30 giugno 2007

- - Le porte aperte //\\ Le porte chiuse - -


«L’amicizia non esiste!», intimoriva mia madre.
Adolescente, aveva scoperto che l'interesse di un’amichetta per lei, esisteva in realtà perché abitava accanto ad un ragazzino che piaceva all’ipotetica amica.

La guardavo in silenzio, mentre mi raccontava con espressione amara un ricordo così scolpito d’aver condannato qualsiasi realtà seguente.
A sua differenza, e non saprei come, ho sempre creduto al pulsare dell’amicizia, al valore contenuto nei legami che si formano lungo la via.
Perciò lei mi biasimava. Perciò mi ha sempre definito una sognatrice.
L’eterna bambina che vive nel mondo delle nuvole, che corre appresso all’amore e ai rapporti con le amiche.

Non è stato facile continuare a crederci. Di risposte gusto fiele ne ho ingoiate in gran quantità, e molto più gravi di ciò che era accaduto a mia madre.
Eppure se non sperassi nell’amicizia, nei rapporti umani, negli affetti, nei sentimenti, se non lasciassi aperta questa porta sul mondo, non avrei -fra le tante cose- mai attivato un account per un blog, e probabilmente trascinerei me stessa senza obbiettivi, depressa e sfiduciata.
A volte mi capita. Sì, mi capita di arrotolarmi come un riccio su me stessa, di desiderare di sparire nel nulla, quasi mi sentissi invisibile e quindi volessi aderire all’invisibilità che mi pervade.

Ecco, sto scrivendo.
Volevo buttare giù un racconto, invece compongo parole da diario.
La porta è aperta, da qui sono entrate e uscite amiche. Persone importanti, persone che hanno lasciato segni, positivi ma anche amari.
Momenti di condivisione che hanno tracciato passi di esistenza, a volte fermati dalle foto che rendono indelebili ricordi sbiadenti, anzi, che danno corpo a quei passi e li sostengono, come documenti storici di vita vissuta.
Io sono stata lei, e poi quell’altra lei. Sono stata anche lui, e poi quell’altro lui.

Rammento le parole che mi sono state dette.
Restano scolpiti i momenti di scambio.
Fatti storici intrecciati fra di loro. Io e lei siamo state
quel momento. E quel momento ha gemmato altro ancora nella vita di qualcuno a noi collegato.
E nella prospettiva d'un tempo che in parte è trascorso, ciascuno può guardarsi indietro e sapere che dentro di sé ci sono quelle persone, legami che restano, alcuni più profondi, alcuni più superficiali.
Allora sai che se tu sei questa di oggi, dipende anche da ciò che è accaduto nel percorso, nell'intreccio.

Se non ci fosse stato tutto ciò, adesso sarei molto povera.
Invece sono come un prisma di cristallo dalle mille sfaccettature, ricca dei colori assorbiti e scambiati lungo la strada.

Sentimenti di affetto, emozioni, batticuore. Perché l’amicizia dà anche il batticuore.

Molti anni fa, tra i vari motivi d’un viaggio a Londra, ce n’era uno affatto secondario: incontrare un’amica a me carissima. Non la trovai al mio arrivo.
Lei giunse dopo una settimana senza neppure sapere che ero lì.
La contattai per telefono da una cabina.
Grida di emozione:
«Dove sei? Quando sei arrivata? Cosa è successo?»

Appuntamento alla fermata del Tube su
Seven Sisters Road. Come ci scorgemmo da lontano ci fu una corsa e un abbraccio d’incastro a perdifiato, carico d'eventi accaduti durante l’assenza, di ritrovamento, di gioia, della felicità di quel momento.

Le persone entrano ed escono dalla vita. Transitano.
Sarebbe bello che qualcuno rimanesse. Pilastro fermo a confronto del tempo che scorre, affetto che comunque resta nonostante evoluzioni e cambiamenti, nonostante le burrasche, nonostante gli eventi che nessuno può fermare…

Se avessi seguito l’insegnamento di mia madre tante emozioni non le avrei conosciute.
Avrei condiviso metà della metà di ciò che ho vissuto, ma è nel condividere il gusto.
Condividere assume la valenza d'uno scatto fotografico. Fissa.

Se avessi ascoltato mia madre, mi sarei sentita una stupida e una perdente a seguito delle risposte ricevute, deludenti, d’assenza, d’abbandono.

Sono una brava giardiniera delle amicizie.
Le coltivo come piantine da far crescere, credo al loro sviluppo entro cui scorre verde linfa. Do acqua, parole, nutrimento, sono presente, do affetto, cerco strade da fondare insieme, abbatto limiti, creo possibilità.
Poi un giorno mi accorgo che sono sempre lì a nutrire, e mi chiedo:
«Ma se io mi fermassi? L’altro nutrirebbe?»
Vedo così che arrestando la mia attività c’è la stasi.
Inevitabilmente si innesca una sorta di delega passiva:
«Ci pensa lei… Di solito è lei che chiama, che propone…»
Reminiscenze dell’infanzia. Quando è la mamma che fa tutto e noi ormai ci aspettiamo che perpetui nel farlo, senza desideri propri, senza responsabilità interiore.
Adulti ci s’affida comunque a
una mamma, il distratto sguardo si posa altrove, tanto c’è chi si preoccupa d’apparecchiare.

