08 maggio 2009

Il rimpatrio dei CLANDESTINI

Su La Repubblica clicco l'articolo che titola parlando di stupri e torture, del viaggio di ritorno in Libia per coloro che erano riusciti a fuggire.

E mentre leggo, è più forte di me, mi immedesimo. Mi sento una fuggiasca che cerca di salvarsi e viene riportata là, da dove era scappata per un briciolo, ancora, d'istinto di sopravvivenza.
Quell'istinto così naturale, ma che davanti al sentirsi prigioniero senza scampo, non ha più ragione d'esistere, a quel punto l'unica "soglia" da varcare per non soffrire, per non essere torturato, è la morte.
Ho pianto, mi sono sentita disperata, e non posso pensare che duecento persone siano state riportate nell'inferno, rispedite là.

Riporto l'articolo, seppure è su un quotidiano, alla portata di tutti, non c'è bisogno del mio blog per leggerlo.
Ma io voglio fissarlo sul blog.


Il racconto. Tra le reduci del Pinar: meglio morire che tornare lì.
"Voi italiani siete buoni, come potete fare una cosa del genere?"
"Li avete mandati al massacro
in quei lager stupri e torture"


articolo di FRANCESCO VIVIANO da "La Repubblica", 8/5/2009


LAMPEDUSA - "Li hanno mandati al massacro. Li uccideranno, uccideranno anche i loro bambini. Gli italiani non devono permettere tutto questo. In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no". Hanno le lacrime agli occhi le donne nigeriane, etiopi, somale, le "fortunate" che sono arrivate a Lampedusa nelle settimane scorse e quelle reduci dal mercantile turco Pinar. Hanno saputo che oltre 200 disgraziati come loro sono stati raccolti in mare dalle motovedette italiane e rispediti "nell'inferno libico", dove sono sbarcati ieri mattina. Tra di loro anche 41 donne. Alcuni hanno gravi ustioni, altri sintomi di disidratazione. Ma la malattia più grave, è quella di essere stati riportati in Libia. Da dove "erano fuggite dopo essere state violentati e torturati. Non solo le donne, ma anche gli uomini".

I visi di chi invece si è salvato, ed è a Lampedusa raccontano una tragedia universale. La raccontano le ferite che hanno sul corpo, le tracce sigarette spente sulle braccia o sulla faccia dai trafficanti di essere umani. Storie terribili che non dimenticheranno mai. Come quella che racconta Florence, nigeriana, arrivata a Lampedusa qualche mese fa con una bambina di pochissimi giorni. L'ha battezzata nella chiesa di Lampedusa e l'ha chiamata "Sharon", ma quel giorno i suoi occhi, nerissimi, e splendenti come due cocci di ossidiana, erano tristi. Quella bambina non aveva un padre e non l'avrà mai.

"Mi hanno violentata ripetutamente in tre o quattro, anche se ero sfinita e gridavo pietà loro continuavano e sono rimasta incinta. Non so chi sia il padre di Sharon, voglio soltanto dimenticare e chiedo a Dio di farla vivere in pace". Accanto a Florence, c'è una ragazza somala. Anche lei ha subito le pene dell'inferno. "Quando ho lasciato il mio villaggio ho impiegato quattro mesi per arrivare al confine libico, e lì ci hanno vendute ai trafficanti e ai poliziotti libici. Ci hanno messo dentro dei container, la sera venivano a prenderci, una ad una e ci violentavano. Non potevamo fare nulla, soltanto pregare perché quell'incubo finisse". Raccontano il loro peregrinare nel deserto in balia di poliziotti e trafficanti. "Ci chiedevano sempre denaro, ma non avevamo più nulla. Ma loro continuavano, ci tenevano legate per giorni e giorni, sperando di ottenere altro denaro".

Il racconto s'interrompe spesso, le donne piangono ricordando quei giorni, quei mesi, dentro i capannoni nel deserto. Vicino alle spiagge nella speranza che un giorno o l'altro potessero partire. E ricordano un loro cugino, un ragazzo di 17 anni, che è diventato matto per le sevizie che ha subito e per i colpi di bastone che i poliziotti libici gli avevano sferrato sulla testa. "È ancora lì, in Libia, è diventato pazzo. Lo trattano come uno schiavo, gli fanno fare i lavori più umilianti. Gira per le strade come un fantasma. La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere "israelita". Lo hanno picchiato a sangue sulla testa, lo hanno anche stuprato. Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l'anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace".

