La strada che porta ai Bavagli
IL CASO
La campagna d'autunno del Cavaliere azzoppato
di GIUSEPPE D'AVANZO
Il Cavaliere, per levarsi dai guai degli scandali politici e sessuali in cui s'è cacciato da solo, ci ha provato - prima - con una comunicazione sovrabbondante, ipertrofica. Televisione, interviste, maquillage familiare con foto a colori del Figlio Marito Padre Nonno così amorevole, così italiano. Non ha funzionato. Le menzogne erano così assordanti che gli sono scoppiate in mano. Cilecca. Dunque, cambio di marcia e di strategia. Il flusso verbale, le patetiche e quotidiane battute sulle minorenni, le grottesche vanterie da "santo puttaniere" sono state archiviate e sostituite dal silenzio, autoimposto e imposto. Gioco comodo perché, come ha scritto il Financial Times ieri, "Berlusconi guida un regime costruito sul suo impero mediatico che include il controllo delle televisioni nella quasi totalità e di buona parte della stampa scritta. Anche la Rai, la tv di Stato, ha evitato di seguire in maniera adeguata il caso di Patrizia D'Addario sul suo canale principale". Ora anche la strategia del silenzio appare inadeguata. E' utile a nascondere all'opinione pubblica domestica quanto siano disonorevoli le sue condotte private e vulnerabile il suo agire pubblico.
Oscura la catastrofe della sua reputazione all'estero, che finisce col travolgere anche la credibilità del Paese tutto intero, ma non muta di un'acca uno stato delle cose che - Berlusconi sa - peggiorerà in autunno.
Ecco perché, prima di dileguarsi per una decina di giorni chi lo sa dove e chi lo sa perché, il premier sta organizzando truppe, generali e piani per la "campagna di autunno". Oggi la crisi di Berlusconi la si può ricostruire così: il capo del governo, nell'Occidente euroamericano, è un'anatra zoppa. L'establishment internazionale attende la sua uscita di scena, prima o poi. Nel cortile di casa non va meglio, nonostante l'opposizione se ne stia in un angolo a guardarsi l'ombelico. I comportamenti di Berlusconi hanno pregiudicato molto seriamente la sua influenza nel mondo cattolico e i buoni rapporti con le gerarchie ecclesiastiche. Anche il Papa ha mostrato di condividere le severe critiche dell'Avvenire e dei vescovi piovute sul capo del premier.
In autunno, questa scena può diventare ancora più avversa di quanto lo sia oggi. Cominciamo dall'economia reale. È vero, ci sono micro-segnali di ripresa, ma come spiegano osservatori e protagonisti, "si stanno accumulando gli effetti di una recessione lunga e i prossimi mesi saranno inevitabilmente critici" (Corrado Passera). Molte piccole imprese, a settembre, saranno scomparse e con loro decine di migliaia di posti di lavoro. Dal punto di vista personale, per Berlusconi, non va meglio. In settembre, le inchieste di Bari su prostituzione e droga che vedono imputato Gianpaolo Tarantini, il giovane amico del presidente, potrebbero trovare una prima discovery. Potrebbero essere rese pubbliche le conversazioni tra il Cavaliere e il suo ruffiano (anche dieci al giorno). La Consulta potrebbe dichiarare incostituzionale la legge che lo rende immune e consegnarlo di nuovo ai giudici di Milano per la corruzione del testimone David Mills. La nuova legge sulle intercettazioni potrebbe svelare agli italiani come il capo del governo svenda la sicurezza di tutti per proteggere se stesso e i traffici del ceto dirigente legando le mani alla magistratura e imbavagliando la stampa.
Il tableau giustifica le preoccupazioni del Cavaliere. Come scrive Slavoj Zizek, Berlusconi avrà anche "la maschera da pagliaccio" ma solo per nascondere "un potere spietatamente efficiente" (London Review of Books e Internazionale, 24 luglio). È l'efficienza di una macchina di potere che il premier vuole mettere a punto prima dell'autunno. A cominciare da quel segmento che, nella sua avventura politica, è sempre stato decisivo, vitale: la comunicazione. È tutto quel che gli serve, in fondo. Con una comunicazione manipolata e truccata, Berlusconi elimina la verità effettuale delle cose (la crisi economica, l'immobilismo del governo); incuba le paure del Paese ("immigrati", "complotto eversivo", "comunisti"); trasforma l'ordinario in "miracolo" e ogni difficoltà o stallo in "emergenza nazionale"; sommerge il Paese di parole inutili e immagini ludiche; tiene gli italiani in uno stato di minorità che impedisce loro di andare, con qualche spirito critico e consapevolezza, oltre le emozioni e l'immaginazione. È questa difesa mediatica, è questo "miracolismo mediatico" che il capo del governo, protetto dal suo conflitto di interessi, vuole consolidare, rendere aggressivo e dominante, più di quanto oggi non lo sia, in attesa di isolare e colpire i suoi avversari o i non conformi con leggi ah hoc, manovre di potere, e magari le mosse di burocrazie sottomesse (Murdoch è soltanto il primo della lista degli "ostili", selezionata nelle riunioni segrete di questi giorni).
Il Cavaliere militarizza subito il fronte della comunicazione, quindi. Via Mario Giordano, il povero direttore del Giornale assoggettato quanto basta, ma senza alcun peso specifico. Che arrivi Vittorio Feltri da Libero, un "peso massimo". Che Clemente Mimun, direttore del Tg5, si adegui alla bisogna e all'esempio di Augusto Minzolini, direttore del Tg1. E se non se la sente, che lasci la seggiola a Maurizio Belpietro, quello sì che sa il fatto suo quando si tratta di menar le mani che poi a Panorama si troverà un altro "picchiatore" per dirigerlo. È con questo "pacchetto di mischia" (Minzolini, Feltri, Belpietro, Mimun) che il capo del governo vuole "militarizzare" la comunicazione e deformare il racconto della realtà. Può farlo certo in casa sua in assenza di una legge sul conflitto di interessi, ma è legittimo che lo faccia anche in quella casa di tutti che è il servizio pubblico radiotelevisivo? Può farlo senza che gli organi di garanzia tecnici, politici e istituzionali muovano un ciglio e trovino la forza di profferire parola? Sappiamo che Paolo Garimberti è in Viale Mazzini come "presidente di garanzia", meno si comprende che cosa e chi stia garantendo. Non certo il telespettatore italiano che non ha saputo nulla e nulla saprà di quanto in Italia e all'estero accade al capo del governo. Sappiamo naturalmente che esiste una "Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi", presieduta da Sergio Zavoli, meno si può dire del suo lavoro di vigilanza, ieri passiva dinanzi alla lottizzazione, oggi taciturna e impotente dinanzi alla "militarizzazione" della Rai.
Siamo così oltre il livello di guardia per un'ordinata democrazia che forse anche il presidente della Repubblica dovrebbe guardare in questi affari. A meno di non volersi rassegnare, già dall'autunno, a quella che appare a Mario Perniola la migliore definizione di comunicazione: a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing, "una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa niente" (Macbeth).
(1 agosto 2009)
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