27 settembre 2009

Segnali Culturali: un film, un romanzo, un saggio

POLITICA

La memoria del passato e la speranza del futuro
di EUGENIO SCALFARI

Dopo aver assistito all'anteprima di "Baarìa" che Giuseppe Tornatore ha fatto proiettare in esclusiva per i suoi concittadini, Francesco Merlo ha concluso il suo articolo facendo parlare Nina Campo, una signora di Bagheria che gli ha fatto da guida nella città di oggi e nei ricordi di quella di settant'anni fa.

Voglio qui riportare quelle parole perché hanno un senso estremamente attuale: "Vorrei che partisse da Bagheria una lotta di liberazione della memoria. Basta con c'era una volta. Sa Dio quanto la Sicilia ha bisogno di cambiare tempo alle favole: ci sarà una volta".
Solo per la Sicilia? O per tutta l'Italia dalla punta e dal tacco dello Stivale fino all'arco delle Alpi?

In un libro appena uscito che si intitola "Autobiografia di una Repubblica" lo storico Guido Crainz si chiede e ci chiede: "Che cos'è una patria se non un ambiente culturale, cioè conoscere e capire le cose?" e racconta come e perché l'Italia sia percorsa da un fiume carsico sotterraneo che nell'arco degli anni erompe alla superficie con il suo carico di demagogia, qualunquismo, populismo, vittimismo; un carico fangoso, gonfio di detriti e di frustrazioni, di ribellismo e di conformismo, di anarchia e di passiva obbedienza.
Un fiume carsico così denso e mefitico esiste in tutti i paesi d'Europa e d'America e alimenta minoranze xenofobe e antagoniste collocate ai bordi delle istituzioni.

Ma la triste particolarità nostra consiste nel fatto che qui da noi quel fiume quando emerge esonda coinvolgendo ampi settori sociali e occupando le istituzioni.

Fa parte della storia nazionale e del suo costume. Quando eventi del genere si producono è un grave errore giudicarli incidenti di percorso. E se la nostra democrazia è fragile, se da noi il senso dello Stato è un sentimento larvale, se il rapporto tra la politica e l'affarismo, se le mafie, se le clientele, se la cultura, se gli intellettuali, se la libertà di stampa, se se se...; ebbene tutto ciò ha una spiegazione. Bisogna cercarla questa spiegazione e raccontarla affinché, come ha scritto Crainz, la parola patria acquisti finalmente un senso e la parola democrazia non si riduca ad una giaculatoria sulle labbra dei mascalzoni.

Qualche segnale che dà speranza ha cominciato a manifestarsi. Parlo di segnali culturali perché credo anch'io che un paese devastato non possa avere riscatto se non ricostruisce la memoria del suo passato per poter intravvedere il futuro.

Lotta di liberazione della memoria l'ha definita Nina Campo da Bagheria. Cominciamola dunque questa lotta e non allentiamo l'impegno fino a quando non avremo ripulito il fango e il loto che ha imbrattato l'animo delle persone e le strutture della nazione e dello Stato.

* * *

I segnali provengono da tre eventi che possono sembrare a tutta prima di modesta portata: un film, un romanzo, un saggio. Il film è appunto quello di Tornatore, il romanzo si intitola "Noi" e l'ha scritto Walter Veltroni, il saggio è un libro-intervista di Alberto Asor Rosa ed ha per titolo "Il grande silenzio degli intellettuali".

Sono stati recensiti dai giornali e circolano nelle librerie e nelle sale cinematografiche. "Baarìa" insieme ad altri quattro film è sotto esame per la candidatura alle "nomination" degli Oscar. Non ho quindi alcun bisogno di esaminare l'estetica di questi tre prodotti artistici e letterari e infatti non è questo che mi sono proposto di fare.

Desidero invece capire il nesso che esiste tra di loro, l'impulso che ha mosso i loro autori, il significato della loro simultaneità. Sono stati prodotti tutti e tre nei mesi scorsi e sono stati messi in questi giorni a disposizione del pubblico. Coprono tutti e tre un arco di tempo che va dagli anni Trenta del Novecento ad oggi. Esaminano il percorso di tre generazioni da tre diverse angolazioni sociali. Tornatore rappresenta la saga d'una famiglia e di un ambiente di braccianti, piccoli artigiani, lavoratori senza prospettive di futuro. Veltroni un'altra saga familiare di piccolissima borghesia. Asor Rosa la società dei colti, degli intellettuali e del loro rapporto con la politica.

Abbiamo dunque contemporaneamente sotto gli occhi una società sezionata su tre diversi livelli che nel loro insieme producono una sorta di risonanza magnetica e fanno emergere i vizi le virtù e la forza di quel corpo sociale nel suo insieme.
Vedremo in che modo e con quali esiti.

* * *

I pastori, i contadini e i poveri (sono tutti poveri e poverissimi) di Baarìa sono in stato di schiavitù, non solo degli agrari, dei fascisti e dei mafiosi, ma dei costumi del luogo e dell'epoca. Le donne in particolare. E i bambini.

Così li racconta Tornatore e così erano nella realtà. Chi ha avuto dimestichezza con i contadini del Sud conosce quella realtà che non era soltanto siciliana, era la stessa nelle Calabrie, in Basilicata, nelle Puglie.
Le malattie, la fame, la promiscuità, gli incesti, i tuguri, gli aborti delle mammane, i vermi nella pancia, il tracoma. I funerali con le nenie e i graffi sulle guance delle donne salmodianti, le processioni e l'attesa dei miracoli. I rapimenti delle ragazze e i matrimoni riparatori.

Durò fino alla guerra e oltre. Poi cominciò la grande fiumana dell'emigrazione. I giovani del Sud emigrarono in massa, l'Italia contadina diventò industriale, 5 milioni di ventenni spezzarono le radici che li legavano al Sud e scoprirono di esser cittadini titolari di diritti.

Ma molti l'avevano già scoperto nelle loro terre d'origine rispondendo al richiamo del sindacato e del Partito comunista.

Tornatore racconta questa lotta di liberazione, nella quale caddero sotto i colpi della mafia decine e decine di sindacalisti e di dirigenti del partito. C'è una scena del film in cui il protagonista racconta ad un giornalista come e dove avvennero queste mattanze che hanno costellato la storia di quegli anni.

Il film si chiude con la nuova Bagheria diventata una città "da bere" intasata di automobili e fitta di negozi firmati sull'esempio di Milano, di Roma e di tutto il mondo del consumismo. L'ultimo fotogramma è un poetico flash su un passato miserabile ma riscattato da una dignità che ormai, così racconta Tornatore, sembra un avanzo in disuso.

Sono stato all'anteprima dedicata a Giorgio Napolitano. La sala era gremita e gli onori di casa li facevano i dirigenti di Medusa e di Mediaset com'era giusto che fosse perché il film l'hanno prodotto loro. E chi altri avrebbe potuto in Italia? Un film di sinistra senza ammiccamenti.

Entrando ho visto al mio fianco Pippo Baudo. Mi ha detto: "C'è il regime al completo". Era vero, ma quando il regime è costretto ad applaudire il talento culturale di chi gli si oppone, vuol dire che qualche cosa si sta muovendo.

* * *

Il romanzo di Veltroni si muove sullo stesso piano del film di Tornatore, la trama copre lo stesso arco di tempo e scandisce l'evoluzione della società del bisogno e dei doveri a quella del benessere e dei diritti, fino all'ultima svolta e all'ultima metamorfosi in un consumismo stordito e schiacciato sull'attimo fuggente, senza più storia né progetto.

Nel romanzo c'è un elemento in più rispetto al film: la persecuzione contro gli ebrei nell'epoca del nazifascimo e la sostanziale indifferenza degli italiani.
Noi - questo è il titolo - non è un'operazione politica travestita da romanzo, ma un romanzo con un fondo morale, come sono tutti i romanzi veri. Un fondo morale non indicato in forma didascalica ma vissuto attraverso le avventure e i sentimenti dei personaggi, i loro conflitti, i loro affetti, la loro discendenza, i loro successi e le loro sconfitte.

La voglia dell'autore è quella di raccontare una vicenda collettiva attraverso una saga familiare. Il finale registra una società appiattita e ipnotizzata dentro alla quale cominciano a serpeggiare brividi e bagliori di speranza.

* * *

Asor Rosa, intervistato da Simonetta Fiori, racconta il grande silenzio dei colti e una politica diventata spettrale da quando non ha più vissuto nella luce della cultura.

Il racconto ha la forma di una testimonianza in gran parte autobiografica e questo è il suo pregio perché Asor Rosa non ha la pretesa di mettersi fuori o addirittura al di sopra della mischia. Lui nella mischia c'è stato a partire da quando si iscrisse al Pci e ne condivise criticamente gli errori e le virtù. Storicizza la vicenda vissuta dal partito, che abbandonò nel 1956 per poi rientrarvi nella fase berlusconiana. Storicizza non per giustificare gli errori del partito e i suoi, ma per spiegare perché furono commessi. Per capire, arrivando alla conclusione d'una decadenza culturale che ha messo il nostro paese fuori dalla modernità.

Vede lucidamente il fiume carsico che scorre limaccioso nelle vene della società italiana e gli esiti che comporta ogni volta che emerge dal sottosuolo e identifica la debolezza degli argini con la presenza di quei colti che Prezzolini chiamò "apoti".

Prezzolini fu la figura più rappresentativa degli "apoti", quelli che si mettono appunto fuori e al di sopra della mischia in una posizione solo apparentemente neutrale che in realtà si risolve in un fiancheggiamento delle pulsioni disgreganti e anarchiche del carattere italiano.

La diagnosi è simile a quelle di Tornatore e di Veltroni. Manca anche in lui, nella sua testimonianza, una terapia e la ragione di questa mancanza è chiara: la sola terapia possibile sta nella diagnosi. Di lì bisogna partire; un compito che non spetta ad una persona, ad un leader mandato da una improbabile Provvidenza, ma spetta ad un popolo che decida di riappropriarsi della sua sovranità come deve avvenire nei tempi di decadenza e di crisi.