Le settimane, i mesi, trascorsi nelle "prigioni" libiche allestite vicino alla costa di Zuwara, non le dimenticheranno mai. "Molte di noi rimanevano incinte, ma anche in quelle condizioni ci violentavano, non ci davano pace. Molti hanno tentato di suicidarsi, aspettavano la notte per non farsi vedere, poi prendevano una corda, un lenzuolo, qualunque cosa per potersi impiccare. Non so se era meglio essere vivi o morti. Adesso che siamo in Italia siamo più tranquille, ma non posso non stare male pensando che molte altre donne e uomini nelle nostre stesse condizioni siano state salvate in mare e poi rispedite in quell'inferno, non è giusto, non è umano, non si può dormire pensando ad una cosa del genere. Perché lo avete fatto?".

"Noi eravamo sole, ma c'erano anche coppie. Spesso gli uomini morivano per le sevizie e le torture che subivano. Le loro mogli imploravano di essere uccise con loro. La rabbia, il dolore, l'impotenza, cambiavano i loro volti, i loro occhi, diventavano esseri senza anima e senza corpo. Aiutateci, aiutateli. Voi italiani non siete cattivi. Non possiamo rischiare di morire nel deserto, in mare, per poi essere rispediti come carne da macello a subire quello che cerchiamo inutilmente di dimenticare". Hope, 22 anni, nigeriana è una delle sopravvissute ad una terribile traversata. Con lei in barca c'era anche un'amica con il compagno. Viaggiavano insieme ai loro due figlioletti. Morirono per gli stenti delle fame e della sete, i corpi buttati in mare. "Come possiamo dimenticare queste cose?". Anche loro erano in Libia, anche loro avevano subito torture e sevizie, non ci davano acqua, non ci davano da mangiare, ci trattavano come animali. Ci avevano rubati tutti i soldi. Per mesi e mesi ci hanno fatto lavorare nelle loro case, nelle loro aziende, come schiavi, per dieci, venti dollari al mese. Ma non dovevamo camminare per strada perché ci trattavano come degli appestati. Schiavi, prigionieri in quei terribili capannoni dove finiranno quelli che l'Italia ha rispedito indietro. Nessuno saprà mai che fine faranno, se riusciranno a sopravvivere oppure no e quelli che sopravviveranno saranno rispediti indietro, in Somalia, in Nigeria, in Sudan, in Etiopia. Se dovesse accadere questo prego Dio che li faccia morire subito".

(racconti di Hope e Florence)

8 maggio 2009

3 commenti:

Daniele Passerini ha detto...

Che tristezza Dany,
una nazione che si dice cristiana che nega gli insegnamenti fondamentali di Gesù: bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato, date e vi sarà dato ancora di più... gli hai letti gli articoli di oggi, dei marinai che si sono vergognati di avere dovuto obbedire agli ordini e riportare quella povera gente in Libia? Che tristezza Dany.

danDapit ha detto...

Non sono riuscita a leggere gli articoli sui marinai, ieri, ho letto solo il titolo, in compenso ho sentito ieri sera al telegiornale la difesa del Governo sul fatto che rispedire quelle persone da dove erano venute era cosa ben fatta, e non andava contro nessun accordo internazionale, checchè -secondo l'illustre Governo- l'ONU avesse sollevato protesta, disaccordo e biasimo.
Ma al di là del fatto politico, io sono rimasta impressionata dalla cecità sullo stato di queste persone!
Se tu per strada vedi uno che sferra una coltellata a un altro, che fai? li lasci fare? sono fatti loro? o un senso di responsabilità umana ti fa sentire che qualcosa devi fare per fermarli?
Aver rispedito quelle 200 persone in Libia è come essere noi stessi i seviziatori, gli strupratori, i carnefici!

danDapit ha detto...

Aggiornamento del 10 maggio: (da La Repubblica")

"LAMPEDUSA - Secondo "respingimento" nel giro di pochi giorni nel Mediterraneo ad opera di motovedette italiane. Sono giunti in prossimità del porto di Tripoli, a bordo del pattugliatore Spica della Marina Militare i 162 migranti, tra i quali 42 donne e due neonati, soccorsi ieri a sud di Lampedusa, in acque internazionali. Nei loro confronti è scattato il respingimento, il secondo nel giro di pochi giorni disposto dal Viminale."
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senza parole