28 febbraio 2007

LA RUOTA e IL FRENO "COINCIDONO"

Ogni cosa sembra ritornare in modo ancora più fantastico della stessa immaginazione.
Facendo riferimento ad un
post che scrissi a metà dicembre, e ripartendo da lì, oggi proseguo.

Scrissi:

"Pranzo di Natale 2003.
Sulla tavola, insieme al mio segnaposto, trovo una citazione di Nietzsche.
Purtroppo non l'ho conservata, ho provato a cercarla, ma non l'ho trovata.
Perciò ora la riporto come la ricordo. Parlava della ruota e del freno. Più precisamente si addentrava nel rapporto tra la ruota ed il freno!
La ruota nel suo movimento gira, il freno la blocca.
Immediatamente mi identificai con la ruota: nel mio immaginario subito andai alla sofferenza della ruota nell'essere frenata. La citazione di Nietzsche però puntava oltre, soffermando l'attenzione sul fatto che anche il freno, nel bloccare la ruota, si fa male.
Fui molto colpita di trovarmi come segnaposto sulla tavola, la citazione che riguardava il rapporto tra la ruota e il freno. Non credo alle causalità, infatti penso che niente di ciò che nella vita ci si pone di fronte sia un caso! Così restai di marmo davanti alla citazione che, aspettandomi accanto al piatto del pranzo natalizio, mi puntualizzava una determinata relazione tra la ruota ed il freno!
Bilancio. Io sono "la ruota", colei che gira veloce, in movimento, sempre avanti, sempre a correre, senza rendermi conto che forse "gli altri" non hanno i miei tempi! Io divoro la vita, ma c'è chi ha meno fretta di crescere, di capire, d'affrontare, comunicare, confrontarsi... meno fretta di imparare, meno fretta di essere.
Meno fretta d'amare, poca voglia di lasciarsi amare.
Spesso nella mia corsa mi sono sentita bloccare.
Io desideravo fare un passo, l'altro no.
Io volevo decidere qualcosa, l'altro no.
Io volevo intraprendere o provare, o avventurarmi, l'altro no.
Bloccata, frenata. Aut aut: o andavo da sola, o non andavo.
Non mi era capitato di riflettere sul fatto che anche il freno si fa male nel bloccare chi corre veloce!
Per frenare deve restare appoggiato, consumandosi nell'attrito, sul movimento della ruota lanciata nella sua dinamica in corsa, finché essa non s'arresti.
Bel lavoro! Doloroso per la ruota, doloroso per il freno."
*********************************************************************

Proseguo.

La citazione l'avevo cercata a lungo prima di decidermi a scrivere il post senza averla fra le mani precisa e tangibile.
(Avevo anche fatto una ricerca su internet, ma di tante citazioni di Nietszche, questa non appariva menzionata da nessun parte)


Successivamente, a post ormai pubblicato, mi trovai a chiedere a Giuliana, colei che l'aveva posta sulla tavola a Natale 2003, se l'avesse conservata.
Mi rispose che era una citazione che aveva dai tempi del liceo, che la teneva custodita in un'agenda, e che me l'avrebbe fatta avere presto.
Durante il mese di gennaio, incontrandoci, Giuliana mi diede notizia di non riuscire ancora a trovare la famosa citazione. Se ne era ricordata, l'aveva cercata, ma continuava a non riemergere dalle sue carte e appunti.
Pensai che, nonostante avessimo tanta determinazione, evidentemente vinceva l'irreperibilità!
E sorrisi.

I primi di febbraio, controllando la posta all'indirizzo riservato ai contatti-bloggers, vidi spuntare una mail di Giuliana, la quale, come tutti i miei parenti, non sapeva che avessi aperto un blog!
Attimi di stupore e smarrimento: che ci faceva la sua mail fra i contatti-bloggers?
Allora era capitata nel mio blog!
Ma come?
Mille domande attraversavano la mente mentre cliccavo sulla mail per aprirla, leggerla, e mentre con avidità cercavo le infinite risposte ai veloci pensieri che sfrecciavano dentro.

Aprii, e lessi:
@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

"La ruota e il freno
hanno doveri diversi,
ma ne hanno anche uno uguale:
Quello di farsi male a vicenda!"
(F. Nietzsche)


"Sai...non riuscivo a trovare l'agenda dove avevo annotato la frase che mi avevi chiesto ...così ho pensato: ora provo a cercare su internet, e digito:

"La ruota e il freno Nietzsche..."

Entro nel primo sito che mi dà come risultato e leggo:

"Pranzo di Natale 2003...."
proseguo nella lettura...e, ma tu guarda...
C'è qualcosa di familiare in queste descrizioni..
...No, non può essere ....e' una coincidenza... toh...ma quel cancello nella foto lo riconosco .... ma sì!.... Sono entrata nel tuo blog... involontariamente...beh!
Una strana coincidenza, se pensi che in internet stavo cercando una cosa per te...
che del resto non sono riuscita a trovare su internet.

Poi, appena giunta a casa, sono andata a ricercarla, di nuovo, fra le vecchie agende... e...
...Appena aperta la prima agenda fra le mani, è saltata fuori... come per magia!
(Devi sapere che era una agenda che già avevo consultato alla ricerca della frase per ben due volte senza riuscire a trovarla ...)

Beh ...se questa non è una casualità...
Se non credi alla casualità...
Quale il senso di queste coincidenze?
Però ... mi è sembrato di violare il diario senza il permesso...
Scusa, ho pensato faccio finta di niente ... non le dico niente...del resto è stata una cosa involontaria...o predestinata...
...il fatto che per quanto cercassi a casa non riuscissi a trovare quella frase... il fatto che era lì nell'agenda sotto il naso, sfogliata e risfogliata...
E che infine provassi a cercarla in altro modo...cioè: su internet!
mah!
Bando alle ciance, l'HO TROVATA!

Insieme a quella, nella stessa pagina avevo trascritto un'altra frase di Nietzsche:

"ogni spirito profondo
ha bisogno di una maschera;
e più ancora intorno ad ogni spirito profondo
cresce continuamente una maschera
grazie alla costantemente falsa,
cioè superficiale interpretazione
di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà"

Ora ti saluto ... ciao da Giuliana!
Forse un pò streghe lo siamo veramente!"
***********************************************

Ecco allora la famosa citazione di Nietszche!
La ruota e il freno "coincidono"!

Nietszche parla di "Un Dovere" in comune.
La parola "dovere", però, a me non piace.
Preferisco interpretare il filosofo nel significato di complementarietà di ruota e freno, al pari di una comune missione:
la ruota quella di andare, il freno quella di frenare, ma l'una collegata strettamente all'altra; in tal senso la loro "missione" comprende il farsi male a vicenda.

E' il movimento del mondo, il movimento di ogni cosa: espansione, contrazione.
La stessa nascita avviene attraverso delle contrazioni che servono per dilatare il passaggio verso la luce.
E' doloroso, ma necessario, e poi, infine: bellissimo!