Ho forse indossato la tunica da vestale?
A lungo andare finisco col chiedermi:
«Ma questa amicizia esiste perché è importante per entrambe, oppure solo perché sembra che a tenerci sia io?»
Prevale allora la natura di riccio, m'avvolgo d’invisibile, e nell’invisibile si lascia che io resti.

Rimetto lo zaino in spalla, riprendo il cammino alla ricerca d'altri legami con cui emozionarmi, giocare, inventare, ridere.
A differenza di mia madre so che l’amicizia non può essere sempre tradimento. Perciò continuo a cercare e sperare che prima o poi con qualcuno si creerà un rapporto paritario.


Poi accadde.

In un post d’ottobre scrissi sul blog:

«E quando l'essere bambino si coltiva nell'anima,
invece di cacciarlo nelle cantine più sotterranee,
allora la vita è ancora più eterna!»

Passò di lì Lucia, lasciando (che caso! su quel post...) per la prima volta un commento da me:
«Il bambino in fondo all'anima spinge per risalire e prendere aria nuova. Credo che la vita eterna sia possibile solo se ogni tanto lo facciamo respirare.»

Passò di lì anche un amichetto che prese a prestito il verbo di Lucia:
«Sono d’accordo con Lucia...respirare...inspirare e respirare...» ...
Ma proseguì con parole dure, prepotenti, utilizzando l’incipit di Lucia per dare un la alla sua personale versione.

Quel giorno dalla porta qualcuno di nuovo entrò, e qualcun’altro ne uscì.
Uno scambio.
Entrò Lucia! Con lei si sono susseguite le coincidenze d’un destino burlone, ed è nata un’amicizia.

Lucia è venuta da me a Roma, scrivendo poi un post in cui vengo nominata
“la bambina di Trastevere”.
Cinque giorni trascorsi, dal mattino fino a notte fonda, come due liceali. La casa uguale a quella di studentesse, senza orari, con tazze d’orzo vaganti, e computer accesi che facevamo risuonare di nostre eco fanciulle:
«Ah, guarda qui!»
«Oh, senti qua!»

Scatti fotografici a raffica nelle nostre scorribande romane, ed è riuscita ad immortalarci belle.
Belle come la nostra amicizia nata attraverso un blog!

Giungiamo una mattina alla spiaggia di Capocotta che s'apre dinanzi a noi sgombra e a perdita d'occhio, e mentre lei sta per esprimere una sensazione, m'attraversa un lampo d'immagine che sovrappone l'ampia natura in cui siamo allo schermo del computer.
In quell’attimo Lucia, bambina al colmo dello stupore, esordisce:

«E tutto questo si è materializzato da un blog!».

Scriverò un racconto...
per ridere di ciò di cui noi abbiamo riso.


Punti di vista di danDapit da un lato,
punti di vista di Lucia dall’altro.


«E quando l'essere bambino si coltiva nell'anima, invece di cacciarlo nelle cantine più sotterranee, allora la vita è ancora più eterna!»

27 giugno 2007

Tre Blogger a Ostia


E' un periodo in cui sono abbastanza assente dal Blogger's World, non riesco a girare per i numerosi villaggi lasciando commenti, ma respiro vento d'assenza un po' ovunque!

Sarà l'estate, la voglia d'aria aperta che induce un po' tutti ad allentare la presenza sul web,
però il blog per me resta una bella scoperta nella vita!
...E nel prossimo post racconterò "qualcosa" legato all'aver aperto
il mio Setalend...

Nel frattempo deposito qui una foto,
di tre bloggers...
"quali?",
che si sono incontrati sulla sabbia di Ostia
infilandosi dentro l'obbiettivo d'una macchinetta,
lasciandosi sbiancare da un flash!


(...e mi scuso con gli amici bloggers per la mia latitanza!
Ringraziando comunque tutti della vostra presenza!)



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18 giugno 2007

_______fotografia d'un interno_______


La casa è vuota.
Mi sveglio fra attutiti rumori di strada, poi lontane grida giocose dalla piscina del centro estivo, la casa resta silente. Neppure il calpestìo dei passi sul soffitto, né il parlare dei vicini dalla parete sottile.
E’ estate.
Inconfondibili segni di luce e suoni nell’aria fluttuano liberi dalle finestre aperte. I sensi colgono e traducono il proprio mondo interiore tra frammenti di vita che cercandosi si uniscono uguali a disconnessi ritagli di puzzle, per restituire memoria.
Prende forma la nostalgia.
Richiami di luci, sapori, profumi creano un cocktail di nuovi desideri allacciati al filo d’equilibrista teso tra passato e futuro. Così la mente danza, temeraria artista circense, passeggiando e vacillando in punta di piedi sul cordino, seguendo i propri colori, fra musiche, amori, parole, poesie.


Le prime emozioni non si scordano mai!