Un film, un romanzo, un saggio, animati tutti e tre dalla necessità di recuperare la memoria delle cadute e dei rinascimenti. Liberazione della memoria, questo è il loro pregio e per questo li ho qui segnalati.

(27 settembre 2009)

24 settembre 2009

Ecosistema: solo animali di peluche!


SCIENZE/ANIMALI

"Panda troppo costosi, lasciamoli estinguere"
Provocazione da Londra. Chris Packham, conduttore di programmi sulla natura della Bbc, lancia la sua proposta: "Sono in un cul de sac evolutivo, stacchiamo la spina"
di FLAMINIA FESTUCCIA

LASCIATE che i panda si estinguano dignitosamente. Un singolare appello contro l' "accanimento terapeutico" che arriva dalla Gran Bretagna, per voce di Chris Packham, famoso naturalista e conduttore di programmi sugli animali. Che ha fatto insorgere gli animalisti.

Nella sua intervista alla rivista Radio Times, Chris Packham non è stato tenero con i grandi orsi bianchi e neri simbolo del Wwf: "I soldi spesi per la conservazione di questa specie potrebbero essere impiegati meglio, i panda sono entrati volontariamente in un cul de sac evolutivo". Da qui la proposta di "staccare la spina". Anche perché, ha aggiunto il naturalista britannico, "è inutile continuare a farli riprodurre in cattività se poi l'habitat dove reinserirli non esiste più".

La dieta. Morbidi, pigri, goffi, i panda sono animali davanti ai quali nessuno nasconde un moto di tenerezza. Eppure le parole di Packham hanno un fondamento. Il panda, infatti, appartiene alla stessa famiglia degli orsi, e come quelli tecnicamente sarebbe onnivoro. Anzi, il suo apparato digerente sarebbe quello di un carnivoro, ma da tempo la specie si è adeguata a una dieta composta quasi esclusivamente di bambù. Proprio per le difficoltà di assimilazione delle foglie, il panda ne deve mangiare circa 40 chili al giorno, e la lunga digestione gli conferisce quell'aspetto assonnato da orsacchiotto di peluche.

La riproduzione. Il panda è pigro anche in amore: raggiunge la maturità sessuale molto lentamente, e il periodo fertile di una femmina dura solo due giorni all'anno. Dato che si tratta di un animale solitario, poi, l'incontro tra i sessi non è sempre garantito, e per di più anche dopo l'accoppiamento solo una femmina su tre riesce a portare a termine la gravidanza. In ogni cucciolata possono nascere uno o due piccoli, ma la madre, sia in cattività che in natura, ne alleva sempre e solo uno, abbandonando l'altro. Ma nonostante concentri tutte le sue cure su un figlio solo, la mortalità infantile è comunque elevatissima.

In natura sopravvivono circa 1600 panda, secondo le stime del Wwf, minacciati dalla scomparsa del loro
habitat per mano dell'uomo. Ma sono molti, soprattutto in Cina, i centri dove si tenta la riproduzione in cattività. Addirittura si sperimenta una tecnica per cui la madre viene "ingannata" scambiando continuamente i cuccioli, in modo che li accetti e li allevi entrambi. Ma il problema sta anche a monte: per favorire l'accoppiamento tra gli animali impigriti e privi di interesse per l'altro sesso, si prova di tutto: dai feromoni ai "video a luci rosse", sperando che la vista di altri panda beatamente intenti alla riproduzione possa far riaffiorare gli istinti sopiti.

Le proteste. Il panda però è e rimane un animale simbolo della lotta per la protezione delle specie, e l'idea di "staccare la spina" ha fatto inorridire molti. "Chris ha detto una cosa sciocca, da irresponsabile", ha dichiarato Mark Wright, studioso di scienza della conservazione e consigliere del Wwf, che ha aggiunto: "I panda si sono perfettamente adattati al luogo dove vivono. Le montagne costituiscono il loro habitat e lì hanno a disposizione tutto il bambù che vogliono". Ma Chris Packham ha rincarato la dose, gettando ombre anche sul futuro delle tigri: "Difendere un animale che vale più da morto che da vivo sarà molto difficile, non credo che le tigri possano vivere altri 15 anni".

Tesi logicamente ineccepibili, quelle del conduttore britannico. Che di certo avrebbero suscitato molte meno polemiche se si fosse trattato di zanzare o pipistrelli. Ma pensando ai danni fatti dall'uomo all'habitat di tante specie, agli animali che si sono estinti, ripensiamo ai panda. Per quanto inadatti, inutili e costosi possano essere, siamo davvero pronti a lasciarli andare via per sempre?

(24 settembre 2009)

23 settembre 2009

Evviva i Furbi! ...e peggio per chi non lo è!!

Un verbale coperto da omissis tolti da qualche giorno. Parla il manager che
ora vive in Thailandia Berlusconi rischia l'accusa di appropriazione indebita



Diritti tv, le lettere segrete di Agrama e quei 100 milioni di dollari in Svizzera
di PIERO COLAPRICO e EMILIO RANDACIO



MILANO - Agrama e Berlusconi, Agrama e Mediaset, Agrama e i troppi soldi che ballano. C'è un verbale che era stato coperto da omissis, che sono però stati tolti qualche giorno fa. A parlare è, come nei verbali pubblicati ieri, il manager chiamato da Mediaset a sanare un po' di conti e che nella sua impresa s'era imbattuto nello strano caso del signor Frank Agrama, l'amico americano pagato profumatamente.

Il manager è Roberto Pace, che ora vive in Thailandia, ma all'epoca aveva voluto vederci chiaro nei conti e non si era accontentato delle rassicurazioni dei vertici aziendali. E nemmeno sentirsi dire che Agrama era un "amico del Dottore", e cioè di Silvio Berlusconi, l'aveva rasserenato. Perciò, un giorno, è il 17 ottobre del 2001, "Aldo Bonomo (ex presidente Fininvest, deceduto, ndr.), che io non conoscevo di persona, mi disse che stava arrivando a Milano il signor Agrama e che dovevamo incontrarci presso la Fininvest. Io andai all'incontro e Agrama era già a colloquio con Bonomo. Il presidente mi chiese di vedere alcuni dati circa l'andamento delle forniture di Agrama e mi domandò per quale motivo ci fosse stata una contrazione degli acquisti. Io gli ripetei i soliti concetti sulla scarsità di budget. E gli sottolineai che la qualità del prodotto non mi convinceva. A questo punto Agrama s'infuriò".

Roberto Pace considera Farouk Agrama, ex regista nell'Italia degli anni Settanta, poi trasferitosi negli States e qui diventato Frank, un costo superfluo. Ritiene che la sua intermediazione costi troppo e produca poco: da lui arrivano programmi Paramount non di alta qualità e a un prezzo fuori mercato. Che senso ha? Ma Agrama non ci sta proprio ad ascoltare prediche: "Agrama s'infuriò, tirò fuori dalla borsa un dattiloscritto di pochi fogli e lo dette a Bonomo con aria di sfida, dicendo: "Di queste ce ne ho mille e questa riguarda Bernasconi" (Carlo Bernasconi, il manager Finivest anche lui scomparso, a lungo responsabile del comparto estero del gruppo e cioè anche dei paradisi fiscali ndr.)".

Bonomo, racconta Pace, come se rivivesse nella stanza dei pm il momento di gelo in azienda "rimase molto sconcertato. Lesse con attenzione i pochi fogli, li ripose nel cassetto e disse che non era il caso di agitarsi e che tutti sapevano che Agrama era "uno storico amico del gruppo". Aggiunse che era sicuro che io avrei fatto tutto il possibile per accontentarlo e garantirgli i 40 milioni di dollari all'anno di forniture. Agrama non sembrava soddisfatto da queste rassicurazioni verbali e disse che voleva un impegno scritto".

Pace non conosce il contenuto dei documenti mostrati da Agrama, ma il risultato prodotto dallo sventolare quei fogli gli è noto. Una settimana dopo quel meeting apre la posta: "Ricevetti per conoscenza una lettera firmata da Bonomo e indirizzata ad Agrama, nella quale gli si assicurava per il futuro un volume d'affari di 40 milioni di dollari l'anno, ovviamente facendo presente che il prodotto doveva essere di qualità".

Tutto questo c'entra con Silvio Berlusconi, e gli costa l'accusa di appropriazione indebita, perché, seguendo le tracce del denaro sborsato da Mediaset, di che cosa si accorgono i sostituti procuratori Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro? Che appena i soldi arrivano ad Agrama, una parte resta a lui e un'altra prende la via delle scatole cinesi per arrivare in Svizzera, dov'è stato sequestrato l'equivalente di 100 milioni di dollari. Soldi, secondo la Procura, in gran parte riconducibili a Silvio Berlusconi, l'amico di Agrama, a detta di vari testimoni: dall'ex responsabile dei diritti di Mediaset a Los Angeles Daniele Lorenzano alla sua assistente Gabriella Ballabio.

E la forza persuasiva di Agrama sembra avere ragioni molto antiche, come emerge in due lettere. Nella prima, del 30 ottobre 2001, due settimane dopo l'appuntamento in via Paleocapa, Agrama rivendica di aver "fornito alle vostre emittenti dei programmi di qualità prodotti negli Stati Uniti, che hanno consentito alle reti del gruppo Berlusconi di raggiungere i massimi indici di gradimento in Italia... Siamo sempre stati corretti e leali - aggiunge - verso la famiglia, ma il nostro rapporto con l'amministrazione è proceduto a singhiozzo. Abbiamo l'impressione che non venga compreso il nostro ruolo nell'agevolare le attività del gruppo". E c'è la seconda lettera, datata 29 ottobre 2003 e indirizzata ai massimi vertici Fininvest, sequestrata come l'altra nella sede del Biscione in via Paleocapa: "Dal 1976, anno in cui ha inizio la collaborazione con le vostre società, ci adoperiamo in qualità di vostri rappresentanti - scrive ancora Agrama - facilitandovi nell'acquisto di film per tutte le vostre emittenti". Un impegno a largo raggio, perché non solo garantiva fiction, telefilm e cartoons per i tre canali privati italiani, ma "anche per Telecinco in Spagna e per un certo periodo La Cinq in Francia. Abbiamo sempre collaborato con il dottor Silvio direttamente", continua Agrama. Che non capisce, ma proprio non capisce perché gli stiano stringendo i cordoni della borsa.