Senza questo movimento, necessario, di giro di ruota e di freno, di corsa ed arresto, di espansione e contrazione, si resterebbe nell'omeostasi, fermi, senza respiro (inspirazione-espirazione/allargamento-svuotamento).
E qui la ruota, che mai s'arresta se non con colpi bruschi d'un freno, ha dato un suo nuovo contributo, un passo avanti ancora, grazie a Giuliana, che con Nietszche, ha aggiunto:

"ogni spirito profondo
ha bisogno di una maschera;
e più ancora intorno ad ogni spirito profondo
cresce continuamente una maschera
grazie alla costantemente falsa,
cioè superficiale interpretazione
di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà"

Giuliana l'ha trovata accanto alla citazione sulla Ruota e il Freno dopo aver scoperto -per caso- che io avevo un blog;
inaspettato per lei, ha visto in me una maschera dietro cui celavo qualcosa della mia vita.

E qui io cammino,
passo su passo,
parola su parola,
riflettendo sul fatto se abbia o meno una maschera che mi cresce sopra,
...grazie alla costantemente falsa,
cioè superficiale interpretazione di ogni parola,
di ogni passo, di ogni segno di vita che ... io do?

Io do superficiale interpretazione?
O sono soggetta a superficiali interpretazioni delle mie parole, passi, segni di vita...

Come si interpreta questo passo di Nietzsche circa la profondità di una persona che diviene maschera per gli altri?

22 febbraio 2007

le CoiNCiDenZe SoNo Le CicATriCi dEl DEsTinO _ vol II°

L'ispirazione a sviluppare tale tematica è nata, come già accennato, da un post di Pier: "Giri di Vite"; partendo da una sua poesia, sono emerse riflessioni che si sono via via dipanate nei commenti...

Nel "vol. I°" ho fatto solo una breve premessa, e sono andata direttamente ad un racconto.
Ora faccio un passo indietro, e parto dalle origini.
La bella poesia di Pier, e un riepilogo sullo scambio nei commenti.

Giri di vite

Un addio è una lettera
Strappata senza esser letta
È un bacio senza labbra
È il destino che non aspetta
Terra senz’acqua
Trapassata dal vento
Incapace di crescere
O di cogliere il momento
Sole senza luce
Velato dalla stessa foschia
Un abbraccio al suo silenzio
Che tutto mette via


I Commenti

danDapit: "E' bella! una negazione in poesia, una negazione dipinta, una negazione che riesce a suonare...va letta, e poi riletta...e assaporata......non fa male, è una verità dipinta, uno spegnersi raccontato con delicatezza..."
Pier: "E' solo un pò di sangue che esce da una ferita e la sutura.
Mi piace molto quando usi il termine negazione associandolo a qualcosa di vivo (una poesia, un dipinto, un suono... una verità)."
danDapit: "Un addio è una Negazione. Fra le tue righe la Negazione è viva...e tu hai saputo dipingerla...Di solito il dolore annichilisce, qui ha donato immagini! ...Con pochi tocchi leggeri dai la globalità di una realtà!"
Lucia: "Parole come pennellate a tinte forti e tu, come un espressionista tedesco, hai tracciato le linee di una fine con la giusta tonalità. In quesi giorni penso spesso all'addio. Che coincidenza!"
Pier: "dandapit, hai ragione, una negazione è comunque una cosa viva, non è indifferenza e quindi ha i suoi colori, seppure a tinte dolorosamente forti. Chi se ne va che male fa, cantava (credo) la Vanoni...
Lucia, ho letto che un espressionista tende a privilegiare il lato emotivo della realtà piuttosto che quello oggettivo, e in questo senso il tuo commento mi fa molto piacere, perchè di fatto quella era la mia intenzione quando ho scritto, di getto, queste righe. L'addio è evidente solo nella prima riga, poi si confonde con altre immagini e alla fine sembra sparire pure lui. Ma voglio ancora sperare che un addio a qualcosa coincida con un benvenuto a qualcos'altro...

...Le coincidenze invece sono le cicatrici del destino, no?
Sai bene anche tu che niente accade per caso...Aspetto comunque i prossimi giorni per conoscere la tua idea sulla frase che ho riportato (tratta da "l'ombra del vento")... "
danDapit: "Pier...Non riesco a tacere circa ciò che vi state chiedendo te e Lucia, ho voglia di dire ciò che sento riguardo a quella frase:
4le coincidenze sono le cicatrici del destino3.
Per me sì, è così!
Ovvero: ANCHE così! "Cicatrici" in quanto desideri che non si sono realizzati? Delusioni? Dolcezze in amarezze?
I desideri sono "semi" dentro la nostra vita...Le "coincidenze" sono quei semi che "prima o poi" germogliano!"
Pier: "Penso che la coincidenza sia proprio il passaggio del destino in un punto (la cicatrice) dove aveva lasciato il suo segno precedentemente. Ma non è detto che si tratti per forza di una delusione o di un evento spiacevole; in fondo, per quanto possa tornare, il destino non lo fa mai allo stesso modo...Mi piace molto (e concordo) col fatto che le coincidenze siano semi che possono germogliare!"
danDapit: "Pier...non mi ritrovo molto...aspetta, dunque...
Non vedo il destino come un passaggio che determina la coincidenza, vedo che la "coincidenza" è dentro il destino, ne fa parte! perchè è un seme interno, e quindi è ciò che forma anche il "destino"...che non è qualcosa, per me, di fermo e scritto!
Ho parlato di eventi spiacevoli in quanto "cicatrici": la cicatrice nasce dove prima c'era una ferita!
Quindi la coincidenza è una cicatrice (seme) del destino, perchè "coincide" con un desiderio (seme) lasciato cadere nella nostra vita, e come seme, o cicatrice, determina "la coincidenza", ovvero: l'evento.
Questo è quello che sento, volevo spiegare meglio il mio punto di vista...sorry!"

Pier: "Il tuo punto di vista è molto suggestivo, ed anche condivisibile; il trasporto con cui ne parli sembra che questo argomento tu l'abbia vissuto in prima persona.
In effetti hai perfettamente ragione quando dici che una cicatrice nasce dove prima c'era una ferita, avrei dovuto essere più preciso nel dire che a volte una cicatrice compare anche quando si asporta qualcosa di negativo (anche solo un neo) dalla nostra pelle.
Io quella frase l'avevo percepita in modo diverso ma sono contento di conoscere la tua idea e di confrontarmi con te. Mi piace l'immagine (se ho capito giusto) che hai di un seme del destino che provoca una ferita per far germogliare qualcosa: questo dà senso anche al dolore che spesso si prova ma che può diventare l'embrione di una nuova felicità.
Grazie per le tue osservazioni e "contesta" quanto e quando vuoi!
danDapit: "Grazie Pier... Sono molto contenta dell'epilogo della tua riflessione...In effetti non pensavo esattamente ciò che hai espresso tu, eppure il tuo epilogo diventa la sintesi che "conosco" anch'io...
Mi sa che da questo "seme" nascerà un mio post futuro..."

Qui la nascita.
Il tema mi ha catturato perchè molte eco sono risuonate dentro di me.
Daniela (Odelance) tempo fa aveva parlato della Sincronicità sul suo blog, io commentando, avevo accennato che avrei avuto qualcosa da raccontare a quel proposito.
Pier in aggiunta, ha richiamato in modo profondo "principi" contenuti nella filosofia buddista, e per me era impossibile lasciare cadere tutto ciò senza nota.
Pier non è buddista.
E' stato un caso!
Lui ha espresso ciò che sentiva.
La vita è un bene prezioso, e questa è una verità assoluta: partendo da un punto comune a tutti, proverò ad accennare un modo di guardare alla vita da cui sono partite le mie riflessioni lasciate a Pier, e a cui si ricollega il racconto del "vol.I°" su Bert e Jenny.

