneta corrente era ancora la Lira; non viaggio, non compro neppure vestiario (neanche quello a basso costo)! E sono anni che procedo a base di finanziamenti con restituzioni rateizzate.
«Risparmio zero, desiderio di progettare devastato alla fonte». Si possono fare pogetti in un paese che è precario dalle sue radici politiche ai suoi debiti internazionali?

Sono adulta e le responsabilità non si contano, seppure ogni tanto ho bisogno di dimenticarle... Non posso fuggire, eppure lo farei molto volentieri.
Fuggirei dalla situazione del mio Condominio, dal mio posto di lavoro, e non dall’Italia che è meravigliosa, ma da questo Governo che ci sta massacrando come l’amministratrice sbagliata nel mio condominio.


Post-Macedonia.
L’8 luglio non ero al “No Cav Day” a piazza Navona, perché avevo staccato la spina a mio modo per prendermi una giornata di vacanza in bici per Roma (fino alla galleria Nazionale d’arte Moderna alla mostra di Schifano).
Ora ho recuperato i vari YouTube con il discorso di Sabina Guzzanti, di cui si fa un gran parlare.
Caspita! Violenta?
No! ci voleva! Ma si può continuare con Vizi Privati e Pubbliche Virtù? Finchè le cose non vengono pronunciate da un palco, in una pubblica piazza, da una singola persona –il cantastorie di turno- circolano comunque, e di battute, sarcasmo, e grevità ne scorrono a fiumi. Ma quando sono urlate e in argomentazioni che possono formare un quadro sintetico della situazione, come accade con quei giochini della Settimana Enigmistica in cui bisogna congiungere vari puntini formando il disegno, allora sono violente?
Nel momento in cui ho sentito pronunciare determinate cose sono rimasta stupita dal coraggio, mentre simultaneamente sorridevo divertita. Ma la risata non era per la satira. Quale satira? Godevo della verità finalmente dichiarata, realtà quotidiana taciuta, di come vanno le cose fra uomini e donne. E per la forza d’urto di quelle parole. Quando ho riascoltato una seconda volta mi sono accorta, guardando le immagini sulla folla, che gli uomini restavano seri, ma le donne, con volti divertiti e illuminati, ridevano!
(Citazione da "Krejcerova Sonata" di Tolstoj: «La schiavitù della donna consiste soltanto in ciò che gli uomini desiderano e credono onesto usare di lei come istrumento di piacere»)


Estratto da "Viaggio nel Silenzio/Chiare Lettere Blog", di Vania Lucia Gaito:
«La volgarità (ma si tratta davvero di volgarità?) di quella piazza era probabilmente non casuale, ma voluta. Serviva ad attirare l'attenzione, in un Paese come il nostro, vittima delle tecniche di comunicazione (si è sempre vittima di quello che non si conosce e non si sa utilizzare) usate da pochi per strumentalizzare i molti. Quella volgarità aveva la stessa valenza di uno schiaffo durante una crisi isterica: era terapeutica. Serviva a risvegliare una coscienza in coma.»
E ancora:
«Essere “pesante”, usando quelle parole “volgari” che poi tutti usano nella quotidianità fingendo di scandalizzarsi pubblicamente (scagli la prima pietra il fariseo che non ha mai urlato, detto o sussurrato un vaffanculo), è strumentale. E' l'unico modo per risvegliare l'interesse in questo ipocrita Paese. L'unico modo perchè il riflettore dei media si puntasse sugli avvenimenti di piazza Navona era proprio quello di “estremizzare” la forma. Così il comune cittadino, che normalmente usa internet per chattare e collegarsi ai siti hot (ma rigorosamente in privato, scandalizzandosi in pubblico per una parolaccia), informato dai giornali e dai TG delle volgarità in piazza, una volta tanto lo usa anche per informarsi. Perchè è inutile negarlo, la curiosità la vince. Cosa avrà detto la Guzzanti di così terribile? Vediamo, vediamo se lo trovo su youtube...»

Infatti, per me è andata proprio così.
E condivido. Condivido il modus di Sabina Guzzanti.

Condivido l’esasperazione.

Condivido la preoccupazione del vivere attuale e d’un futuro che mi dà ansia.

I parlamentari sono diventati la nobiltà da noi mantenuta. Da noi, popolino italiano, che non abbiamo più monete per arrivare alla fine del mese, che ci arrabbattiamo nel sopravvivere, tirando la cinghia ogni mese ed anno che passa, dallo scandalo di Tangentopoli che ha fatto saltare i castelli di carte, ad oggi, in cui la nostra Polis è un intreccio d’interessi e d’affari sporchi alla luce del sole.

Come ha detto Sabina Guzzanti:
“La rivoluzione non si fa al Centro Commerciale”.

(Citazione da Tolstoj: “Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttar via tutto, e di nuovo ricominciare a lottare e perdere eternamente. La calma è una vigliaccheria dell'anima”)

Anche la Rivoluzione è da condividere.

Concludo tornando da dove sono partita.
Le parole di Tolstoj che fecero decidere a Chris di lasciare il suo isolamento erano sul libro “La felicità familiare”:
«Soltanto ora capivo perché egli diceva che la vera felicità sta solo nel vivere per gli altri. […]»

Sul libro “Il Dottor Zivago”, accanto a «Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si immerge nella vita senza lasciar segno, è vera vita, che la felicità isolata non è vera felicità. […] Era questo che amareggiava più di ogni altra cosa», Chris scrisse:
“Felicità è vera soltanto se condivisa”.