Questo scenario, secondo la Procura, viene confortato dai risultati delle rogatorie in vari paesi del mondo, l'ultima in Ungheria. Con qualche sorpresa: come quando, a Hong Kong, la squadra Narcotici, che là si occupa delle perquisizioni anche nelle indagini finanziarie, fece irruzione all'indirizzo di Paddy Chan e Katherine Hsu Chun, trovando una casetta di pochi metri quadrati e due signori che prima cascano dalle nuvole e, quando apprendono che si tratta di reati finanziari, tirano un sospiro di sollievo, mostrando un evidente disinteresse per la vicenda. In fondo sono soltanto dei prestanome per nascondere, come dice l'atto d'accusa, "che Frank Agrama è sempre stato il reale e diretto gestore di tale attività". E che i cento milioni di dollari bloccati in Svizzera siano ricollegabili "ad illeciti posti in essere nelle vendite di diritti televisivi da parte di Agrama alle società del gruppo Mediaset".

Il che costa l'accusa a Silvio Berlusconi di appropriazione indebita e non esclude la contestazione di un reato fiscale per altri manager della società quotata in borsa.

(23 settembre 2009)

20 settembre 2009

"La classe non è acqua!"

POLITICA

IL COMMENTO
Demagogia al governo
di MICHELE SERRA


Ci sono "élite di merda che vivono di rendita" e tramano contro il governo e dunque contro il popolo sovrano. Così, in sintesi, ha detto ieri il ministro Brunetta, entusiasmando una platea amica e disgustando una volta di più l'altra metà degli italiani, si suppone in rappresentanza delle élite di merda.

Brunetta è il classico fanatico: uno che quando parla gli saltano uno dopo l'altro i freni inibitori, e gli esce fumo dalle orecchie. In quanto tale, in una fase così aspra dello scontro politico, ascoltarlo aiuta a mettere a fuoco almeno alcuni dei sentimenti profondi che muovono questa maggioranza. A partire dal fascismo, l'odio per le élite (vedi il complotto demo-pluto-giudo-massonico) è un classico del populismo autoritario. Ricchi malvagi, gelosi dei loro privilegi, tramano nell'ombra per contrastare l'avvento luminoso di una nuova era.

Gli archivi di Libero e del Giornale, quando gli storici vorranno occuparsene, sono da questo punto di vista una illuminante e annosa collazione di tutto o quasi il malanimo che la piccola borghesia di destra, elettrice dei Brunetta e lettrice dei Feltri, nutre per le cosiddette élite: gli Agnelli, la borghesia azionista, De Benedetti e Scalfari, gli intellettuali altezzosi, Miuccia Prada (?!), i professori snob, gli urbanisti, i cineasti, i radical chic, secondo una classificazione biliosa e scriteriata che non discende tanto dal reddito e tantomeno dalle persone, quanto, diciamo, dall'immagine sociale, vera o presunta, dei bersagli via via individuati. In blocco, e un tanto al chilo, essi sarebbero la spina dorsale di una sinistra debosciata, scroccona e classista. (Va da sé che i circa diciotto milioni di elettori di centrosinistra, forse non tutti urbanisti o rettori, per comodità non vengono inclusi nel quadro polemico: non è mai la realtà, è il suo fantasma a favorire le ossessioni politicamente più produttive).

Se il ministro Brunetta, piuttosto che un iracondo e un demagogo, fosse una persona ragionevole, e davvero parlasse per conto del popolo italiano e nei suoi interessi, saprebbe che il nostro Paese, nell'ultimo paio di secoli, ha molto patito non già a causa delle élite, ma della loro gracilità, o mancanza. Se, per esempio, la grande borghesia conservatrice non fosse stata spazzata via (vedi l'affaire Montanelli, vedi la morte di Ambrosoli, vedi eccetera eccetera) dalla piccola borghesia reazionaria e malaffarista che ha schiantato il senso dei diritti e il senso dei doveri, e oggi regge il timone del Paese, magari avremmo ancora ministri come Visentini e non come Brunetta e Bondi, altro fazioso vaniloquente.

Destra e sinistra, in tutto questo, sono un criterio piuttosto confuso, quasi un velame. Meglio varrebbe (e in questo, bisogna ammetterlo, il socialista Brunetta ci aiuta parecchio) provare a riclassificare lo scenario socio-politico italiano secondo i vecchi criteri dell'analisi di classe. Il poco che rimane della borghesia antifascista (certamente un'élite) e della classe dirigente repubblicana e costituzionale (un'altra élite) è l'ultimo argine culturale, etico e storico che si frappone al trionfo incontrastato dei Brunetta, del loro adorato leader e della piccola borghesia reazionaria che li vota in massa. Il loro capo, da solo, ha più potere dei fantasmatici "poteri forti" messi assieme, più denaro, più media, più altoparlanti e più balconi, più giornali, più giornalisti, più servitù e più tutto. Ma, effettivamente, nonostante questo potere fortissimo, Berlusconi non è élite, non è classe dirigente, non è statista (gli statisti uniscono i popoli, non li spaccano a metà come una mela). È potere senza rispetto, ricchezza senza status, popolarità senza prestigio. Brunetta, che è animoso e sincero, avverte nel profondo questa inadeguatezza. Ma piuttosto che investirne, con la dovuta umiltà, se stesso e il suo capo, si aggrappa al popolo e indica nelle "élite di merda" il Nemico da combattere.

In questo Brunetta (come parecchi ex socialisti, ahimè) è il berlusconiano perfetto: pur di non dubitare di se stesso, attribuisce ogni problema alla malvagità del Nemico. Urgerebbe un analista se anche gli psicanalisti non fossero, come è ovvio, una élite di merda.

(20 settembre 2009)

18 settembre 2009

Virulenta offensiva contro la libertà di stampa -art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali della Ue

Tre associazioni di reporter sottolineano che non ci sono precedenti nella Ue
"Usa il suo potere politico ed economico per tentare di controllare l'informazione"

Giornalisti stranieri all'attacco di Berlusconi
"Virulenta offensiva contro la libertà di stampa"


Diversi quotidiani europei sulla serata del premeir a "Porta a porta"
"Tristezza per gli italiani che hanno assistito a tale messa in scena"
di ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA - "La stampa internazionale protesta contro Berlusconi a Bruxelles". E' il titolo di un articolo su El Periodico de Catalunya di oggi, che riporta l'intervento di tre organizzazioni internazionali di giornalisti presso la sede dell'Unione Europea a Bruxelles per denunciare con un'azione simbolica "la virulenta offensiva contro la libertà di stampa" di cui è protagonista Silvio Berlusconi. Le tre associazioni, che sono la Associazione Internazionale della Stampa, la Federazione Internazionale dei Giornalisti e Reporter Senza Frontiere, hanno ricordato in un comunicato quanto è stabilito dall'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali della Ue, che garantisce espressamente la libertà di espressione e di informazione.

"Per la prima volta nella storia dell'Unione Europea", affermano nella loro iniziativa i tre gruppi, "un capo di governo, l'italiano Silvio Berlusconi, ha lanciato una virulenta offensiva contro la libertà di stampa, avviando azioni legali o minacciando svariati giornali italiani o europei". Berlusconi, continua il documento, "non ha esitato a usare il suo potere politico ed economico per tentare di controllare l'informazione in Italia e nella Ue", al punto da accusare giornali e giornalisti italiani e internazionali "di cospirare contro il suo governo".

Numerosi giornali riportano con ampio rilievo il tragico attacco terroristico in Afghanistan in cui hanno perso la vita sei soldati italiani. Il lutto che ha colpito l'Italia, scrivono El Periodico e altre testate, ha smorzato per il momento le polemiche sul caso Berlusconi. In Francia, Les Temps nota che la manifestazione per la libertà di stampa che era stata indetta per sabato a Roma è stata rinviata di due settimane, appunto in ragione della morte dei soldati italiani e del lutto che ha colpito la nazione. Ma il giornale francese accusa Berlusconi di avere "riprogrammato" i palinsesti televisivi per ottenere la massima audience nella sua apparizione a "Porta a Porta" in cui consegnava le chiavi di nuove case ad alcune delle famiglie rimaste vittime del terremoto in Abruzzo, "pur rimediando soltanto un ascolto del 13 per cento".

Sulla "serata particolare in tivù", questo il titolo dell'articolo, torna anche Le Monde, con un commento in cui il quotidiano francese esprime "tristezza" per quello che ha visto in tale trasmissione, in cui "94 villette" sono state consegnate ai sinistrati: "Tristezza per le 11 mila persone che vivono ancora sotto le tende e per le altre 25 mila ancora alloggiate negli alberghi della costa Adriatica. Ma tristezza anche per gli italiani, ammassati davanti al video, per assistere a una simile messa in scena".

A Londra, il Guardian riporta che "Berlusconi si dice pronto a dimettersi, se la Corte Costituzionale gli toglierà l'immunità giudiziaria" da ogni processo che gli è stata garantita dal Lodo Alfano, la legge approvata dal suo governo; e il quotidiano inglese riferisce anche che la popolarità del premier è scesa secondo un sondaggio al 47 per cento, il livello più basso da quando Berlusconi è stato rieletto presidente del Consiglio. Lo spagnolo Abc dedica un lungo articolo al "dibattito su un possibile successore di Berlusconi in Italia". E l'agenzia Inter Press Service fa un reportage sulla televisione italiana intitolato "Estetica dello striptease".