Nel buddismo "il destino" si può chiamare "karma".
"Karma" significa "azione compiuta".
Ovvero il destino sono le "azioni compiute" nelle vite precedenti, e anche nella presente;
ancora più profondamente il "karma" o "destino" si forma attraverso: "Pensieri, parole ed azioni".
Ogni pensiero, ogni parola, ogni azione, è un seme.
E' una scelta.
Noi possiamo scegliere se pensare bene o male, se dare parole cattive o buone, se agire in pace o con rabbia.
Possiamo scegliere!
A volte, nella foga emotiva, ci sembra di non aver scelta.
In realtà niente e nessuno ci costringe ad usare un pensiero, una parola, o un'azione al posto di un'altra.
Spesso si tratta di abitudini, di indole,
e di emotività più o meno trasportante.
Se i pensieri sono "semi", ovviamente i desideri anche!
Il desiderio è un pensiero: è un pensiero ricorrente, un pensiero che anima passione, un pensiero che induce a fantasticare, o che porta sofferenza.
Più frequentemente lo stesso pensiero (alias: desiderio) occupa la nostra vita, più semi poniamo in quella direzione nella nostra vita.
A volte ci crediamo dentro di noi.
A volte invece ci affidiamo agli accadimenti esterni per fortificare e riuscire a credere in quel desiderio/pensiero, oppure, per indurci a sopprimerlo perchè ci sembra un'irraggiungibile chimera.
Eppure, qualsiasi sia il desiderio, esso è un seme che cade nella nostra vita.
E i semi prima o poi germogliano.
Forse non nei tempi che desideriamo noi, ma prima o poi, accade.
E questo nella mia vita è accaduto!
Sorprendentemente è accaduto più volte, e da quando ho conosciuto la filosofia buddista ho iniziato a notarlo con attenzione, ho imparato a leggere gli eventi, che prima mi scorrevano sotto al naso lasciandomi indifferente e pessimista.
Il destino quindi è un contenitore di "semi".
"Semi" o "Cause".
Ad ogni seme corrisponde la nascita di un frutto.
Ad ogni Causa corrisponde l'emergere di un Effetto.
Le coincidenze, a questo punto, ci lasciano sorpresi, basiti, a volte a bocca aperta come dei bimbi davanti ad un'inaspettata realizzazione fantastica!
Ci appaiono come "coincidenze", eppure hanno forti richiami, echi.
Sappiamo di aver desiderato qualcosa che riguardava quella "coincidenza", e ci troviamo lì davanti un fatto concreto: una persona che sta parlando di ciò a cui era rivolta la nostra attenzione, oppure una persona a cui pensavamo che ci si palesa improvvisamente davanti...Una persona amata 10 anni prima, che improvvisamente spunta di nuovo nella nostra vita, per vivere ciò che 10 anni prima non era accaduto!

Il racconto di Bert e Jenny mi è servito per poter parlare di questo.
Non era un racconto di scrittura creativa. E non potevo poeticizzarlo.
L'ho lasciato nella sua struttura più povera e scarna, con tratti semplici e basilari, uno schema lineare, da "diario di bordo".
























I personaggi:
la prima Mary, potevo definirla "A"-
la seconda Mary, potevo definirla "B"-
Nick, poteva essere "C"-
Sara, poteva essere "D"-
Bert era una pancia all'8° mese.
Jenny una pancia al 7° mese.

Così abbiamo un personaggio "A" collegato ad un personaggio "C" entrambi collegati ad un personaggio "B": questo nei fatti della realtà visibile.

In ciò che si muove nell'invisibile struttura del vivere, mosso da pensieri, desideri, da vite passate che nella vita presente mantengono il loro legame dall'eterno passato (scusate il linguaggio mistico, ma non posso farne a meno!), abbiamo un personaggio "D", apparentemente scollegato, che ha i suoi desideri nel cassetto, e che per puro caso si trova a parlarne con "B", e solo per questo si unisce a "C" in un desiderio comune; per scoprire poi nel tempo, che la sua vita -in qualche misterioso modo- è sicuramente legata ad "A", e lo confermano segni straordinari.

La storia di Mary, Nick, e Sara, che ha dato la vita a Bert e Jenny, è realmente accaduta, non è invenzione.

E le due Mary hanno veramente lo stesso nome!

C'è solo una cosa che non ho aggiunto al racconto, un particolare che è parte della realtà ma che ho omesso per semplificare la struttura e per non renderla un "condotto religioso".
Desidero inserirlo in questo passaggio, in cui, parlando di coincidenze, ho introddotto alcuni principi della filosofia buddista.

La particolarità è che "A" (Mary) incontrò la pratica buddista nel periodo in cui si stava lasciando con "C" (Nick).

Quando fra "C" (Nick) e "D" (Sara) iniziò la crisi nella loro relazione, anche "D" per caso incontrò la pratica buddista, di cui aveva sentito parlare da anni, ma che aveva sempre rifiutato.

"D" iniziò a conoscere il buddismo, a frequentare delle riunioni; esse però erano lontane dalla propria abitazione, quindi si informò per un luogo di riunione più vicino; vi fu accompagnata da una sconosciuta, e solo mentre era seduta in mezzo a tante altre persone, si accorse che accanto a lei c'era "A", anzi, che si trovava proprio a casa sua!

Nella vita non solo i pensieri sono realmente "semi" che restano "in latenza" finché non divengono "Effetti", ma un'altra legge indiscutibile è quella dell'impermanenza.
La vita è in continuo fluire, la dinamica del tempo è velocissima: il presente dura la frazione di un millesimo di secondo e diventa già passato. Il futuro, ignoto e sconosciuto, è davanti a noi molto prima di ciò che immaginiamo.

La vita e la morte sono le due facce della stessa medaglia.

L'impermanenza, il continuo e incessante fluire in avanti, ci dà una meravigliosa possibilità: quella di trasformare!

Dal momento che tutto è impermanente, è proprio attraverso i nostri pensieri e desideri che abbiamo la possibilità e capacità di trasformare.
La sofferenza non è condannata a restare tale, e la gioia va coltivata, valorizzata, affinché non svanisca in un attimo, e non diventi già passato.

Per me, la ormai celebre frase citata da Pier, "Le coincidenze sono le cicatrici del destino" significa che ciò che non si è realizzato, e che ha lasciato il suo segno, ha la possibilità di realizzarsi: non è una caso, una banale coincidenza,
E' la coincidenza: il coincidere del nostro seme con l'effetto nel reale.

Tutto è collegato, ed esiste una metafora che lo spiega bene: il posarsi di una farfalla su di un fiore qui, può scatenare un terremoto dall'altra parte della terra....

16 febbraio 2007

Le CoinCiDenze SonO Le CICAtRiCi dEl DeStiNo _vol. I°_

Questo post è dedicato a Pier.
E, visto che il piano dell'opera prevede vari volumi, anche ciò che seguirà a lui sarà dedicato !

