27 agosto 2009

siamo al Regime, shhh...che non si sappia!

LA POLEMICA

I direttori di Tg3 e RaiTre sono ritenuti da tutti ottimi professionisti ma non piacciono a Berlusconi: per questo ha dato l'ordine di farli fuori

L'assalto finale al fortino di RaiTre
di CURZIO MALTESE


GLI attuali direttori di Tg3 e RaiTre, Antonio Di Bella e Paolo Ruffini, sono ritenuti da tutti ottimi professionisti, fra i migliori della Rai. Hanno ottenuto del resto, sia in qualità che in quantità d'ascolti, molti eccellenti risultati. Tranne l'unico che conti nell'Italia di oggi: piacere a Berlusconi. Per questo il sultano ha dato ai vertici di viale Mazzini l'ordine di farli fuori, trovando una scusa. Compito non facile, perché di ragioni davvero non ce ne sono. Ma quando non esistono spiegazioni logiche, di solito basta inventarsi un complotto e un colpevole.

I vertici Rai, che invece non brillano né per doti professionali né per fantasia, hanno infine convenuto d'indicare all'opinione pubblica il colpevole più banale: la sinistra. È ormai come dire che l'assassino è il maggiordomo, ma funziona sempre. Sarebbe il Pd a volere il caos della terza rete per poter lottizzare dopo il congresso, secondo il volere del vincitore. L'ipotesi sembra troppo cretina perfino per gli elevati standard di autolesionismo del centrosinistra. Ma Antonio Di Pietro, per esempio, ci crede e dà una mano ad addossare alla sinistra la colpa dell'epurazione voluta da Berlusconi.

Naturalmente ai tre candidati alla segreteria del Pd, Pierluigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino, basterebbero dieci minuti per smontare la vicenda. Il tempo di prendersi un caffè insieme e annunciare il via libera alle nomine di RaiTre. Ma evidentemente i tre non sono in grado di prendere insieme neppure un caffè, oppure non capiscono la portata della minaccia.

Nel mirino di Berlusconi non ci sono tanto questa o quella poltrona Rai, le ha già quasi tutte. Se così fosse, non varrebbe neppure la pena di parlarne. Ma al premier interessa piuttosto eliminare un gruppo di programmi amati e, per lui, pericolosi. Si tratta anzitutto di "Che tempo che fa" di Fabio Fazio e di "Report" di Milena Gabanelli, fiori all'occhiello della rete, quindi dei salotti di Serena Dandini e di Daria Bignardi, "Parla con me" e "L'era glaciale".

Un bouquet di trasmissioni che ha molti meriti o demeriti, dipende dai punti di vista. Riescono a coniugare qualità e popolarità, danno un senso al concetto di servizio pubblico e tengono attaccato alla Rai un pezzo d'Italia moderna e intelligente, assai ambita dai pubblicitari, la quale altrimenti sarebbe già del tutto emigrata sul satellite. L'obiettivo del premier e padrone di Mediaset è di cancellarli. Stavolta con calma, senza editti, lavorando di cesello sul palinsesto e tagliando i fondi.

Il direttore Ruffini, degno erede di Angelo Guglielmi, non accetterebbe mai di sottoscrivere una simile sterilizzazione della rete. Occorre dunque uno spaventapasseri di sinistra disposto alla bisogna, in cambio della poltrona. Se ne trovano a mazzi, basta fare un fischio e si forma la coda davanti a Palazzo Grazioli. I nuovi direttori di Tg3 e RaiTre faranno tanti complimenti a Fazio e Gabanelli, Littizzetto e Dandini, ma diranno che è venuto il tempo di cambiare, innovare. In peggio, aggiungiamo pure.

Può stupire che Berlusconi, con tutto il potere di cui dispone, si concentri su questa battaglia. Ma il risultato alle elezioni europee di giugno l'ha ormai convinto che anche le riserve indiane debbano essere bonificate e gli ultimi professionisti della comunicazione vadano sostituiti con burattini pubblicitari manovrati da Palazzo Chigi.

Il piano d'assalto all'ultima roccaforte indipendente dall'egemonia berlusconiana è astuto e probabilmente andrà in porto. A meno che Franceschini, Bersani e Marino non trovino quei dieci minuti per disinnescarlo. Ma sono troppo impegnati a discutere sulla forma del partito e il suo radicamento nel territorio. L'ipotesi che l'attuale RaiTre sia ormai il principale radicamento nel territorio della cultura progressista in Italia sopraggiungerà soltanto fra qualche anno, come si dice in questi casi: a babbo morto.

(27 agosto 2009)

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