(18 settembre 2009)

13 settembre 2009

Travaglio sottolinea...

Attributi da Cavaliere
di Marco Travaglio


I processi contro 'la Repubblica' e 'l'Unità', denunciate da Silvio Berlusconi per 1 e 2 milioni di euro di danni, si annunciano avvincenti e spettacolari quant'altri mai. Da mettersi in fila e pagare il biglietto.
Il civilista del premier Fabio Lepri (studio Previti) intravede un "animus diffamandi" in vari articoli che mettono in dubbio l'efficienza degli apparati riproduttivi dell'illustre cliente presentando "il dottor Berlusconi come soggetto aduso a pretese iniezioni sui corpi cavernosi del pene o affetto da problemi di erezione".

Com'è noto, l'onere della prova tocca a chi accusa. Infatti il penalista del capo del governo, on. avv. prof. Niccolò Ghedini, ha già annunciato al 'Corriere' che l'insigne assistito, in precedenza definito eventuale "utilizzatore finale" di escort, "è pronto ad andare in aula a spiegare che non solo non è un gran porco, ma nemmeno impotente". Anzi, di più: intende "spiegare a venti milioni di italiani, suoi affezionati elettori, che è perfettamente funzionante".

Al momento non è dato sapere in quali forme l'utilizzatore darà in aula la plastica dimostrazione del perfetto funzionamento. Ma converrà esserci quel giorno in aula.
Anche perché i legali di 'Repubblica' e 'Unità' potrebbero citare un testimone che la sa lunga in materia.
Uno che il 27 giugno 2008 titolò su 'Libero' a tutta prima pagina: "Il guaio di Silvio è la gnocca".
E un anno dopo, 19 giugno 2009, con agile piroetta, scrisse sempre su 'Libero' a proposito dei casi Noemi & Patrizia:
"Il Cavaliere è accusato di fare ciò che dubito possa fare: dedicarsi a una sfrenata attività sessuale. Fantasie. Frequento da alcuni anni gli urologi. Questioni di prostata, data l'età. Se hai un cancrone proprio lì, la prostata va eliminata col tumore. E allora addio rapporti. Facendo strame della privacy, affermo che Silvio nel '96 fu operato di cancro alla prostata al San Raffaele. Non racconto balle se dico buonanotte al sesso. Berlusconi ha 73 anni, non ha più la prostata. La scienza fa miracoli tranne uno: quello. Ma vi sono quotidiani che hanno sprezzo del ridicolo, e insistono. Fossi in Silvio avrei la tentazione di sbandierare in tv il certificato del dottore".

L'autore del dolce stilnovo si chiama Vittorio Feltri e non è omonimo dell'attuale direttore de 'il Giornale'. È proprio lui: lo stesso che ora, con grave sprezzo del pericolo, pubblica le denunce integrali ai due quotidiani che, come lui, han dubitato della virilità del Capo.
In attesa che Lepri e Ghedini denuncino pure lui, c'è una sola faccia più tosta della sua: quella di un tizio che, quando Feltri fu condannato a 18 mesi per aver diffamato il defunto senatore Chiaromonte sul caso Mitrokhin, ululò sdegnato contro il malvezzo di denunciare e condannare i giornalisti:
"Resto sconcertato alla notizia che Feltri venga condannato per un reato di opinione. A questo punto è definitivamente urgente depenalizzare i reati a mezzo stampa" (Ansa, 13 febbraio 2006).

Era Silvio Berlusconi. Poi, col lodo Alfano, ha abolito soltanto i suoi.

(10 settembre 2009)

Dal fango nasce il fiore di loto, dal letame nascono i fiori, ministro Brunetta, lo sapeva?

Placido querela Brunetta: "Indignato per le sue parole"

L'attore e regista annuncia in una lettera la denuncia contro il ministro, che ieri aveva detto che al Lido "c'è un pezzo d'Italia molto placida e leggermente schifosa"

VENEZIA - Michele Placido ha deciso di querelare il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, che ieri da Gubbio aveva detto che al Lido c'è "un pezzo d'Italia molto rappresentata, molto 'placida', e quest'Italia è leggermente schifosa". "Sono indignato, anzi indignati siamo io e i miei familiari perché ha usato il mio nome", dice il regista presente in concorso alla Mostra con il film Il grande sogno.

Con una lettera aperta, Placido dice al ministro Brunetta: "Ha sbagliato persona per questo io la denuncio alla giustizia italiana. Questo signore che lei chiama Placido, leggermente schifoso, lavora per il comune di Roma Teatro Tor Bellamonaca gratis da cinque anni, teatro di periferia signor Brunetta e sempre gratis con le risorse di pochi ha creato un teatro in Calabria per bambini in un posto di sangue e di 'ndrangheta".

Placido prosegue: "Per quanto riguarda il regista di cinema, i miei ultimi tre film, a proposito di sovvenzioni non ne hanno avute e hanno incassato 14 milioni di euro più le vendite all'estero. Non voglio dilungarmi sulla mia lunga carriera come attore con premi internazionali e lavori con Monicelli, Rosi, Tornatore, Albertazzi, Strehler, Ronconi: fannulloni anche loro? Molti film da me interpretati sono stati candidati all'Oscar, la serie La Piovra premiata e venduta nel mondo ha fatto incassare alla Rai miliardi di lire sul mercato estero. Non chiedo una percentuale, ma rispetto. Ho lavorato anche con Mediaset nel rispetto dell'azienda così come ho sempre lavorato lealmente con i funzionari dello spettacolo anche di questo governo. In Francia sarei un pezzo della cultura francese, qui invece sono un pezzo come ha detto lei leggermente schifoso. La denuncio per questo, ma forse vengo ingiuriato da lei, perchè ho dichiarato che non ho mai votato per il presidente Berlusconi?".

"Ho sempre cercato di servire lo Stato pensando che cinema e teatro hanno una funzione civile importante, forse è questa una colpa? - conclude Placido - Ho fatto anche l'elogio degli uomini di destra quando era il caso, vedere la storia di Ambrosoli nel film Un eroe borghese. Insomma anche io credo che in Italia bisogna lavorare e fare la propria parte con onestà, come lei. Ma lei la denuncio - prosegue Placido nella lettera aperta - perché offende il mio nome, la mia dignità e non distingue come non ha distinto 40 anni di lavoro, per questo ci vedremo in tribunale".

La lettera, per la quale Placido questa mattina si è consultato con il proprio legale, si conclude con un post scriptum. "Il mio prossimo film è prodotto dalla Fox e l'anno prossimo mi trasferisco con la famiglia in Francia per un contratto come regista già firmato con la Pathè cine, una delle maggiori società in Europa. Le voglio ricordare il titolo del film Miserere! e non è una battuta".

(12 settembre 2009)

12 settembre 2009

"La corda ormai tesissima e logora che ha da spezzarsi"

POLITICA

La prova del danno
di MASSIMO GIANNINI


Silvio Berlusconi, con l'incredibile show della Maddalena, è incappato nel primo, serio incidente internazionale del suo "premierato da combattimento". L'evocazione dei fantasmi che lo ossessionano -le escort, le inchieste giornalistiche e le indagini giudiziarie- gli costa la "sanzione" politica di un governo europeo.

Quella mezz'ora di soliloquio forsennato durante la conferenza stampa con il premier spagnolo - fuori da tutti gli schemi, le regole, le convenzioni, il buon senso e il decoro istituzionale - segna un punto di svolta non solo nel già deteriorato discorso pubblico italiano. Ma anche sul piano più delicato delle relazioni diplomatiche internazionali. Di fronte alle intemerate del Cavaliere - tra "il fascino della conquista" e le prestazioni sessuali mai pagate, tra l'autoelogio sul più grande statista degli ultimi 150 anni e l'attacco frontale non più solo a Repubblica e all'Unità ma stavolta anche al Pais - l'attonito Zapatero ha taciuto.

Ha taciuto nel durante, e ha taciuto anche nelle ore successive. È evidente che quel silenzio imbarazzato, soprattutto al cospetto di una minaccia inaudita nei confronti di un grande giornale spagnolo, ha destato indignazione e malumore anche a Madrid.

Questo spiega perché, il giorno dopo, il primo ministro spagnolo ha sentito il bisogno di tornare sul caso, anche per ragioni di convenienza interna: "coprirsi" dalle critiche della sua opinione pubblica, della sua comunità politica e di tutta la libera stampa del suo Paese. Ma le parole di Zapatero, ponderate e pesate fino alla virgola e pronunciate davanti al "collega" francese Sarkozy, gravano come macigni sulla coscienza (o sull'incoscienza) del premier italiano. Proviamo a rileggerle: "Se mantengo il silenzio è per un segno di rispetto e di cortesia istituzionale che mi impone una certa prudenza. Tutti conoscono la mia opinione sull'uguaglianza tra uomo e donna, ma tra governi abbiamo buone relazioni, abbiamo progetti comuni. Sono incontri istituzionali e dunque io rispetto sempre questi incontri e il ruolo che dobbiamo mantenere",

L'esegesi del testo è inequivoca. Zapatero, implicitamente, opera una distinzione netta nella valutazione su Berlusconi come capo di governo e sul Paese che il Cavaliere rappresenta. Ciò che pensa il premier spagnolo su quello italiano è chiarissimo: "Tutti conoscono la mia opinione sull'uguaglianza tra uomo e donna". Come dire: la sexual addiction del nostro presidente del Consiglio, e le logiche di scambio politico che la regolano, sono esecrabili e intollerabili. Ma Zapatero preferisce non parlarne pubblicamente, come preferisce non commentare gli anatemi contro il Pais, solo perché - in virtù di quella "scissione" nel giudizio - rispetta l'Italia che è partner della Spagna, come degli altri Paesi europei, in diversi "progetti comuni".