Ho sommato degli stimoli interiori, a stimoli ricevuti da Pier nei suoi due ultimi post (
1°/giri di vite e 2°/Lettera al padre), e ricevuti da Daniela (Odelance) nel suo post sulla Sincronicità.
Ne sono scaturite varie ispirazioni, che cercherò di salvare dal caos interiore trasformandole -qua- in un racconto.

Seguiranno parole per sciogliere l'argomentazione che vi sottende.
Per adesso però sarà solo il racconto a parlare.

Protagonisti di questa storia sono Bert e Jenny.

Eccoli qui.

Ma i bimbi non nascono sotto le foglie di cavolo!
E per giungere a loro c'è un percorso.
C'è un seme che deve trovare la sua terra perchè la vita prenda a far battere la miniatura d'un nuovo cuore...

Il racconto ha inizio da una ragazza che si chiama Mary.
Mary ha vent'anni: si innamora, va a vivere insieme al suo ragazzo per la durata che sarà la loro storia d'amore.
Il legame si incrina, l'affetto segue a valanga un precipizio.
Mary e Nick si lasciano.
In seguito si ricercano.
Infine si rilasciano...
Le storie d'amore hanno a volte agonie lunghe!

Passa del tempo, Mary non cerca ormai più Nick.
Ha conosciuto un altro uomo, si è innamorata di nuovo.
Nick, scottato dalla sua esperienza con Mary, amareggiato per averla persa, non ha avuto ancora occasioni d'innamorarsi nuovamente.

Per caso un giorno Mary e Nick si incontrano per la strada, si salutano scambiandosi sommarie novità sulla loro vita.
Mary felice e radiosa dà a Nick notizia del suo imminente matrimonio.
Nick sorride, le fa gli auguri.
A Mary non sfugge però un turbamento sul viso di Nick, un'ombra che sa d'amarezza tradisce un celato dispiacere.
Dentro di sè desidera che anche lui sia felice nella sua vita...

Nello stesso istante... a pochissimi chilometri di distanza, misurabili in poche migliaia di metri... O forse in quei giorni, -ma l'esatto attimo di un tempo coincidente non possiamo conoscerlo- un'altra ragazza, Sara, sta iniziando a parlare con una collega dell'ufficio, con la quale fino ad allora si erano scambiate semplici saluti e sorrisi lungo i corridoi.
Si trovano insieme in una sala dell'Istituto in cui lavorano, scelte come Segretarie per presiedere a delle elezioni interne.
La collega di Sara si chiama anche lei Mary, hanno entrambe la stessa età. Sono annoiate e ridono per quella situazione che le accomuna.
Decidono di uscire a prendere un caffè, e nell'affabilità del momento scivolano, come leggeri voli di farfalle, in facile confidenza.
Sara, infilando parole e pensieri, finisce col raccontare a Mary uno dei suoi sogni nel cassetto: andare a vivere in un casale,
in campagna, avviando un agriturismo.

Solitamente Sara era riservata su questa sua fantasia, temeva l'opinione troppo raziociniante

dell'ascoltatore, ma la loquacità di Mary, la spontaneità del loro ritrovarsi a discorrere, fanno sì che lei dischiuda il cassetto per lasciar uscire il suo sogno ben riposto e celato.
Mary sorride e si unisce a questa fantasia aggiungendo che anche un suo caro amico ha lo stesso sogno, seppure non gli è facile trovare altri compagni d'avventura.
Sara sente d'aver appoggiato la sua orma laddove la sabbia, cedevole, svela il nascondiglio d'un tesoro sepolto...

Con passi cauti, pause, riflessioni, discorsi che cambiano, per poi tornare incalzanti, chiede dell'amico, di quale sia la sua intenzione...
Le chiede di fargli sapere del proprio sogno nel cassetto, domanda se sia possibile organizzare un incontro...
Mary sorride tranquilla, sa che è possibile.

Seguono altri argomenti. Silenzi. Pensieri.
Sara sorridendo torna a chiedere con sguardo curioso anche di quale segno zodiacale sia lui, quanti anni abbia...
Mary risponde mentre la scruta divertita.
Audacemente Sara infila un'ultima domanda, e indaga se sia libero sentimentalmente!
Ogni risposta che riceve corrisponde al suo desiderio... Perfino quella finale!

Sara desiderava incontrare esattamente una persona così!
Una persona con cui costruire il sogno nel cassetto, e di cui potersi innamorare.

L'incontro avviene una sera, dopo quasi un mese.
Escono Sara, Mary e Nick.
E' la fine di giugno, bevono delle birre seduti sotto agli alberi del Gianicolo.
Nick, dopo aver ricevuto la telefonata della sua amica Mary, era andato all'appuntamento sperando segretamente che la Sara da incontrare lo affascinasse.
Sara era andata all'appuntamento col cuore in gola, sperando di trovarsi davanti un ragazzo che le piacesse.
Mary sembrava l'arbitro d'un match segreto, vestita sportiva, secondo il suo stile abituale: jeans e T-shirt, come un maschiaccio impenitente.

Arrivava oltre l'orario dell'appuntamento Sara, correndo, una camicetta annodata che lasciava la vita scoperta, una minigonna a balze, scarpe chanel con tacchi alti. Salutò Nick quasi di fretta, scusandosi del ritardo con entrambi.
Lui, sorriso divertito sotto un paio di baffi neri, era un bel ragazzo dai capelli scuri e ricci, carnagione cotta dal sole, occhi nocciola grandi e profondi, e, alto, si stagliava nel buio di quella notte di giugno, con la sua camicia terribilmente arancione, mentre il resto si perdeva nell'oscurità e nell'emozione.

Si incontrarono un'altra volta ancora, quando Sara andò con Mary a trovarlo in campagna,
nel terreno che lui coltivava -bizzarro gioco della sorte- nello stesso paese dove erano nati e cresciuti i nonni di Sara!

La terza volta uscirono da soli, a cena, per parlare della loro idea chiusa nel cassetto.
Il cameriere avvicinandosi al tavolo per prendere le ordinazioni, finì quasi a scusarsi per importunarli.

Quella sera il destino iniziò con l'indice a seguire, rigo per rigo, ciò che era scritto sulle sue pagine.
Bianche? già scritte? Si stavano scrivendo?
I semi venivano da lontano, forse da altre vite, e lì si riunivano: nel desiderio della prima Mary che voleva la felicità di Nick; nell'invisibile legame alla seconda Mary, amica di Nick e della prima Mary; nel desiderio che Sara aveva sfoderato dal cassetto nel momento giusto, quello in cui il destino risuonava per un segnale preciso.


Sara e Nick in pochi giorni decisero di andare a vivere insieme. Nella casa dove Nick aveva vissuto precedentemente con Mary.
Sara sapeva di Mary, dagli svariati racconti di Nick.

Un paio di anni dopo, mentre Nick e Sara erano insieme al mercato, una voce che salutava Nick risuonò alle loro spalle.
Sara conobbe così Mary.
Eccola, in quell'occasione le veniva presentata .
Si salutarono, si sorrisero, si osservarono: entrambe aspettavano un bambino.
Mary all'8° mese, Sara al 7°.