Chiuse le scuole, ogni mattina mia madre buttava giù dal letto me e mio fratello; avevo sonno, ma si andava al mare!
Quando, a pochi chilometri dal litorale, l’auto galleggiava per qualche secondo su di un dosso della Cristoforo Colombo, sempre lo stesso, iniziavamo a cantare -inalterato rituale infantile- :
“Siamo arrivati, siamo arrivati, siamo arrivati!”

La prime due ore sulla spiaggia erano una tortura, sotto al sole a giocare senza poterci bagnare, nell’attesa d'aver digerito la colazione.
“Quanto manca?”
“Che ore sono?”
Poi arrivava l'aspirato momento!
E dopo aver sguazzato tra le onde marine, prese rincorse per tuffi e spruzzate, dopo aver inevitabilmente bevuto sorsate inaspettate, quando le dita erano ben bene strinate, ecco che mia madre ingiungeva l’uscita dall’acqua. Quello era l’attimo in cui, a contatto con l’asciutto, si scatenava nel mio stomaco una tromba d’aria, l’abisso! Il vuoto parlava emettendo rumori sinistri di contorsioni a vite, mentre anelavo la merenda.
Sempre la stessa, che adoravo e già pregustavo golosa: panino all’olio farcito di burro e zucchero.
Memoria di sensazioni ed emozioni.

Panino farcito al burro nel 2007?
Burro ormai fuso sotto al sole, appiccicoso di zucchero sciolto? Panino con mollica impregnata di denso sapore burroso impastato a liquefatta melassa zuccherina?
Orrore!
Ma so che per me era delizioso, e non dimentico i granelli dello zucchero rimasti ancora sani che scricchiolavano sotto ai denti come avrebbe fatto la sabbia se fosse stata incollata al burro sciolto di quel panino!
Ricordo il gusto dolce e morbido, morbido come il mio essere bambina.
E la luce di giugno, l’azzurro del cielo, l’odore della salsedine nell’aria e sulla pelle, la mattina tra la sabbia ferrosa e l’acqua bianca e celeste.

L’orario dell’inferno iniziava alla mezza, quando venivamo infilati nell’auto rovente di sole e, conclusa l’avventura marina, tornavamo svuotati d’ogni energia, cotti dal calore della canicola.


La casa è vuota.
Le scuole hanno chiuso i battenti. C’è silenzio attorno, non si sentono neppure i clacson impazziti. Una calma diffusa si allaccia al ripetersi del ciclo, il ritmo d’ogni estate alla fine dell’anno scolastico.

L’adolescenza, i primi amori.
Stessa luce, stessi colori, un fremito interiore.
Tre anni fa, solamente tre anni fa, i sensi sono stati attraversati dai sapori dell'adolescenza, scossi, penetrati dal suo vergine trasporto.
Giugno, inizio estate, principio di libertà.
Il puzzle delle sensazioni si ricompone, restituisce il suo cocktail, l’equilibrista si avventura sul filo, gaio nel sorriso, ogni passo è una gioia, le emozioni felici colmano l’essere.
Lui era emerso dal passato, era un frutto pieno da assaporare, la comune adolescenza si presentava con un inchino, insieme alla passione.
I raggi solari accarezzavano i capelli, lasciavano brillare gli occhi degli incontri dove passato e presente si miscelavano in turbini d’immagini, odori, gusti, memorie. Volti e colori si sovrapponevano, il cuore batteva a ritmo danzante, spensierato! Come tutto fosse caduto all’indietro, eppure qui: nell'incredibile mondo adulto del presente, dove gesti, carezze e dita conoscono sapiente arte.

La casa è vuota.
Con leggerezza mi sposto fra le stanze ora sciolte dalle presenze in vacanza.
Il mio disordine mi porta ad accumulare oggetti senza mai trovare un posto alle cose. Il pavimento si riempie, finisco coll’essere circondata dalla confusione, col sentirmi assediata.
Nel silenzio del vuoto tranquillo ho iniziato il sistemare.
L’inverno caotico di corse, pensieri ed affanni ha aperto la finestra all’estate, allo spazio, al vento.
Mentre liberavo angoli, toglievo polvere, e gettavo inutilità accumulate, non potevo far a meno di ricordare l’ultimo colpo di lama sulla bambina di burro.

Nel mettere a posto si butta via. Si guarda, si valuta, si pondera, e la memoria chiede cosa trattenere. Ed anche se alcune cose le getteresti via volentieri, sai che quelle, come il pane con la sua farcitura ormai fusa, restano incollate, appiccicose, dolci e assolutamente delinquenti.
Scricchiolano sotto ai denti, rumore sinistro, ma non puoi accartocciarle come carta, lettere vecchie, o scatole ormai vuote.

Le brutte notizie arrivano sempre per telefono.
Così sono giunti annunci su persone care che se ne erano andate dalla vita.
Allo stesso modo in primavera s'è recapitata la sgradevole nuova. Per telefono.
Una chiamata dopo mesi di silenzio, poi parole per riannodare gli accadimenti della rottura.
Le brutte notizie così giungono! Per telefono ho saputo che mentre ancora credevo alla nostra passione (quale passione? Quale differenza tra amore fisico e amore emozionale?), lui, agganciato da un’altra, s'era tuffato nel mare delle occasioni da non perdere.