Il filo di questo ragionamento porta irrimediabilmente a una doppia, semplicissima conclusione, che conferma ciò che Repubblica sostiene da tempo. Primo: il premier è ormai drammaticamente "vulnerabile", e sistematicamente esposto al rischio di queste performance, poiché dovunque vada e con chiunque si incontri, anche oltre confine, inciampa in domande ineludibili (ancorché prive di risposte credibili) sui suoi scandali pubblico-privati. Secondo: per continuare a rispettare l'immagine del nostro Paese, le altre cancellerie d'Europa si sentono doverosamente e responsabilmente obbligate a differenziarla da quella dell'uomo che lo governa. È la prova che Berlusconi è ormai palesemente un "danno" per l'Italia. All'estero lo hanno capito quasi tutti. Prima o poi, probabilmente, lo capiranno anche gli italiani.

(12 settembre 2009)
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IL COMMENTO
Escort, festini, minorenni
le dieci menzogne del Cavaliere
di GIUSEPPE D'AVANZO


DICE l'Egoarca che è stufo e replicherà "colpo su colpo". Dice, e sembra una sfida: "Venitemi a dire che non rispondo alle domande, siano quelle di Repubblica o di El Paìs". Più che rispondere, Silvio Berlusconi sfoggia - non è una novità, è la magia che gli riesce meglio - una sapienza stupefacente nell'uso della menzogna che manovra in ogni direzione. Ora nasconde la verità, ora la inventa di sana pianta, ora la nega contro ogni evidenza, ora la deforma secondo convenienza. Se si analizzano i nove minuti della perfomance autistica e autocelebrativa della Maddalena, dinanzi uno Zapatero sgomento, salta fuori un catalogo di dieci menzogne (e una sorprendente verità che gli sfugge inconsapevolmente).

1. La prima menzogna. L'Egoarca non risponde alle domande di Repubblica. Ne dimentica alcune. Due soprattutto suggerite dall'allarme della donna che lo conosce meglio, la moglie. Veronica Lario dice che Berlusconi "frequenta minorenni" e "non sta bene". Il capo del governo si tiene lontano da terreni che devono apparirgli minati. È stato documentato che ha frequentato due minorenni (Noemi e Roberta), invitate a Villa Certosa, senza i genitori nei giorni di Capodanno 2009. Noemi Letizia, minorenne, lo ha accompagnato a una cena del governo. C'è altro? Silenzio. Berlusconi non osa affrontare la questione della sempre più evidente sexual addiction che lo costringe a una vita sconveniente e pericolosa.

2. Berlusconi nega che nelle sue residenze ci siano "feste e festini". Dice che, come leader del suo partito, "fa una serie di incontri con i rappresentanti e le rappresentanti di organizzazioni politiche, come i circoli "Meno male che Silvio c'è"". È una bugia. Da quel che è stato documentato dall'indagine di Bari, dalle testimonianze di Tarantini e di alcune "ospiti" retribuite, gli appuntamenti notturni del premier non prevedono né discussione politiche (si parla soltanto dei successi dell'Egoarca, se ne ammirano gli interventi in giro per il mondo, si ride della sue barzellette) né la partecipazione di comitati di fans. Un cerchio stretto di ruffiani e ruffiane invita a Palazzo o in Villa ragazze ambiziose o professioniste del sesso che accettano di passare la notte con il presidente.

3. Dice l'Egoarca: "Non è vero che ho candidato "veline". Abbiamo fatto un corso per giovani laureate che volevano diventare assistenti di eurodeputati e ne abbiamo individuate tre con grandi capacità". È una menzogna. Il "corso" è stato organizzato per preparare candidati e candidate al Parlamento di Strasburgo, come hanno confermato nel tempo i ministri che vi hanno preso parte come docenti. È stato un corso di formazione dove la presenza di "veline" era così appariscente da essere raccontata con molti particolari dai giornali (ohibò!) della destra. Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una "velina" alle elezioni europee è il Giornale della famiglia Berlusconi. Il 31 marzo, a pagina 12 si legge che "Barbara Matera punta a un seggio europeo". "Soubrette, già "Letterata" del Chiambretti c'è, poi "Letteronza" della Gialappa's, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri, la Matera, scrive il Giornale, "ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. "Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto"". "E si vede", commenta il giornale di casa Berlusconi. Il secondo giornale che svela "la carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare" è Libero, il 22 aprile. A pagina 12, le rivelazioni: "Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore" è il titolo. "Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl" è il sommario. I nomi della candidate che si leggono nella cronaca di Libero sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e "una misteriosa signorina" lituana, Giada Martirosianaite. Sono questi nomi, questi metodi a sollevare le critiche della fondazione farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini. La politologa Silvia Ventura avverte che "il "velinismo" non serve: assistiamo a una dirigenza di partito che fa uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno molto da fare. Le donne non sono gingilli da utilizzare come specchietti per le allodole". "Ciarpame senza pudore", aggiunge Veronica Lario.

4. Dice l'Egoarca: "[Con Patrizia D'Addario] mi sono comportato come si deve comportare secondo me ogni padrone di casa". Quel che si sa del primo incontro di Berlusconi smentisce la correttezza di un padrone di casa consapevole di avere accanto una prostituta. "Che Patrizia fosse una escort, quella sera, lo sapevano tutti", dice Barbara Montereale, anche lei ingaggiata dal ruffiano del presidente, Gianpaolo Tarantini. C'è una traccia della consapevolezza del presidente. L'Egoarca "stropiccia" subito Patrizia D'Addario seduta accanto a lui sul divano, dinanzi agli uomini della sua scorta. Nel primo incontro, le propone di visitare la camera da letto in compagnia di altre due ragazze. La sollecita a entrare nel "lettone di Putin". La D'Addario rifiuta.

5. Dice l'Egoarca: "Nella patria di Casanova e dei playboy, la gioia più bella è la conquista. Se tu paghi che gioia ci potrebbe essere?". È una menzogna. Come Barbara Montereale, la D'Addario è stata ricompensata con una candidatura politica (doveva entrare nelle liste Europee, ottenne poi uno spazio per le elezioni comunali di Bari). Alla D'Addario Berlusconi promise anche un intervento politico per sistemare un affare edilizio. Corrispettivi dello scambio sesso-potere. Quando si alleggeriranno le pressioni corruttive e le intimidazioni sulle ragazze, anche straniere, ospiti di Villa Certosa (e immortalate dalle immagini di Salvatore Zappadu) si potrà forse riferire quello che alcune testimoni hanno raccontato: e cioè come Berlusconi distribuisse egli stesso alle falene le buste con il denaro. Si potrà dire della regola imposta come assoluta di non parlare "mai, mai" con le altre ragazze del denaro ricevuto perché in quelle buste il numero delle banconote non era sempre uguale, duemila, cinquemila, diecimila euro. Il "sultano" premiava la performance, a quanto pare.

6. Dice Berlusconi: "Un imprenditore di Bari, Tarantino o Tarantini, era venuto ad alcune cene facendosi accompagnare da belle donne. Erano ragazze che questo signore portava come amiche sue, come sue conoscenti". È stupefacente che il capo del governo finga di non ricordare il nome del suo ruffiano e banalizzi ora un'intensa amicizia. Le intercettazioni delle loro conversazioni - e soprattutto la loro frequenza - contraddicono le sue parole. Tarantini e Berlusconi si sentivano anche dieci volte al giorno e nei brogliacci della procura della Repubblica ci sono decine e decine di telefonate. Nessun reato, dice ora il procuratore di Bari. In ogni caso, lo scambio tra il presidente del consiglio e il suo ruffiano è chiaro: l'Egoarca chiede "belle donne", Tarantini (pagandole) gliele procura. In cambio, il ruffiano conta sull'influenza del premier per concludere affari. Forse non c'è reato, ma il baratto può dirsi limpido per la rispettabilità delle istituzioni e neutro per la gestione della cosa pubblica?

7. La settima menzogna custodisce una singolare verità. Dice Berlusconi: "Io sono stato vittima di un attacco di una persona [la D'Addario] che ha voluto creare artatamente uno scandalo". L'Egoarca non si rende conto di confermare una delle questioni più rilevanti di questo caso: la sua vulnerabilità. Una vita disordinata e sconveniente per il decoro e l'onore della responsabilità pubblica che ricopre lo ha reso fragile, ricattabile. È falso che la D'Addario lo abbia ricattato (ha solo risposto a un pubblico ministero che la interrogava offrendo documenti sonori che da sempre maniacalmente raccoglie in ogni occasione). È vero che Berlusconi sia ricattabile. Quante sono le ragazze che possono minacciarlo? Il via vai di prostitute a Palazzo Grazioli, le cene, le feste, il sesso, le orge, le sue abitudini di vita e il veleno della satiriasi espongono con tutta evidenza Silvio Berlusconi a pressioni e tensioni che nessuno è in grado oggi di immaginare.

8. Dice l'Egoarca: "L'informazione buona è la tv". L'informazione televisiva, controllata direttamente o indirettamente dal capo del governo, è stata pessima. Si è trasformata in una "macchina del silenzio" che ha negato a sette italiani su dieci le notizie più elementari e comprensibili di un "caso" che ha screditato e scredita in tutto il mondo il presidente del consiglio e, con lui, il nostro Paese. E tuttavia è stata proprio la televisione a fargli lo scherzo più maligno. A maggio l'Egoarca va a Porta a porta per spiegare "veline" e Noemi. Infila un rosario di bugie e contraddizioni che, dopo mesi, ancora lo soffocano. Quando si accorge dell'errore, ritorna davanti alla telecamere per dire un'altra bubbola strabiliante: "Non ho detto niente".