Anche la storia fra Nick e Sara ebbe un epilogo fallimentare, e proprio nel momento della sua crisi più profonda, una sera, per puro caso e senza immaginarlo, Sara si trovò a casa di Mary.
Si riconobbero.

Diventeranno amiche.
I loro bambini giocheranno insieme, cresceranno insieme.
Parlando scopriranno cosa era successo nell'etere a loro insaputa. Attraverso dei desideri, che sono semi. Semi di frutti che poi nasceranno.
Parlando scopriranno altre cose che le uniscono, legami che la vita tramanda da una vita all'altra, nell'eternità di un'esistenza infinita.
Un otto, che non ha punto di inizio, nè punto di fine.


Scopriranno che la loro nascita, non solo il passaggio di un destino con lo stesso compagno, è unita.
La nascita richiama la loro unione attraverso dei numeri che si ripetono.
Scopriranno di essere nate nello stesso anno: Mary diciannove giorni prima di Sara.
I loro figli: Bert, figlio di Mary, e Jenny, figlia di Sara, hanno la stessa differenza di età, nello stesso ordine delle madri.
Bert ha diciannove giorni più di Jenny.
L'anno di nascita di Mary e Sara, capovolgendo le cifre, è l'anno di nascita dei loro figli.

Le coincidenze sono i semi del destino.
I semi, possono essere anche delle cicatrici. Cicatrici viste come un desiderio irrealizzato che ha lasciato una ferita;
rimarginata, essa lascia un segno, è un seme nella vita, che prima o poi, prima o poi: nasce.

09 febbraio 2007

Dopo la Pausa... anche un caffè?

********************************************************************

Dalla PAUSA con Baryshnikov... al rientro without words.
Stavolta non scriverò molto, appena due righe, lascio parlare le immagini che seguiranno.

Cos'è un Blog?

Un diario?
Un diario per appuntare e comunicare, per scambiare i propri pensieri con tutti gli altri "diaristi"?

Sul blog c'è chi scrive di politica, c'è chi avvia argomenti di interesse sociale per sensibilizzare su accadimenti di cronaca italiana o mondiale, c'è chi pubblica proprie recensioni di film visti, chi scrive solo brevi frasi, chi scrive o riporta poesie, chi dona racconti, o anche chi fa un po' di tutto ciò, e altro ancora...
A volte è come alzare la cornetta del telefono
(quando esisteva la cornetta del telefono, ora: si fa per dire!)
per scambiarsi due chiacchiere, con la differenza che non componi un numero specifico, ma chi passa ti parla, lascia il suo segno, un pensiero, un saluto, un sorriso... o anche qualche insulto!

Dopo la pausa, ancora una pausa.
Un ritorno attraverso delle foto.

Potrei intitolarlo:
"C'era una volta danDapit"
In verità è accaduto che finalmente sono ruscita a far funzionare lo scanner, e quindi finalmente posso postare delle foto!
La fotografia mi ha affascinata fin dall'adolescenza, sono ricolma di fotografie! Di foto scattate a visi, bambini, situazioni, colori... Ce n'è però qualcuna che mi sono anche fatta scattare, nonostante al primo impatto abbia sempre cercato di sfuggire all'obbiettivo! ....Questo sta avvenendo specialmente con l'affatto indulgente trascorrere del tempo!

Negli ultimi anni la mia "click-mania" è andata affievolendosi, di conseguenza anche la relativa produzione e somma di fotografie. Fra le altre cose ora c'è l'avvento del digitale, che non occupa album e spazi, anche se personalmete continuo a preferire le belle reflex, da usare addirittura in manuale e non in automatico!

In conclusione sono qui con il mio "portfolio",
album storico da piccina fino ad oggi,
presentando così Valentina-Dandapit!

Aggiungo un grazie a tutti!!!

Per essere stati sempre presenti nonostante la mia latitanza!


Ed ora...beh,
Buon divertimento!

quando facevo l'asilo

quando facevo la montanara con mio fratello

quando facevo l'adolescente

quando facevo Valentina

quando facevo la Vip anni '60
in compagnia d'un Visitors

quando facevo il finto Centauro
(la compagna del Centauro)

quando facevo la bagnante ad Ostia
in pieno gennaio

quando facevo la parisienne

quando facevo la Donna Cannone

quando facevo un pic-nic a Villa Pamphili

(accanto a me non c'è mia sorella, ma una mia amica!
-la stessa che anni prima "era un Visitors"-
dietro di me: mia madre)

03 febbraio 2007

28 gennaio 2007

@@@@ Una Bimba Senza Posto @@@@

Anni fa scrissi un racconto ispirandomi ad un gruppo di persone che frequentavo.
Su ciascuna di queste persone, me compresa, costruii un personaggio.
Ambientai il racconto su di un'isola, e in modo fantastico immaginai una scissione dell'anima/personalità di ciascuno, nel cambiamento tra le ore diurne e quelle notturne.
Nell'isola, piccolo villaggio abitato da uomini e da donne, c'erano:
la Ballerina, il Giocatore di Poker, il Ginecologo, l'Avvocato, la Parrucchiera, la Casalinga, l'Antiquaria, il Rivoluzionario, lo Scrittore... Fra i tanti c’era anche la Pasticcera, ed ero io!
Accadeva, durante il tramutarsi del giorno nella notte, che in ciascuna di tali "anime" avvenisse una trasformazione liberatoria della loro ambigua natura.
Così, col buio, s’aprivano le porte del vasto palazzo, quasi un castello: il Bordello, pronto ad ospitare la creatività disinibita delle identità che di giorno soffrivano negli stretti indumenti e i limitati ruoli.

- Il racconto è un po' folle, ma divertente, ancor di più conoscendo le persone su cui fu costruito.
Potrei postarlo, ma ha una lunghezza mal tollerata sul web, ed è interamente da ribattere perchè fu dattiloscritto.
Non lo posto, accenno solo qualche pennellata per introdurre ad altro argomento. -

Ciascuna delle anime, la Parrucchiera, la Ballerina, l'Antiquaria, la Casalinga, si trasformavano in donne dalle Mille e Una Notte, con veli, danze, dolcezza, o seduzione aggressiva.
Gli uomini giungevano, abbandonandosi anche loro, dimentichi delle proprie professioni: ostacoli all'essere se stessi, impedimento alle relazioni.


Essendo io l'autrice del racconto, mi diedi la parte della protagonista. La Pasticcera delle ore diurne, di notte diveniva la Maitresse del Castello.

In questo scenario, improvvisamente, mi resi conto di non riuscire ad inserire una persona del gruppo. Pensai più volte a quale ruolo darle, ma l'unica immagine che avevo per lei, era quella di una bambina, appoggiata allo stipite d’una porta, che osservava in disparte la colorata vitalità notturna delle anime inquiete, senza essere, né divenire, altro.
Il racconto si delineava sulla carta, i personaggi assumevano forma, agivano, la loro storia prendeva corpo, ma per quella donna del gruppo mi restava l'immagine d’una bimba, che con sguardo triste, osservava isolata, vincolata allo stipite d’una porta. Né dentro, né fuori: sulla soglia.
Presi dunque la decisione di non farla partecipare! Non avevo un ruolo per lei. Non scaturiva dal mio immaginario! Non potevo inserire una bambina in un bordello, non volevo: lì la vita ferveva, scoppiettava, si infiammava. Quella figura stonava.