“Mi hai raccontato sempre ciò che ti faceva comodo: sotterfugi, scuse, bugie… in questo tempo di distanza l’ho capito. E magari mi hai anche tradita... Dai, dimmi!”

“Sì. È vero, due estati fa”

La casa è vuota.
Mi muovo bene qui ora. Mi sento libera, come se la vita fosse soltanto mia, almeno per pochi giorni.
Luce, colori, rumori, odori, musiche sollecitano emozioni.

E le prime emozioni non si dimenticano mai!

Eppure c’è chi ha il coraggio di tradirle. Fino in fondo, pugnalando il proprio cuore per primo.
Poi anche l’altro.
Serrato nella convinzione d’aver risposto a domanda:
“È stata lei a chiederlo!”.
“E poi era passato tanto tempo, ci eravamo lasciati…”.

Scricchiola la sabbia sotto ai denti. Quel bambino me ne ha lanciata una manciata in faccia, ne ho la bocca piena anche se sputo…
Eppure lo amavo…

Accidenti se lo amavo!
Ma a lui che importa?
Mi guarda e mi pensa pazza. Me lo aveva detto che di lui non mi dovevo fidare, me lo aveva detto! Sono io che ci ho voluto giocare…

La casa è vuota.
È piacevole muoversi a piedi nudi sul pavimento pulito, e pensare che sgombrando ogni angolo c’è spazio per aria nuova.
Le prime emozioni non si dimenticano mai, anzi, loro solerti attendono dolci stimoli per essere richiamate in emersione…
Con un fresco bagaglio da aggiungere.

Sempre migliore.

10 giugno 2007

Roberto: Side "B" (il seguito per un racconto di Assu)

D'accordo con Assu, ho scritto un immaginario seguito ad un racconto - E.d.S. ---02--- - da lei postato il 2 giugno ne "Il Cassetto delle Idee Libere".

L'idea è nata tra le riflessioni nei commenti.

Per una comprensione integrale riporto prima il racconto di Assu, senza il quale la mia Seconda Parte non avrebbe senso.


"Roberto inspira profondamente e trattiene il più a lungo possibile l’ossigeno dentro i polmoni fino a sentire pulsare le tempie. Poi caccia fuori un lungo respiro nel quale ingabbia tutti i suoi pensieri più recenti. Pensieri che non hanno nulla a che fare con lo scorrere ordinato della sua vita senza troppe pretese, racchiusa nella convinzione che ciò che siamo non dipende da noi ma da un disegno più ampio nel quale capitiamo come attori casuali incapaci di quella perfezione divina che non è concessa a nessun uomo.

Inspira ancora e questa volta tira una profonda boccata di Marlboro. La luna si specchia nel mare. Quante volte aveva sognato una scena così romantica? Quante volte aveva desiderato di poterla condividere con una donna? Ma non lei. Lei non ha nulla a che vedere coi suoi sogni, coi suoi progetti. A quasi quarant’anni, con un passato cancellato con fatica e un disegno preciso per il futuro, senza pretese ma con assiomi definiti dalla natura stessa, Roberto sa che non è lei la donna che lo riscatterà, che gli darà ciò che gli hanno insegnato ad amare: il matrimonio e dei figli.
Lei è un errore, una tentazione alla quale non ha saputo resistere. La sua pelle liscia, la sua corazza caduta e la sua fragilità emersa nel desiderio fisico. Non ha saputo resistere alla sua voglia di essere abbracciata. Non ha saputo resistere al desiderio di lei che sentiva crescere dalle viscere. Espira e s’illude di buttar fuori anche quei pensieri con il fumo che forma una nuvola davanti ai suoi occhi. Pensieri che non avrebbero dovuto essere suoi. E ora come dirle che è tutto iniziato e finito quella stessa notte? Cosa vuole lei? Se lo domanda quasi per dovere. In fondo è già convinto di non poter essere lui a darle ciò che vuole prima ancora di sapere cos’è. Si annida in lui la consapevolezza della precarietà di pensieri che non gli sarebbero appartenuti in contesti più famigliari, nel tentativo di perdonarsi qualcosa per cui, in fondo, si sente orgoglioso come ogni uomo. Scaccia i pensieri di orgoglio e ricerca pensieri più elevati, degni di lui, di quel nuovo lui così difficile da raggiungere, quel lui che ha conquistato con pazienza la fiducia e l’amicizia di lei. Che sarà della loro amicizia? Roberto non può fare a meno di pensarci. Lei si gira nel letto. La luce della luna entra nella stanza e disegna ombre blu sul suo volto. Non è sicuro che stia dormendo davvero, ma se ne sta immobile. Forse ha intuito i suoi pensieri. Forse anche lei si sta domandando cosa succederà domani."