9. Berlusconi dice: "Non c'è alcuno scontro con la Chiesa". La menzogna è contraddetta dall'impossibilità oggi per Berlusconi di incontrare il Papa, il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, il presidente dei vescovi italiani Angelo Bagnasco. Una difficoltà acutizzata dal character assassination del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo (accusato dal giornale del premier di omosessualità con un falso documento giudiziario). Le parole più severe contro Berlusconi sono state pronunciate dal segretario generale della Cei, il vescovo Mariano Crociata: "Assistiamo a un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati. Soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio". Buoni rapporti?

10. Dice Berlusconi: "Credo di essere di gran lunga il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni". Bè, questa è davvero la menzogna più grossa.

(12 settembre 2009)

11 settembre 2009

El Pais commenta l'intervista al Premier italiano

L'EDITORIALE DEL PAIS

Meglio non frequentarlo

Al termine di un incontro con Zapatero, Berlusconi esibisce la sua confusione tra pubblico e privato

Silvio Berlusconi è ormai una compagnia poco raccomandabile. Lo ha potuto verificare ieri Zapatero, che ha dovuto sopportare, insieme a numerosi ministri dei due Paesi, le deliranti e mortificanti spiegazioni sul reclutamento di giovani donne per le liste elettorali del Popolo della libertà, sulle sue riunioni e feste con decine di donne dedite alla prostituzione e sulle sue accuse screditanti nei confronti di El Pais e di quella stampa italiana ancora al riparo dalla sua voracità di proprietario di media e dai suoi sforzi per limitare la libertà d'espressione.

Quello che sta trasformando Berlusconi in un personaggio inadeguato a un Paese serio e a un governo presentabile, togliendogli qualunque capacità di dialogare con autorevolezza con i suoi omologhi, non è la sua vita privata, ma proprio la confusione delirante fra pubblico e privato con cui ha organizzato la vita politica italiana.

La conferenza stampa al termine del vertice bilaterale fra i ministri è la migliore dimostrazione di questa esecrabile mescolanza di generi, che si produce perfino al momento di fornire le spiegazioni che i giornalisti legittimamente gli chiedono. Quasi dieci minuti sono durate le sue prolisse spiegazioni, condìte di egolatria e di umorismo maschilista e rissoso, sempre più complicate mano a mano che tra i presenti, spagnoli e italiani, si diffondeva l'imbarazzo.

Su Berlusconi in questo momento ricade il sospetto di usare il suo potere personale nella designazione di alte cariche dello Stato e nella formazione delle liste elettorali per ottenere favori sessuali. Lui stesso ha documentato e ieri ha perfino esibito come imbarazzante spiegazione sulla sua vita sessuale la propria vulnerabilità di uomo pubblico a cui può capitare di vedersi presentare delle belle ragazze, che naturalmente gli cadono ai piedi sedotte dal suo fascino, per ottenere in cambio favori politici o economici. Nulla si può dire della vita privata di chi sa preservarla, ma nel suo caso è stato lui stesso, i suoi stessi mezzi di comunicazione e la sua ex moglie che hanno scoperchiato tutto quanto, nel caso di quest'ultima segnalando il suo rapporto malato con ragazze minorenni, qualcosa che certo non potrà essere oggetto di incriminazione giudiziaria in Italia a causa della corazza legale che lui stesso si è costruito intorno.

Frequentare Berlusconi, il cui Paese fa parte del G8, è diventato un problema politico in più nella complessità delle relazioni internazionali. Ma quello che lo squalifica come governante è la sua vulnerabilità di fronte a qualunque pressione occulta, frutto delle circostanze che lui accetta per appagare la propria vanità e il proprio ego. La Chiesa, profondamente infastidita dai suoi comportamenti e oggetto dei suoi attacchi, ha deciso di trarre profitto dalla sua debolezza politica ottenendo interventi giuridici proprio nel campo della morale. Ed è chiaro che molti altri possono seguire la stessa strada.

(Questo articolo è stato pubblicato oggi su El Pais. Traduzione di Fabio Galimberti)

(11 settembre 2009)

07 settembre 2009

E nega nega che la crisi c'è...il Premier se l'è dimenticato pure in occasione del G8


E' un volume su Canova che il Cavaliere ha regalato ai leader presenti al G8 ma il premier canadese non può accettarlo per la legge sul conflitto d'interessi

Vale troppo, finisce in museo il libro donato da Berlusconi
Il volume ha una copertina in marmo e vale 460 mila dollari


Ad Harper la copia numero uno: sarà esposta in una struttura pubblica

* LE IMMAGINI

WASHINGTON - Ha un valore di 460 mila dollari il volume dalla copertina in marmo donato dal premier Silvio Berlusconi al collega canadese Stephen Harper e a tutti i leader del G8 all'Aquila, secondo gli esperti citati dal quotidiano Toronto Star. Il libro su Antonio Canova, con copertina in marmo di Carrara e dal peso di 25 chili, era stato regalato ai leader dei paesi partecipanti al vertice. Il volume è stato prodotto in un numero limitatissimo di esemplari e al Canada è toccata la copia numero uno.

Tuttavia il premier canadese non potrà tenere per sé il prezioso presente: la legge federale proibisce ai politici di accettare doni del valore superiore ai mille dollari. Il libro, di proprietà del governo, finirà quindi in un museo.

Il 10 luglio scorso, durante la consegna dei doni avvenuta all'Aquila, il primo ministro canadese aveva dichiarato: "Berlusconi è in gran forma, ma fa regali esagerati". Harper aveva aggiunto: "L'unico problema che ho avuto con Berlusconi sono i regali che mi ha fatto, abbastanza per mettermi in seria difficoltà con la Commissione etica, per questo sto assicurandomi di averli registrati tutti''.

Proprio la commissione etica canadese stabilisce, nel Conflict of Interests Act, norme molto severe per i regali alle autorità pubbliche. I regali con valore superiore ai mille dollari diventano proprietà del governo.

L'opinione pubblica canadese si era mostrata stupita dai costosi doni di Berlusconi. Non solo perché il tema del G8 era la recessione economica, ma anche perché la riunione dei grandi del mondo si svolgeva all'Aquila, devastata pochi mesi prima dal terremoto.

(7 settembre 2009)
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by danDapit:

Lo avevo notato e già annotato sul blog, che il regalo che ha offerto il signor Berlusconi al G8 era INAPPROPRIATO e DISPENDIOSO, mi ero chiesta se lo aveva pagato di tasca sua o infilando le mani nelle tasche degli italiani...

05 settembre 2009

E' la nostra dignità di cittadini che va riscattata dal clima di docilità e servizievole sudditanza

L'ANALISI

Una ferita alla democrazia
di NADIA URBINATI

Fatte salve le forme dell'uguaglianza civile e politica, ogni moderna democrazia funzionante è in grado di scegliere, di selezionare classi di governo in senso proprio, e di consentire il formarsi, nella società, di ceti dirigenti in senso lato, sulle basi dell'ingegno, dell'impegno e del merito. Sono le élites - aristocratiche, borghesi, operaie - quelle che hanno anticipato i nuovi orizzonti della società.

L'hybris dominandi sembra rendere il nostro premier incapace perfino di comprendere il senso del limite e della limitazione. Il fatto preoccupante è che nessun contenimento tradizionale del potere sembra efficace abbastanza. La ragione di questa inefficacia non sta nelle strategie costituzionali, che sono chiare e ottime, ma in un fattore che è culturale e per questo difficile da modificare o contenere. Per dirla in parole povere, i contrappesi costituzionali e ogni azione di contenimento di carattere giuridico e istituzionale funzionano soltanto e fino a quando c'è da parte di chi governa la volontà di rispettarli, fino a quando cioè la costituzione formale e quella materiale coincidono. È proprio questa coincidenza che oggi si è spezzata cosicché alla costituzione scritta, come ha messo in evidenza più volte Gustavo Zagrebelsky, se ne è come sovrapposta un'altra, quella che si riflette nelle leggi, nelle politiche e nei comportamenti del governo e del suo leader. La regola che governa il nostro paese è funzionale a uno scopo molto semplice nella sua brutalità: conservare il potere ed esercitarlo per il bene e l'interesse di chi lo esercita. Qui sta il vulnus dispotico del quale soffre la democrazia italiana oggi.

Certo, si tratta di un vulnus che gode della maggioranza dei voti degli italiani; ma è bene essere consapevoli che quello che la maggioranza esercita non è un potere innocente, perché è stato costruito affidandosi in larga parte all'uso spregiudicato e poi al dominio diretto e incontrastato dei media. Ieri Berlusconi ha attaccato l'informazione nel suo complesso: ma quante sono le reti televisive e le testate libere in Italia?

Per questa ragione è fuorviante parlare di tirannia della maggioranza, perché, come ben compresero i liberali ottocenteschi, in un governo rappresentativo è sempre e comunque una minoranza a tenere le fila del potere della parola. Questo vale in maniera spropositata nella nostra democrazia, dove il rischio alle libertà civili primarie - in primis quella della libera formazione e manifestazione delle idee - viene dai pochi, i molti essendo uno strumento di sostegno passivo. I cittadini sono ridotti a semplici spettatori con l'aggravante che lo spettacolo al quale assistono è scientemente manipolato e decurtato. Gli italiani - quell'80% che si affida alla televisione per informarsi - vivono come in uno stato di autarchia mediatica, chiusi al mondo del loro paese e a quello che del loro paese il mondo pensa e scrive. Questa è la situazione gravissima nella quale ci troviamo.

Il premier considera e tratta l'Italia come il suo cortile di casa: con collaboratori domestici o addomesticati che si preoccupano di allontanare da lui ogni sospetto di dissenso, che confezionano notizie con lo scopo di nascondere la verità ai cittadini e passano leggi per accomodare il diritto alle necessità del premier; con intrattenitori e intrattenitrici che rallegrano la sua vita; con ministri che come visir sfornano politiche che falcidiano la cosa pubblica, dalla scuola alla sanità, e dirottano risorse non si sa bene dove e per fare cosa.