Quando lessi il racconto alle persone del gruppo, ci fu chi si divertì molto, chi si riconobbe soddisfatto e felice della parte assegnatagli, chi protestò sdegnato per la conclusione -il racconto terminava con me che partivo, osservando dalla nave l'isola che si allontanava sul mare-, e infine ci fu la donna che non avevo inserito che, come una bimba, si chiuse in se stessa, imbronciata, offesa, sentendosi esclusa.
Mi dispiacque.
Non avevo previsto che ciò l'avrebbe potuta ferire. Non lo avevo previsto, ma ne restai scossa: la mia immaginazione stava coincidendo con la realtà.
A questo episodio ho ripensato innumerevoli volte col passare degli anni, infatti eccomi ancora qui a menzionarlo!
La reazione di quella donna, e l'immagine della bambina sullo stipite sono tornate dentro di me a chiedermi risposte.
La reazione della donna pian piano svanì, perchè lei mi perdonò.
L'immagine della bambina è ancora qui, mi segue, e più volte mi ha chiesto, finché io non ho avuto la capacità di darle delle risposte.
Infine ho compreso che quella bambina ero io, una parte di me che non potevo esporre. Una parte di me di cui mi vergognavo, perchè non era cresciuta, perchè non era presentabile, perchè stonava fra gli adulti con le loro cose da grandi!
E quando lo capii cercai di tendere la mano alla bambina, sorriderle, e invitarla ad avanzare, a lasciare il suo stipite.
Le dissi che avevo bisogno di lei, perchè solo unita a lei potevo creare, che non volevo più vergognarmi, che l'avrei tenuta con me.
So, adesso, che quella bimba resterà per sempre così dentro di me, anche crescendo, invecchiando, lei resterà così. Un po' triste, un po' spaventata, un po' accusatoria... Eppure capace d’allegre risate da folletto quando in me c'è la gioia e l'amore.
Capace di giocare, inventare, essere dispettosa e imprevedibile se intorno ci sono giochi e risa.
Capace di sentire grandi dolori, e farli suoi, e con essi piangere, tornando a rannicchiarsi, piccina, in una culla di foglie secche e bagnate, lasciandosi là, sotto la fitta pioggerellina d'una vita che la sta nutrendo di tenerezza struggente, la dolce amara, morbida linfa di un'ennesima esclusione.


Oggi
volevo raccontare di questa bimba, le ho offerto la mano ancora una volta, ed
ora la sto presentando: inchinati piccina, il pubblico applaude, non aver paura,
non correre a nasconderti, vedrai, fra poco ti lanceranno fiori, rose profumate,
e tu non devi fuggire, smetti di piangere, non lascerò che tu sia ferita.
Mai, e poi mai più!

- QUESTO NON E' UN POST! - E' Un APPELLO IMPORTANTE CHE QUI INSERISCO---


Questo appello mi è giunto per e-mail.
Lo pubblico sul blog,
sperando che lo leggano
quante più persone sia possibile!


Come in Francia, anche in Italia grande mobilitazione dei cittadini contro
il Cambiamento Climatico.

L'Alleanza per il Pianeta Terra
(gruppo francese di associazioni ambientali)
lancia un appello semplice
a tutti i cittadini del pianeta:

spegnete la luce il 1° febbraio
dalle 19.55 alle 20.00
5 minuti per il nostro pianeta
Non si tratta di economizzare l'elettricità
ma di attirare l'attenzione di media e cittadini sullo spreco di energia
e sull'urgenza di mettere
nelle agende dei nostri politici
le questioni ambientali.
Il cambiamento climatico ci riguarda tutti
ma è un argomento
purtroppo
che sembra non importare molto !
Perchè proprio il 1 febbraio?
E' il giorno
in cui verrà pubblicato
il nuovo rapporto del gruppo di esperti climatici delle Nazioni Unite.
Questo evento avrà luogo in Francia:
non bisogna lasciare passare questa occasione.
Se riuscissimo veramente a partecipare tutti,
questa azione
avrà un reale peso mediatico e politico.

Fate circolare il più possibile questo appello intorno a voi.
altro link (su cui se ne parla):

22 gennaio 2007

**Dalle Pin-up al ROSSO e FLORIDO, Sorridente, Promettente, Santa Claus**


C'era una volta...
Come al gioco del telefono, sussurrando una parola nell'orecchio di chi è accanto, e via di seguito, la parola viene trasformata per ciò che l'orecchio capta, per ciò che la propria indole e il proprio vissuto sa riconoscere in quella parola, fino a creare qualcosa di completamente diverso dal suo stato originale, così ho scoperto è accaduto alla più famosa e attuale delle leggende.

Nel mondo in cui viviamo ora, nel 2000, siamo circondati da immagini e colori, e il nostro sguardo è continuamente catturato dalla visione di un cartellone, di una foto, di un video, di scritte.
Con l'avvento di internet la comunicazione è in tempo reale, e se vuoi fare una ricerca, basta inserire una parola in una stringa per avere infiniti risultati, a scelta.
Tornando indietro nel tempo, salta all'occhio il confronto con le immagini e i colori di cui il nostro quotidiano è circondato rispetto invece alla necessità, nel passato, di fermare immagini e colori.
Infilando il naso nella Storia, ci possiamo ricordare che i pittori dovevano preparare da sè i colori per dipingere, fino ad arrivare a creare loro stessi delle sfumature e tinte per ottenere i risultati che ricercavano sulle loro tele.
Per avere un ritratto si ricorreva al pittore. E se animi sensibili restavano affascinati dalla visione di uno scenario naturale, il vento, il mare, una valle, desideravano fissarla sulla tela, pazientemente, e ispirati dalla poesia che sentivano in quell'immagine e nel bisogno di condividerla.
La ricerca umana con il suo bisogno di fermare le immagini non si è mai arrestata, e si è scoperto il modo di creare istantanee, e dai fratelli Lumière si è giunti al cinema...
Riassumendo, l'immaginario umano è di una fertilità inarrestabile, ricco ed abbondante...

Dunque:
"C'era una volta"...molti anni fa, una storia le cui radici, dal terreno della religione cattolica, hanno via via lasciato crescere rami intessuti di miti e favole.

Il punto di partenza è una leggenda, la più famosa sulla vita di S.Nicola da Bari (ricordata anche nel Purgatorio di Dante/XX, 31-33), che narra di un nobiluomo caduto in disgrazia che si disperava per la sorte delle sue tre giovani figlie, per le quali non aveva una dote disponibile. Nicola volle aiutare la famiglia e, per tre notti consecutive, andò a gettare dentro la finestra del loro castello tre sacchi pieni di monete d'oro. La terza notte, trovando chiuse tutte le finestre, Nicola fu costretto ad arrampicarsi sul tetto per calare le monete giù dal comignolo. L'oro, cadendo, si infilò nelle calze delle fanciulle appese ad asciugare vicino al camino. (Ed ecco la tradizione di appendere calze la notte di Natale per ritrovarle la mattina dopo colme di doni)-[Dal
Corriere della Sera 13/12/2004]
In altre versioni posteriori, forse modificate per poter essere raccontate ai bambini a scopo educativo, Nicola regalava cibo alle famiglie meno abbienti calandoglielo anonimamente attraverso i camini o le loro finestre.
Stiamo parlando di Nicola (270-310 d.C.), vescovo della città asiatica di Myra (nell'attuale Turchia).
Amato e venerato un po' in tutta Europa, specie in Belgio e in Olanda, San Nicola viene atteso il 6 dicembre (data della sua morte, che fu fissata per ricordarlo e come tradizionale ricorrenza), per portare doni ai bimbi buoni.