**** Side "B" ****
(by danDapit)


Filtrava una luce livida dalla finestra non completamente oscurata.
Si era addormentata. Doveva essere ormai mattina...
Che strana sensazione svegliarsi lì, sensazione di non appartenenza.
Come aveva fatto ad addormentarsi? Non era da lei! Precipitata nel sonno senza accorgersi…
Sì, ora ricordava. Lui si era alzato per prendere altro vino da sorseggiare nel letto dopo l’amore, e in quella breve assenza era scivolata nell’abbandono notturno.
Restava immobile, sdraiata.
Lui alle sue spalle aveva il respiro regolare e profondo di chi dorme.

Immobile.
Non voleva che si destasse, né voleva che la sapesse sveglia.
Non desiderava di nuovo intimità.
Sarebbe sgusciata fuori dalle lenzuola, si sarebbe rivestita e se ne sarebbe andata. Però no, non poteva.
Era la loro amicizia a non permetterlo. Un'amicizia che fino ad allora li aveva portati a cercarsi con affetto, con desiderio di compagnia, con il sollievo del rifugio… Sempre, fino alla sera prima, quando forse avevano creduto che oltre l’amicizia si potesse creare altro.
Il suo abbraccio, e lei si era stretta a lui istintivamente, come una bimba che trovi riparo.
Era rassicurante potersi adagiare, era dolce il conforto, eppure, guarda cosa può accadere fra un uomo e una donna lasciandosi andare, bluffando con i propri sentimenti ed emozioni! Meccanicamente il semplice bisogno d’affetto si camuffa in attrazione, iniziando cieco a giocare il teatro delle parti.
Si erano baciati. Così s’erano aperti confini oltre i quali non avevano osato.
Stupita, incuriosita, era scivolata nell’accadimento. Aveva poi superato la vetta dello smarrimento iniziando lei a muovere azioni, condotta dal conosciuto.
L'istinto s'ostinava a restare muto.
Aveva atteso che scattasse una scintilla, una fiamma, un fuoco a rapirla… un vento d’oblio a risucchiarla, una calda emozione a trasportarla…
Ma no. Ogni gesto s’era compiuto, fino all’amplesso, fino in fondo, e lei ancora interrogava l’abbandono del suo corpo, i sensi tesi nell’ascolto d’una vibrazione, almeno di quel piacere, almeno quel piacere, quel piacere da prendersi!
No, non c’era riuscita.

Roberto era un amico, colui su cui sapeva di poter contare, ora certa che nessuna alchimia d’eros s'intrecciasse fra loro.

Desiderava una doccia, i suoi vestiti, la sua casa.

Oh, il corpo accanto a lei si stava muovendo, iniziava il risveglio...
Dormire, dormire.
Fingere il sonno.

Lui la guarda, è girata sul fianco, gli dà le spalle. È immobile.
“Ancora dorme...”, e mentre lo pensa emette un respiro quasi sollevato.
Poi un fastidio. Troppo tempo per riflettere ancora!
Allunga una mano verso il pacchetto delle sigarette, si ferma… “No -pensa- meglio non accendere un’altra sigaretta.”
Si alza, nudo va in cucina: “Preparo un caffè, sì, un caffè.”
La macchinetta è sul fuoco, dal bagno afferra un asciugamano e se lo stringe ai fianchi, poi si siede in cucina accendendo una sigaretta.
Aspettando il caffè aspira profondamente trattenendo il fumo come piacere del conosciuto, mentre sfilano in parata parole da comporre, ispirazione per affrontare una donna dopo l’amore dei corpi.
Non una donna qualsiasi, ma lei, Leonora…
Il caffè sgorga brontolando e schizzando, il profumo si espande, e lieve si sente lo scattare della serratura del bagno.

Leonora apre l’acqua, si getta addosso lo schizzo freddo, trasale, e poi con soddisfazione insapona la pelle e lascia che lo scorrere lavi, pulisca, che non resti traccia. Neppure vorrebbe asciugarsi, sbircia tra i ripiani e afferra un telo pulito, il più piccolo, con cui assorbe le gocce più veloci, e subito si veste.

Roberto ha versato il caffè nelle tazzine, e sta ponendo la zuccheriera sulla tavola quando Leonora, con giacca e borsa tra le mani, appare sulla soglia:

“Grazie Roberto, è un bel pensiero il caffè!”
“Quanto zucchero vuoi?”
“Ah, non lo ricordi mai! Mi piace amaro.”
“È vero… Come stai?”, la osserva. Lei completamente vestita, lui quasi nudo.
“Tutto bene, Roberto, ma devo scappare. Ho un impegno, non avrei dovuto domire qui. Ci sentiamo?”
“Leonora, forse dovrei dirti…”
“Ci sentiamo per telefono, parleremo.”
“Ma tu… Ieri sera… Leo, devo chiedertelo. Sei innamorata?”
“Rob, devo andare. No, non sono innamorata.”
“Allora perché stai scappando così?”
“Se fossi innamorata non scapperei. Neppure tu sei innamorato...il corpo sa esprimere le emozioni, se ci sono! E io me ne sarei accorta”, gli sorride, “Eravamo amici. Lo saremo? ...Non c'è intesa erotica fra noi. Non c'è amore!”
Finisce il caffè, e appoggiando la tazzina sul tavolo, lo fissa.
Roberto si siede rilassato, ma anche deluso. Alza lo sguardo per salutarla, e le labbra gli si piegano in un sorriso mentre pronuncia: “Mi ricorderò che il caffè ti piace amaro…”