Perché tutto questo si mantenga, il dissenso deve essere azzerato con tutti i mezzi: dal mercato alle strategie intimidatorie. L'obiettivo è terrorizzare e ridurre al silenzio chi pensa liberamente per infine circondarsi di yes-men e yes-women. Che sia un segno di impotenza invece che di forza è evidente, tuttavia per chi tiene ai diritti e alla libertà gli effetti di questo potere di dominio sono disastrosi. Ora, non c'è da dubitare che il Pdl ospiti molti liberali, persone convinte che i diritti di libertà siano un bene prezioso che non può essere sacrificato a nessuna maggioranza - come possono questi liberali restare in silenzio? Come possono non comprendere che nella nostra Costituzione scritta è anche la loro sicurezza? Si usa dire che le costituzioni sono scritte quando il popolo è sobrio e pensando all'eventualità che potrebbe non esserlo sempre. I liberali hanno voluto legare la volontà della maggioranza con le costituzioni perché sono pessimisti abbastanza da non escludere che si possano formare maggioranze non sobrie che traghettino il paese verso acque pericolose. I liberali tutti non possono non vedere che l'Italia si trova oggi a navigare in un mare in tempesta, battuta da un lato da pericolose ondate di razzismo e intolleranza e dall'altro da un leader che ha in disprezzo i diritti fondamentali. L'attacco frontale a Repubblica, quello subdolo all'Avvenire, la critica durissima alla stampa estera - e l'ultima accusa al sistema informativo tout court - costituiscono un pericolo che nessun liberale serio può sottovalutare.

Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici. In primo luogo è urgente che l'opposizione di scrolli dal torpore delle sue solipsistiche diatribe che ne paralizzano l'azione politica e si faccia promotrice di un coerente discorso politico alternativo che rimetta in moto un movimento civile di opinione che chieda a voce alta verità e giustizia, che sappia riportare i cittadini nell'agorà pubblica; in secondo luogo vanno usati tutti gli strumenti giuridici di cui il nostro Stato e l'Ue dispongono: portare il caso italiano davanti al parlamento europeo propone Gianni Vattimo, ma si dovrebbe anche aggiungere, rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti; infine, mettere in moto tutti gli strumenti dei quali l'opinione politica libera può disporre, e visto che non pare facile strappare il bavaglio imposto dalle televisioni nazionali, occorrerebbe attivare una rete di controinformazione tramite il web, i giornali, le associazioni della società civile, i movimenti. Ci troviamo in una condizione di emergenza e di eccezionale rischio. E' la nostra dignità di cittadini che deve essere riscattata da questo clima di docilità e servizievole sudditanza. Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla.

(5 settembre 2009)
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Hýbris è un termine tecnico della tragedia greca e della Letteratura greca, che compare nella Poetica di Aristotele (il più antico studio critico su questo genere). Dal greco Υβρις significa letteralmente "tracotanza", "eccesso" "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione".

Nella trama della tragedia, la hýbris è un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli eventi del presente. È una “colpa” dovuta a un’azione che vìola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie.Al termine hýbris viene spesso associato, come diretta conseguenza, quello di "némesis", in greco νέμεσις, che significa "vendetta degli dei", "ira", "sdegno" e che quindi si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si macchia di tracotanza.
(da Wikipedia)

02 settembre 2009

Importante è NEGARE, NEGARE, NEGARE. Poi INVENTARE.


Il premier attacca il direttore e l'editore del quotidiano. "Avrei risposto se quei quesiti me li avesse presentati un qualsiasi altro giornale"

Berlusconi: "Repubblica un super-partito perciò non ho risposto alle 10 domande"

ROMA - Dopo lo scontro con l'Unione europea l'attacco frontale a Repubblica, al suo direttore e al suo editore. Silvio Berlusconi da Danzica non dimentica le sue difficoltà in patria e tenta l'affondo contro il giornale di diretto da Ezio Mauro, e alle dieci domande alle quali il premier non risponde da settimane. "A questa gente non rispondo", dice il presidente del Consiglio al termine di una lunga passeggiata fra le gioiellerie della cittadina polacca. "Se queste domande - aggiunge - me le avesse poste (magari in modo diverso perché così sono insolenti, offensive e diffamanti) un giornale che non fosse un super partito politico di un editore svizzero con un direttore dichiaratamente evasore fiscale, avrei risposto". Anche perché, sottolinea, "non avrei nessuna difficoltà a farlo".

Tranne a quella sulla salute, precisa sorridendo, ma solo perché
chiaro che "non sono malato, anzi sono Superman".

Il 'la' per parlare delle vicende private lo fornisce lui stesso riferendo di una conversazione avuta a margine delle cerimonie con il premier polacco Donald Tusk. "Siccome alcuni giornali italiani mi hanno fatto una pubblicità molto positiva - ironizza - allora trovo che sia assolutamente normale dire quale è la realtà ai miei colleghi".
Berlusconi ripete, nonostante le tante testimonianze che dicono il contrario, la sua versione dei fatti: "Non ho mai frequentato minorenni, tantomeno la signorina Letizia; non ho mai dovuto dare soldi a una meretrice; ed infine non ho mai partecipato nè tantomeno organizzato festini". Solo delle "menti malate", sottolinea, possono immaginare cose del genere".

Purtroppo però, prosegue, certa stampa italiana con la complicità di "giornali amici" all'estero "mi costringe a mettere dei punti sulle 'i'". Non che i leader stranieri mi chiedano di queste cose, precisa sorridendo, "ma ogni tanto magari fanno dei complimenti circa la mia vivacità, sul mio fascino...".

E se l'attacco a Repubblica è diretto e violento qualcosa da ridire il Cavaliere ce l'ha anche sul Corriere della Sera, ma quello del 1939. Berlusconi ricorda come il Corsera applaudì "alla reazione della Germania nazista all'espulsione di una minoranza di tedeschi dalla Polonia. Fu la scusa con cui Hitler invase il Paese e il giornale di via Solferino, dice Berlusconi, titolò "fantastica operazione umanitaria". "Bravi", aggiunge ironico.

Del caso Avvenire che lo ha visto finire nel mirino delle gerarchie ecclesiastiche e del mondo cattolico nel suo complesso dice di non voler parlare : "Non ho mai detto una cosa negativa o dato un giudizio bacchettone", spiega.

(1 settembre 2009)
SuperSilvio contro Repubblica SuperPartito!


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IL COMMENTO

La strategia della menzogna
di EZIO MAURO


POICHE' la sua struttura privata di disinformazione è momentaneamente impegnata ad uccidere mediaticamente il direttore di "Avvenire", colpevole di avergli rivolto qualche critica in pubblico (lanciando così un doppio avvertimento alla Chiesa perché si allinei e ai direttori dei giornali perché righino dritto, tenendosi alla larga da certe questioni e dai guai che possono derivarne) il Presidente del Consiglio si è occupato personalmente ieri di "Repubblica": e lo ha fatto durante il vertice europeo di Danzica per ricordare l'inizio della Seconda guerra mondiale, dimostrando che l'ossessione per il nostro giornale e le sue inchieste lo insegue dovunque vada, anche all'estero, e lo sovrasta persino durante gli impegni internazionali di governo, rivelando un'ansia che sta diventando angoscia.

L'opinione pubblica europea (ben più di quella italiana, che vive immersa nella realtà artefatta di una televisione al guinzaglio, dove si nascondono le notizie) conosce l'ultima mossa del Cavaliere, cioè la decisione di portare in tribunale le dieci domande che "Repubblica" gli rivolge da mesi. Presentata come attacco, e attacco finale, questa mossa è in realtà un tentativo disperato di difesa.

Non potendo rispondere a queste domande, se non con menzogne patenti, il Capo del governo chiede ai giudici di cancellarle, fermando il lavoro d'inchiesta che le ha prodotte. È il primo caso al mondo di un leader che ha paura delle domande, al punto da denunciarle in tribunale.

Poiché l'eco internazionale di questo attacco alla funzione della stampa in democrazia lo ha frastornato, aggiungendo ad una battaglia di verità contro le menzogne del potere una battaglia di libertà, per il diritto dei giornali ad indagare e il diritto dei cittadini a conoscere, ieri il Premier ha provato a cambiare gioco. Lui sarebbe pronto a rispondere anche subito se le domande non fossero "insolenti, offensive e diffamanti" e fossero poste in altro modo e soprattutto da un altro giornale. Perché "Repubblica" è "un super partito politico di un editore svizzero e con un direttore dichiaratamente evasore fiscale".

Anche se bisognerebbe avere rispetto per la disperazione del Primo Ministro, l'insolenza, la falsità e la faccia tosta di quest'uomo meritano una risposta.

Partiamo da Carlo De Benedetti, l'editore di "Repubblica": ha la cittadinanza svizzera, chiesta come ha spiegato per riconoscenza ad un Paese che ha ospitato lui e la sua famiglia durante le leggi razziali, ma non ha mai dismesso la cittadinanza italiana, cioè ha entrambi i passaporti, come gli consentono la legge e le convenzioni tra gli Stati. Soprattutto ha sempre mantenuto la residenza fiscale in Italia, dove paga le tasse. A questo punto e in questo quadro, cosa vuol dire "editore svizzero"? È un'allusione oscura? C'è qualcosa che non va? Si è meno editori se oltre a quello italiano si ha anche un passaporto svizzero? O è addirittura un insulto? Il Capo del governo può spiegare meglio, agli italiani, agli elvetici e già che ci siamo anche ai cittadini di Danzica che lo hanno ascoltato ieri?