Nel sedicesimo secolo, dopo la Riforma, i santi non furono più in auge nell'Europa del Nord. La fama di San Nicola cominciò ad essere intaccata. Il compito di donare regali venne allora attribuito al Christkindel o Kris Kringle, Gesù Bambino, un’altra figura sacra molto più accettabile di quella dell’antico vescovo. Allontanato dalle chiese e dalle rappresentazioni sacre, San Nicola continuò a portare regali in molte zone europee, accompagnato da un servetto nero

che recava un sacco pieno di doni e di fruste, il Nicodemo (colui che andò da Gesù di notte) dei Paesi Bassi, da cui probabilmente è derivato lo Schwarzer Mann, l’uomo nero che ha terrorizzato, i bambini di mezzo mondo (infatti la tradizione vuole che i bimbi buoni ricevano doni, e quelli cattivi siano puniti!).

Fu così che San Nicola divenne nella fantasia popolare il "portatore di doni", compito eseguito grazie ad un asinello nella notte del 6 dicembre.
In Olanda ancora oggi il 6 dicembre si festeggia Zwartepiet,
ed è rimasta questa la figura del "portatore di doni" ai bimbi. E proprio in tale figura dell'Uomo Nero, del Nicodemo, dell'aiutante del vescovo San Nicola, c'è l'embrione dell'immagine che col tempo si trasformerà nell'attuale, rubicondo e conosciuto "Babbo Natale"!

Furono gli emigranti olandesi, che avevano fondato nel 1600 una città che chiamarono Nuova Amsterdam (oggi New York), a portare nel Nuovo Mondo la tradizione di San Nicola, da loro chiamato Sinter Klaas. Successivamente il nome si trasformò in Santa Class, che in inglese divenne ben presto Santa Claus.
Altri racconti tradizionali furono introdotti dagli immigrati danesi. I coloni, in cerca di antiche identificazioni e nuovi nazionalismi nei territori del Nuovo Continente, si strinsero attorno ai loro santi: San Nicola (Olandesi), Sant’Andrea (Scozzesi), San Patrizio (Irlandesi), separandoli, però, dall’insieme di credenze di marca “papista” e salvandone solo gli aspetti esteriori e alimentari. Anche la Francia aveva il suo S. Nicola, mentre in Germania c'era Gesù Bambino che distribuiva i doni. In America il suo nome divenne Kris Kringle, e si continuò a festeggiare l’inverno e il Capodanno offrendo doni ai bambini, bevendo cherry e mangiando “i biscotti di San Nicola”.


Santa Claus divenne popolare dovunque e gli scrittori e gli artisti gradualmente trasformarono il vescovo col suo manto e la mitra in un'altra figura, ma nessuno sa come abbia fatto l'asino di S. Nicola, nel tempo, a trasformarsi in un gregge di renne!

Nel 1804, in America, fu fondata la "New York Historical Society" e San Nicola ne divenne il santo patrono.

Nel 1809 lo scrittore Washington Irving [W. Irving (1783-1859), autore americano: la popolarità nacque dai suoi racconti critici e satirici, efficaci nella forma letteraria americana di
storia corta. Sua è "Una Storia di New York" (1809), considerata come primo contributo importante alla letteratura comic americana] raccontò per la prima degli spostamenti di Santa Claus nel cielo per la distribuzione dei regali.

Un libro del XIX secolo mostra un'illustrazione in cui egli compare con una sola renna (in Svezia è invece ancora rappresentato circondato da caprioli).

(da Wikipedia) Sembra che chi fu a descrivere esattamente l'aspetto moderno di Santa Claus in forma letteraria, fu un pastore americano con la pubblicazione della sua poesia "Una visita di San Nicola", ora più nota con il titolo "La notte di Natale" ("The Night Before Christmas"), avvenuta sul giornale Sentinel della città di Troy
(stato di New York) il 23 dicembre 1823. L'autore del racconto è tradizionalmente ritenuto il pastore Clement Clarke Moor (si dice che scrisse la poesia per i suoi figli nel 1821). Santa Claus vi viene descritto come un signore un po' tarchiato con otto renne, che vengono nominate -per la prima volta in questa versione- con i nomi di Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder e Blitzen.

Inizialmente Santa Claus veniva rappresentato in costumi di vario colore (il verde, che richiamava ancora l'idea di un abitante del bosco era il più usato); il rosso divenne predominante a partire dalla sua comparsa sulle prime cartoline di auguri natalizie nel 1885 (ovvero dopo che per 22 anni Thomas Nast lo aveva rappresentato in numerose ilustrazioni).
Fra i primi artisti a fissare l'immagine di Santa Claus nella forma che conosciamo oggi, è stato il famoso illustratore americano Thomas Nast. Nel 1863 sulla rivista Harper's Weekly apparve la prima delle sue immagine su Santa Claus, che si ritiene sia stata ispirata dal personaggio di Pelznickle. (Fonte tratta da Wikipedia)

Il PELZNICKLE: chi è costui? Era il già conosciuto aiutante "nero" di S.Nicola!

Riporterò qui di seguito la
curiosità scovata ("Santa Claus, A Great Imposter"), lasciandola però in inglese:
"Thomas Nast was assigned to draw this Santa Claus, but having no idea what he looked like, drew him as the fur-clad, small, troll-like figure he had known in Bavaria when he was a child.

This figure was quite unlike the tall Dutch Sinterklaas (il Santa Claus olandese), who was traditionally depicted as a Catholic bishop. Who he drew was Saint Nicholas’ dark helper, Swarthy, or Black Pete (a slang name for the devil in medieval Dutch). [...]
It is significant that Black Peter, Pelze-Nicol, Knecht Rupprecht and all of St. Nicholas companions are openly identified as the devil.
To the medieval Dutch, Black Peter was another name for the devil. Somewhere along the way, he was subdued by St. Nicholas and forced to be his servant.
The fact is that Santa and Satan are alter egos, brothers;

they have the same origin. . . On the surface, the two figures are polar opposites, but underneath they share the same parent, and both retain many of the old symbols associated with their "father" . . . (P. Siefker: "Santa Claus, Last of the Wild Men: The Origins and Evolution of Saint Nicholas"- McFarland & Company, 1997, p. 6)
-






Thomas Nast (una delle sue prime illustrazioni di Santa Claus qui a sinistra; sotto un'altra sua illustrazione sulla copertina di Harper's Weekly del 6 dicembre 1902, intitolata: "Here we are again") per vent'anni, tra il 1863 e il 1886 disegnò per conto del settimanale "Harper's Weekly" una serie di tavole natalizie che illustravano tutti gli aspetti della leggenda di Babbo Natale

e nel 1885 stabilì ufficialmente la residenza di Babbo Natale al Polo Nord e disegnò due bambini che su una carta del mondo tracciavano il tragitto dal Polo Nord agli Stati Uniti.
Nast quindi giunse a quest'immagine ispirandosi al Pelznickle, ma riprendendo anche l'immagine poetica raccontata dal pastore C. Clarke Moore, e ritraendo così Babbo Natale come un vecchio sorridente e panciuto, dalla grande barba bianca, che indossa un lungo mantello rosso (precedentemente l'abito era in genere verde o blu scuro) bordato di pelliccia bianca, un grosso cinturone di cuoio nero e gli stivali neri.