05 giugno 2007

*** Do You Want it? ***


Sono stata invitata da Sergio (blog: Memorie) a leggere un post che riportava notizie e informazioni da mettere a conoscenza della maggior parte.
Per questo motivo, d’ampliamento informativo, lo pubblico a mio volta dando continuità alla rete di divulgazione.
Si parla di ciò che ha causato e causa l’uranio impoverito (le scorie del processo di arricchimento dell'uranio, utilizzato nei proiettili per la sua alta capacità perforante), usato nella Guerra del Golfo, e nella Guerra dei Balcani.

Vorrei spingermi anche oltre l’articolo che qui riporto col copia/incolla (tratto dal blog di Sergio, già ripreso dal blog “DisordineMentale”): oltre cosa ha significato e può significare l’utilizzo dell’uranio. Perché il principio base non è cosa si può usare di meno nocivo!
Il principio da cui si deve partire è il non fare più uso di armi, smettere le guerre.
L’ambiente siamo noi, e anche se una bomba esplode sull’altra faccia della terra, noi, da questa parte, respiriamo la stessa aria, ci nutriamo dello stesso sole malato, viviamo nello stesso Universo.
Leggendo l’articolo si può comprendere di cosa parlo!

Una donna che avrà rapporti sessuali con un uomo che è stato a contatto con l’uranio impoverito, può subire delle conseguenze fisiche. Tutto è unito, anche se non ci appare sotto agli occhi.

In fondo all’articolo inserisco altri due link.
Invito a dare un’occhiata in particolare al link di “Indicius: No war for oil!”, in cui si riporta un’intervista al prof. Rocke (ex dirigente del progetto sull'uranio impoverito al Pentagono), correlata da documenti fotografici: bambini resi mostri dalla radioattività dell’uranio impoverito.


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“URANIO IMPOVERITO - LA SINDROME DEI BALCANI”: Una grande tragedia nascosta.
L’origine dell’articolo è su “DisordineMentale” (Postato da Antonio76, il 24 maggio)

"Con gioia, attenzione, rispetto e profonda malinconia accolgo la mail di una lettrice di questo blog che mi ha chiesto di utilizzare questo spazio per parlare di un problema grave e purtroppo tenuto fin troppo nascosto. Le morti dovute all' utilizzo dell'uranio impoverito. La Sindrome dei Balcani.
Molti italiani sono morti e stanno morendo. Un tema grave e scottante, le cui responsabilità vengono tenute coperte in modo ignobile. Franca Rame in questi anni ha cercato di porre luce su questi fatti e ha reso possibile la diffusione dei lavori della dottoressa Gatti che si sta impegnando anima e corpo affinché si sappia di più su questa tragedia nascosta.
Ringrazio Giovanna che mi ha spedito questo articolo e invito tutti alla massima attenzione. Diffondere queste notizie è importante.


Articolo della Dott.ssa Antonietta Gatti,
Laboratorio dei Biomateriali-Dipartimento di Neuroscienze Università di Modena e Reggio Emilia


Nel 2002 la comunità europea finanziò un progetto chiamato Nanopathology, un neologismo che portava in sé la discussione di un problema non ancora avvertito, forse addirittura ignorato del tutto, vale a dire l’impatto che polveri di dimensioni piccolissime, fino a poche decine di milionesimi di millimetro, possono avere sulla salute umana. Nell’ambito di quel progetto si sviluppò una tecnica nuova di microscopia elettronica che consentiva d’individuare quelle polveri all’interno di tessuti malati prelevati dal paziente e di determinarne forma, dimensione e chimica elementare. Con questa metodica si sono analizzati moltissimi campioni prelevati da soggetti colpiti da patologie come varie forme di cancro, leucemie, linfomi: tutte malattie di origine ignota ma che, da queste nuove osservazioni, parevano avere spesso in comune la presenza di polveri inorganiche.