E veniamo a me. Ho già spiegato pubblicamente, e i giornali lo hanno riportato, che non ho evaso in alcun modo le tasse nell'acquisto della mia casa che i giornali della destra tengono nel mirino: non solo non c'è stata evasione fiscale, ma ho pagato più di quanto la legge mi avrebbe permesso di pagare. Ho versato infatti all'erario tasse in più su 524 milioni di vecchie lire, e questo perché non mi sono avvalso di una norma (l'articolo 52 del D. P. R. 26 aprile 1986 numero 131, sull'imposta di registro) che, ai termini di legge, mi consentiva nel 2000 di realizzare un forte risparmio fiscale.

Capisco che il Premier non conosca le leggi, salvo quelle deformate a sua difesa o a suo privato e personale beneficio. Ma dovrebbe stare più attento nel pretendere che tutti siano come lui: un Capo del governo che ha praticato pubblicamente l'elogio dell'evasione fiscale, e poi si è premurato di darne plasticamente l'esempio più autorevole, con i quasi mille miliardi di lire in fondi neri transitati sul "Group B very discreet della Fininvest", sottratti naturalmente al fisco con danno per chi paga le tasse regolarmente, con i 21 miliardi a Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì, con i 91 miliardi trasformati in Cct e destinati a non si sa chi, con le risorse utilizzate poi da Cesare Previti per corrompere i giudici di Roma e conquistare fraudolentemente il controllo della Mondadori. Si potrebbe andare avanti, ma da questi primi esempi il quadro emerge chiaro.

Il Presidente del Consiglio ha detto dunque ancora una volta il falso, e come al solito ha infilato altre bugie annunciando che chi lo attacca perde copie (si rassicuri, "Repubblica" guadagna lettori) e ricostruendo a suo comodo l'estate delle minorenni e delle escort, negando infine di essere malato, come ha rivelato a maggio la moglie. Siamo felici per lui se si sente in forze ("Superman mi fa ridere"). Ma vorremmo chiedergli in conclusione, almeno per oggi: se è così forte, così sicuro, così robusto politicamente, perché non provare a dire almeno per una volta la verità agli italiani, da uno qualunque dei sei canali televisivi che controlla, se possibile con qualche vera domanda e qualche vero giornalista davanti? Perché far colpire con allusioni sessuali a nove colonne privati cittadini inermi come il direttore di "Avvenire", soltanto perché lo ha criticato? Perché lasciare il dubbio che siano pezzi oscuri di apparati di sicurezza che hanno fabbricato quella velina spacciata falsamente dai suoi giornali per documento paragiudiziario?

Se Dino Boffo salverà la pelle, dopo questo killeraggio, ciò accadrà perché la Chiesa si è sentita offesa dall'attacco contro di lui, e si è mossa da potenza a potenza. Ma la prossima preda, la prossima vittima (un magistrato che indaga, una testimone che parla, un giornalista che scrive, e fa domande) non avendo uno Stato straniero alle spalle, da chi sarà difeso? L'uomo politico passato alla storia come il più feroce nemico della stampa, Richard Nixon, non ha usato per difendersi un decimo dei mezzi che Berlusconi impiega contro i giornali considerati "nemici".

Se vogliamo cercare un paragone, dobbiamo piuttosto ricorrere a Vladimir Putin, di cui non a caso il Premier è il più grande amico.

(2 settembre 2009)

01 settembre 2009

Sono Uomini: l'uso dello spettegolare ricamandoci sopra

IL COMMENTO

L'officina dei veleni
di GIUSEPPE D'AVANZO


DUNQUE la "nota informativa", pubblicata dal Brighella che dirige il Giornale del capo del governo, non è né una "nota" né un'"informativa" né tanto meno un atto giudiziario. È una "velina". Ora è ufficiale: nel fascicolo del Tribunale di Terni non c'è alcun riferimento a Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, come a "un noto omosessuale". Lo dice il giudice di Terni: negli atti "non c'è assolutamente nessuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali".

Da qui - dalla menzogna del Giornale di Berlusconi - bisogna ripartire per comprendere il metodo e le minacce di un dispositivo politico che troverà - per ordine del potere che ci governa - nuovi bersagli contro cui esercitarsi, altri indiscutibili falsi da agitare per punire gli avversari politici o chi dissente. La storia è nota. Boffo osa criticare, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare l'Egoarca. Deve avere una lezione. Non c'è bisogno di olio di ricino, genere merceologico antiquato. Una bastonatura mediatica è ben più funesta di un lassativo. Può essere definitiva come un colpo di pistola. È quel che tocca al direttore dell'Avvenire: un colpo di pistola che lo tramortisce. Finisce in prima pagina del Giornale di Berlusconi descritto così: "Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell'accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione".

C'è stata finora una regola accettata e condivisa nel pur rissoso giornalismo del nostro Paese diviso: spara duro, se vuoi, ma è legittimo farlo soltanto con notizie attendibili e fondate, confermate da testimonianze o documenti che reggano una verifica, pena il discredito pubblico, la squalifica di ogni reputazione professionale. Il collasso di questa regola di decenza può inaugurare una stagione critica. Per descriverla torna utile Brighella, antica maschera della commedia dell'arte che nasce nella Bergamo alta. Attaccabrighe, briccone, bugiardo, Brighella viene da briga, intrigo: "se il padrone promette di ricompensarlo bene, dirige gli imbrogli compiuti in scena".

Il potere che ci governa immagina che i giornalisti debbano trasformarsi tutti in Brighella. Un Brighella in giro già c'è. Dirige il Giornale di Berlusconi. Si mette al lavoro e cucina l'aggressione punitiva per il dissidente. Gli hanno messo in mano un pezzo di carta anonimo, redatto nel gergo degli spioni e delle polizie. Chi glielo ha dato? Dov'è l'officina dei miasmi, dei falsi, dei dossier melmosi che il potere che ci governa promette di usare contro i non-conformi alla sua narrazione del Paese? Il foglietto che Brighella si ritrova sullo scrittoio è di quei frutti avvelenati. Non vale niente. È una diceria poliziesca. Il direttore del Giornale di Berlusconi la presenta ai lettori come una "nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore dell'Avvenire, disposto dal gip del Tribunale di Terni".

Quella "velina" diventa, nell'imbroglio di Brighella, un documento che gli consente di scrivere, lasciando credere al lettore di star leggendo un atto giudiziario: "Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconcie e offensive e di pedinamenti volti ad intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione".

Disinformazione e "falso indiscutibile", in questa manovra, fanno un matrimonio d'amore. Il documento è un falso indiscutibile. È utile però a un lavoro di disinformazione. La disinformazione, metodo maestro della Russia sovietica, contrariamente alla menzogna, contiene una parte di verità (anche in questo caso: Boffo ha accettato una condanna per molestie), ma questa viene deliberatamente manipolata con abilità. A Brighella non importa nulla delle molestie. Vuole gridare al mondo: il direttore del giornale della Conferenza episcopale è un frocio! Chi ha sensibilità per i diritti civili, i movimenti gay afflitti dall'Italia omofoba di oggi discuteranno dell'uso dell'omosessualità come colpa, difetto, vergogna, addirittura come reato.

Qui interessa l'uso del falso nel dispositivo politico che minaccia. Colto con le mani nel sacco dei rifiuti, quando diventa evidente che quella "nota informativa" è soltanto una "velina" di spione diventata lettera anonima ai vescovi e riesumata per la bastonatura, Brighella dice: "Non ho mai parlato di informative giudiziarie. Abbiamo un documento (ma è la sentenza di condanna per molestie). Il resto non conta. Non conta da chi l'abbiamo avuto, non conta se ci sono degli errori".
Sincer come l'acqua dei fasoi dicono a Bergamo per dire falso, bugiardo.
È quella schifezza presentata come "nota informativa"? Come documento? Addirittura come atto giudiziario? Non ne parliamo più? Non è accaduto nulla?
È stupefacente che la menzogna di Brighella venga presa sul serio proprio da quell'autorevole giornalismo italiano che finora ha accettato e condiviso la regola che sia legittima anche la durezza, pure la brutalità se in presenza di fatti, notizie, documenti, testimonianze affidabili. È sorprendente che si legga sul Corriere della sera di Ferruccio de Bortoli: "(Il direttore del Giornale) non retrocede di un passo" e su la Stampa di Mario Calabresi: "Nessuna retromarcia (del direttore del Giornale) sulla vicenda, dunque". Nessuna retromarcia?

Fingere di non capire, non valutare con severa attenzione quanto è accaduto oggi a Dino Boffo (domani a chi?), accettare di chiudere gli occhi dinanzi al metodo sovietico inaugurato dal potere che ci governa, con il lavoro di Brighella, ci rende tutti corresponsabili perché se chi diffonde una disinformazione è colpevole e chi le crede è uno sciocco, chi la tollera è un complice. Quella lucida aggressione, che trasforma il giornalismo in una pratica calunniosa senza regole, non può essere accettata con un'alzata di spalle né dall'informazione ancora indipendente né dalle istituzioni di controllo come il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).

Perché due cose ormai sono chiare in un affare che sempre più assume i contorni di una questione di libertà. Berlusconi pretende che l'industria delle notizie si trasformi o in organizzazione del silenzio (a questo pensa il Tg1 di Augusto Minzolini) o in macchina della calunnia (è il caso di Brighella). La macchina della calunnia si sta alimentando, in queste ore, con "veline" e dossier che servitori infedeli delle burocrazie della sicurezza le offrono. Per sollecitazione del potere o per desiderio di servire un padrone, non importa. È rilevante il loro uso politico. A questo proposito, dice Francesco Rutelli, presidente del Copasir: "Non ho ricevuto finora nessuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione".
Ieri Rutelli ha incontrato Gianni De Gennaro, direttore del Dipartimento per l'informazione e la sicurezza (Dis). Chi sa se ha avuto qualche "segnalazione". Comunque, pare opportuno concludere con un messaggio agli spioni al lavoro nella bottega dei miasmi: per favore, dopo aver cucinato le vostre schifezze, mandate un sms a Francesco Rutelli. Grazie.

(1 settembre 2009)