Un'altra immagine che divenne molto popolare è quella disegnata

nel 1902 da
L. Frank Baum, autore de Il meraviglioso mago di Oz, per il racconto "La vita e le avventure di Santa Claus".

Siamo giunti agli inizi del 1900, in America.
In Italia, sappiamo, esisteva Gesù Bambino.
E chi portava i doni era la Befana, il 6 gennaio!
Ma questo avveniva già in tempi recenti...
Il "vero" Babbo Natale, quello alto, con tanta pancia, le gote rosse, la folta barba bianca, il vestito rossissimo, con giacca (non mantello o cappottone!) bordata di soffice pelliccetta bianca, cappuccio rosso con pon pon bianco, stivaloni neri, sportivo, nonostante la sua panciona, e sempre allegramente sorridente e rassicurante, molto lontano da qualsiasi ombra punitiva di folletti, o Zwartepiet, e dal vescovo con la mitra, è arrivato nel 1931, ad Atlanta, per opera della Coca Cola!

(Fonte:
"Minerva - Osservatorio sull'industria Alimentare" di Nicola Lagioia)
Accadde infatti che il dottor Harvey Washington Wiley, che lavorava al Dipartimento di Chimica degli Stati Uniti, nel 1903 fece partire una crociata salutista contro la Coca Cola. Il nome della sua battaglia fu: «Gli Stati Uniti d’ America contro 40 barili di Coca-Cola». Si avviò un procedimento giudiziario che per l’azienda di Atlanta rappresentò una delle prove più difficili da affrontare nei primi decenni del XX secolo. La denominazione si deve al sequestro di alcuni barili di Coca-Cola che Wiley fece disporre nel 1907. Il processo fu celebrato a Chattanooga. Nell’accusa si contestava alla bibita di essere adulterata con sostanze pericolose (nello specifico la caffeina).
Il verdetto fu favorevole per la Coca-Cola. La bibita non rischiò più di essere ritirata dal commercio né fu costretta a rivedere la sua formula. L’unico cambiamento riguarderà la strategia pubblicitaria dell’azienda. Gli avvocati difensori della Coca-Cola non avevano contestato gli effetti negativi della caffeina sui giovanissimi – avevano però cercato di aggirare l’ostacolo dichiarando che i più piccoli non erano consumatori abituali della bibita, il che contrastava con le pubblicità del periodo che ritraevano bambini intenti a bere Coca-Cola insieme ai genitori. Così, dopo il 1911, fu proibito l’utilizzo di materiale pubblicitario in cui ci fossero bambini di età inferiore a dodici anni nell’atto di bere Coca-Cola. Se i danni erano stati limitati al massimo, l’azienda rischiava di perdere una fetta fondamentale di consumatori.
Siamo nel 1931: la Coca-Cola, che fino a qualche tempo prima veniva soprattutto servita nei bar, poteva adesso essere acquistata in confezioni da conservarsi nei frigoriferi domestici. Si trattò di un cambiamento epocale! Ma se la bibita ora veniva acquistata per le famiglie, occorreva indurre a non farla temere come bevanda anche per l'infanzia!
Bisognava concepire una campagna pubblicitaria in grado di rivolgersi ai bambini senza mai metterli al centro della scena. Il compito fu affidato a Haddon Sundblom, un disegnatore di origine svedese. L’ espediente utilizzato fu quello di arruolare un messaggero, un intermediario tra infanzia e mondo degli adulti che fosse in grado di catalizzare l’immaginazione dei bambini. La scelta cadde appunto su Santa Claus.
Sundblom ebbe come primo parametro il Santa Claus disegnato da Thomas Nast per Harper’s Weekly nel 1862.
Il colpo di genio di Sundblom consistette nel far convivere l’aura di soprannaturalità che circondava Babbo Natale con l’estetica dell’ uomo comune. Basta elfi, creature dei boschi, personaggi provenienti da immaginari e culture lontane: il nuovo Babbo Natale avrebbe dovuto essere partorito dal cuore magico dell’America del XX secolo.
Sundblom utilizzò come modello l’uomo della porta accanto, vale a dire il suo vicino di casa Lou Patience, un commesso viaggiatore che l’American way of life aveva fornito di una corporatura robusta, un volto allegro entro i limiti del sospetto, una fiducia nel presente e una vitalità che debordava da tutti i pori della sua persona: a Lou Pantience, Sundblom allungò la barba e arroventò le guance, aumentò di qualche misura il girovita, sostituì gli abiti borghesi con la celebre casacca rossa e bianca, e così i cartelloni pubblicitari si riempirono di figure al limite dell’iperrealismo: fragorosamente comuni eppure in qualche modo provenienti da un altro pianeta.
La data della rivista Liberty su cui il florido, rubicondo, rassicurante Babbo Natale compare per la prima volta è il 22 dicembre 1931.

Il 'Babbo Natale' targato Coca-Cola, disegnato da Haddon Sundblom, irrompe sulla scena pubblica statunitense. Haddon divenne un famoso disegnatore di pin-ups (per visualizzare un'altra sua illustrazione pubblicitaria cliccare
rqui;
e per vedere l'illustrazione di una sua pin-up cliccare rqui).



Le fonti di questa ricerca sono state svariate.
Alcune le ho citate nel testo.
Altre sono da:
"Littlepan", da "De Agostini.it" e, quest'ultima aggiunta, da "Italia Donna":
"Col passare del tempo si diffuse anche l'idea che Babbo Natale potesse esaudire i desideri dei bambini, portando loro ciò che più volevano, grazie alle lettere che questi gli avrebbero scritto.
Nel 1974, tre impiegati delle poste canadesi di Montreal, avendo notato la grande massa di lettere che arrivavano ogni anno per Babbo Natale, decisero di rispondere alle centinaia di bambini, dando vita alla vera e propria Posta di Babbo Natale.
L'anno successivo ricevettero ancora più lettere, e poi sempre di più, tanto che nel 1983, le poste canadesi hanno indetto un servizio di posta speciale solo per Santa Claus, in cui il codice di avviamento postale è HOH OHO."


La trasformazione della parola, delle storie, delle leggende.
Ciò che non esisteva, è diventato realtà attraverso il potere delle immagini, dei colori, che stimolano ancora di più la fantasia e l'immaginario...
Anche le pin-ups, immagini per illustrazioni, ora modelle in carne ed ossa...
Non è potente l'immaginazione? (E dire che secoli fa neppure esistevano i colori per dipingere!!)