Nel 2002 esplose vistosa anche in Italia, fra i nostri soldati impegnati in quella che era stata la Jugoslavia, la cosiddetta “sindrome dei Balcani”, un insieme di sintomi, spesso gravi, apparentemente assai difficili da correlare. A quel tempo i mass media indicavano nell'uranio impoverito, certamente tossico e blandamente radioattivo, usato per costruire bombe, il possibile responsabile. Nascevano quindi associazioni che chiedevano, e tuttora chiedono a gran voce, la sua eliminazione come mezzo di distruzione.
A quel tempo diverse domande si potevano porre, domande che, però, nessuno pensò di proporre: se è l'Uranio impoverito a causare queste patologie, come mai non si ammala anche chi passa la giornata a lavorare al tornio la punta d'uranio delle bombe? E poi, come fa un materiale debolmente radioattivo a causare patologie di organi non raggiungibili dalla debole radioattività? Ancora, come mai lo stesso materiale provoca alcune volte tiroiditi, altre leucemie, altre volte ancora diverse forme di cancro? E come mai si ammalano anche alcuni soldati nei poligoni di tiro dove, però, non si spara Uranio impoverito? E continuando, come mai esistono patologie simili fra persone (civili) che non sono mai andate in guerra? Perché scomodare inneschi diversi per patologie simili, ad esempio, cancro?
Nel dibattere quei quesiti, pensai che se era l'Uranio impoverito, con la sua pur modesta radioattività, a causare i problemi di salute, questo doveva necessariamente trovarsi nei tessuti patologici.
Cominciai allora ad analizzare alcuni tessuti di soldati ammalati o deceduti dopo la malattia che li aveva colpiti al ritorno dalle loro missioni.
Nei 42 casi esaminati di campioni di soldati (alcuni deceduti, altri ammalati e poi guariti), non mi accadde mai di trovare l'Uranio impoverito, ma qualcosa, a mio avviso, di più pericoloso: l'inquinamento bellico.
Che cosa significa? Quando bombe come quelle all'Uranio impoverito o al Tungsteno esplodono contro un bersaglio, sviluppano temperature molto elevate: più di 3000°C per l’Uranio, un dato che trovai in un rapporto redatto dalla base militare statunitense di Eglin, Florida, nel 1978, assai di più per il Tungsteno.
A queste temperature, tutto quanto si trova nell'intorno del punto di scoppio, viene fuso e vaporizzato. Si forma così un aerosol che viene disperso finemente in atmosfera, in ogni direzione.
Questa polvere finissima contiene tutti gli elementi che si trovavano all'interno dell'esplosione, però ricombinati in un modo che può essere anche completamente diverso da quello originale. Ad esempio, se si è colpito un carro armato, tutti gli elementi chimici che in questo erano presenti vengono fusi e ridotti a polvere finissima. I soldati si trovano in zone distrutte, devastate, dove, però, aleggia ancora questa polvere che non viene mai misurata e che può restare sospesa per tempi lunghissimi.
Una volta creato questo inquinamento, chimicamente e fisicamente impossibile da eliminare, non abbiamo strumenti per prevedere quando si depositerà al suolo e nemmeno dove lo farà, ma, una volta depositato sul terreno trasportato da pioggia e neve, basterà un minimo soffio di vento per risospenderlo di nuovo. In pratica, il comportamento di queste polveri è molto simile a quello di un gas e, dunque, come un gas vengono inalate ed entrano nei polmoni per uscirne entro poche decine di secondi e finire nel sangue.
Al momento, per loro non sono stati individuati meccanismi di eliminazione. Le barriere fisiologiche, compresa quella ematoencefalica che protegge il cervello, non riescono a trattenerle e a sbarrarne il cammino. Dunque, trasportate dal sangue, queste particelle finiscono in ogni organo o tessuto, dove sono trattate come corpi estranei e dove, per questo, danno luogo a forme infiammatorie croniche che hanno la possibilità, senza che questa costituisca una matematica certezza ma resta confinato alla probabilità, di trasformarsi in tessuti tumorali. Dato, poi, che queste polveri contengono pure tanti elementi chimici diversi, è ovvio che alcuni di loro, l’Arsenico, il Mercurio, il Piombo, ad esempio, saranno tossici per loro stessa natura e questa tossicità sarà ovviamente espletata a carico dell’organismo.
Corpi estranei di dimensioni così ridotte possono contaminare anche lo sperma, i cui campioni analizzati provenienti anche da alcuni soldati deceduti hanno mostrato queste presenze estranee che possono esercitare una tossicità locale sugli spermatozoi.
Ma la cosa più sorprendente che si è dovuta constatare è che, donando il seme alla partner, questa ne resta contaminata e sviluppa a livello vaginale piaghe sanguinanti molto dolorose, ribelli ad ogni trattamento farmacologico o chirurgico, una patologia nuova denominata “malattia del seme urente”.

Quindi, si deve constatare che l'inquinamento creato da bombe sofisticate, oltre ad essere inalato o ingerito mangiando, ad esempio, vegetali cresciuti nelle zone colpite, può essere "assimilato" e , ritornando a casa, trasferito alla partner, contaminandola. La malattia brevemente descritta trova la sua spiegazione se si considera che detriti essenzialmente metallici (Cobalto, Antimonio-Cobalto, Acciai, Piombo, ecc.) di dimensioni al di sotto del micron, a contatto con la mucosa vaginale e uterina, per la loro non biocompatibilità, inducono bruciori, infiammazioni e, nei casi più gravi, anche necrosi cellulare.
Occorre poi considerare che, mentre nel soldato la concentrazione di particelle nello sperma diminuisce ad ogni eiaculazione, la partner le accumula e si contamina sempre di più. La difesa americana consigliava ai propri soldati di non procreare per un anno (ora sembra che il consiglio sia esteso a 3 anni) dopo il ritorno dalla missione. Questa precauzione, tuttavia, non risolve il problema, poiché, se il seme contaminato rimane in situ, ha la possibilità di estrinsecare la sua tossicità sia sugli spermatozoi sia sui tessuti circostanti, mentre se viene donato, il paziente se ne libera ma contamina la partner. Un'eventuale fertilizzazione, poi, avverrebbe in un sito contaminato e non si può assicurare che l'embrione risulti sano.
La cosa più sicura e consigliabile è, allora, evitare contatti con quello sperma usando un preservativo.
Questa precauzione deve essere suggerita subito, perché non deve essere consentito di portare la guerra in casa senza che il padrone di quella casa ne sia consapevole e conceda la propria autorizzazione.

Ricordiamo il numero di conto corrente per la sottoscrizione in favore delle vittime dell'Uranio Impoverito:
conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao
ABI 7601 - CAB 3200 Cin U"


Commento postato da Sergio (“Memorie) il 2.6.07 -
"Da qualche tempo gli organi di informazione (radio,giornali,televisione) hanno preso l'irresponsabile abitudine di riempirci di "notizie sensazionali" che non fanno altro che generare tra la gente timore e panico, creando altresì gravi danni al commercio e all'industria, e modificando le abitudini della gente. Pertanto, mentre è corretto conoscere la realtà sui pericoli che corrono coloro che agiscono in zone di guerra, è assolutamente idiota spaventare i cittadini solo per vendere di più. Pensate, solo per fare un esempio recente, ai danni che si sono creati con l'allarmismo per la "mucca pazza" o per l'influenza "aviaria". Ora esce l'ennesima imbecillità sulle polveri di cocaina diffuse nell'aria. A parte il fatto che la quantità di droga che spesso si trova sul denaro che maneggiamo è di gran lunga superiore, e che la cosa non provoca alcun rischio perchè nessuno di noi mangia gli euro, nessuno vi ha informati che dovreste vivere e respirare per ben 20.000 anni prima di assorbire una, dico una, dose di cocaina dall'aria!"

Julien (scienziato) risponde a Sergio il 4.6.07:
"Caro Sergio
conosco un poco questo problema delle nanopolveri che viene ad essere agitato da qualche anno negli ambienti scientifici. Personalmente sono più propenso ad attribuire all'uranio stesso (che è dannoso per l'organismo anche a prescindere dalla carica radioattiva)la sindrome balcanica. Certamente la situazione logistica dei soldati in quei posti pone anche un altro problema: le distruzioni dei bombardamenti hanno riguardato anche centrali elettriche, depositi di munizioni, industrie chimiche, depositi di carburante e quant'altro di pessimo si possa immaginare, liberando in aria ogni sorta di sostanze nocive, in concentrazioni che si devono per forza essere mantenute per mesi molto al di sopra di qualunque standard di sicurezza, senza contare la contaminazione del suolo (e quindi delle culture) e quella delle falde acquifere. In tali condizioni non è difficile immaginare che le tante componenti ambientali negative abbiano esercitato un sinergismo (cioè un reciproco potenziamento degli effetti) con l'uranio stesso. Non sono d'accordo con l'idea che le nanopolveri possano risollevarsi per azione meccanica. Anche se alcuni scienziati sostengono questa tesi, io penso che si tratti di una pseudo-teoria, asservita a chi, per politica (e cioè per non fare nulla), vuol sostenere la non risolvibilità del problema. Il fatto è questo: le particelle sospese rimangono in aria per tempi lunghissimi (molti mesi) perché hanno una carica elettrica che ne impedisce l'aggregazione (cioè si respingono ed è come se rimbalzassero le une contro le altre). Questa carica però viene neutralizzata nel tempo perché si verificano trasferimenti di carica alle molecole dell'aria o perché si incontrano molecole di carica opposta, particelle, pareti o ioni o quant'altro che le neutralizzano. A questo punto le nanoparticelle si aggregano, raggiungono dimensioni critiche e precipitano al suolo per forza di gravità. Non è pensabile che il calpestìo o il passaggio di veicoli eserciti una forza puntuale sufficiente a disaggregare il pulviscolo. La polvere alzata dal vento o dai veicoli può contenere tante schifezze ma è grossa (cioè vari millesimi di millimetro) e ricade rapidamente o, se respirata, si ferma alle prime vie aeree (naso, bronchi), senza raggiungere gli alveoli polmonari che sono il punto di scambio tra l'ambiente ed i fluidi organici. In altre parole ciò che non raggiunge gli alveoli viene espulso dall'organismo per via meccanica e non fa danno.
Per quanto riguarda la cocaina hai perfettamente ragione. Se la massima concentrazione trovata è di un decimo di nanogrammo per metro cubo (un nanogrammo è un miliardesimo di grammo)occorrono cento milioni di metri cubi d'aria per fare i dieci milligrammi che corrispondono ad una singola "sniffata" di un consumatore molto "moderato". Ognuno può fare i suoi conti ma il risultato è comunque che chi pensasse di farsi una bella sballata facendo jogging per villa Borghese resterebbe deluso.
Julien"


I Link che aggiungo come ampliamento sono:
“Unimondo.org”: articolo del 28 febbraio 2006;
e “INDICIUS: Not war for oil!”, menzionato in apertura post (se non altro guardate le foto, se vi siete stancati di leggere!)

Concludo: La vita è la nostra!