05 giugno 2007

*** Do You Want it? ***


Sono stata invitata da Sergio (blog: Memorie) a leggere un post che riportava notizie e informazioni da mettere a conoscenza della maggior parte.
Per questo motivo, d’ampliamento informativo, lo pubblico a mio volta dando continuità alla rete di divulgazione.
Si parla di ciò che ha causato e causa l’uranio impoverito (le scorie del processo di arricchimento dell'uranio, utilizzato nei proiettili per la sua alta capacità perforante), usato nella Guerra del Golfo, e nella Guerra dei Balcani.

Vorrei spingermi anche oltre l’articolo che qui riporto col copia/incolla (tratto dal blog di Sergio, già ripreso dal blog “DisordineMentale”): oltre cosa ha significato e può significare l’utilizzo dell’uranio. Perché il principio base non è cosa si può usare di meno nocivo!
Il principio da cui si deve partire è il non fare più uso di armi, smettere le guerre.
L’ambiente siamo noi, e anche se una bomba esplode sull’altra faccia della terra, noi, da questa parte, respiriamo la stessa aria, ci nutriamo dello stesso sole malato, viviamo nello stesso Universo.
Leggendo l’articolo si può comprendere di cosa parlo!

Una donna che avrà rapporti sessuali con un uomo che è stato a contatto con l’uranio impoverito, può subire delle conseguenze fisiche. Tutto è unito, anche se non ci appare sotto agli occhi.

In fondo all’articolo inserisco altri due link.
Invito a dare un’occhiata in particolare al link di “Indicius: No war for oil!”, in cui si riporta un’intervista al prof. Rocke (ex dirigente del progetto sull'uranio impoverito al Pentagono), correlata da documenti fotografici: bambini resi mostri dalla radioattività dell’uranio impoverito.


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“URANIO IMPOVERITO - LA SINDROME DEI BALCANI”: Una grande tragedia nascosta.
L’origine dell’articolo è su “DisordineMentale” (Postato da Antonio76, il 24 maggio)

"Con gioia, attenzione, rispetto e profonda malinconia accolgo la mail di una lettrice di questo blog che mi ha chiesto di utilizzare questo spazio per parlare di un problema grave e purtroppo tenuto fin troppo nascosto. Le morti dovute all' utilizzo dell'uranio impoverito. La Sindrome dei Balcani.
Molti italiani sono morti e stanno morendo. Un tema grave e scottante, le cui responsabilità vengono tenute coperte in modo ignobile. Franca Rame in questi anni ha cercato di porre luce su questi fatti e ha reso possibile la diffusione dei lavori della dottoressa Gatti che si sta impegnando anima e corpo affinché si sappia di più su questa tragedia nascosta.
Ringrazio Giovanna che mi ha spedito questo articolo e invito tutti alla massima attenzione. Diffondere queste notizie è importante.


Articolo della Dott.ssa Antonietta Gatti,
Laboratorio dei Biomateriali-Dipartimento di Neuroscienze Università di Modena e Reggio Emilia


Nel 2002 la comunità europea finanziò un progetto chiamato Nanopathology, un neologismo che portava in sé la discussione di un problema non ancora avvertito, forse addirittura ignorato del tutto, vale a dire l’impatto che polveri di dimensioni piccolissime, fino a poche decine di milionesimi di millimetro, possono avere sulla salute umana. Nell’ambito di quel progetto si sviluppò una tecnica nuova di microscopia elettronica che consentiva d’individuare quelle polveri all’interno di tessuti malati prelevati dal paziente e di determinarne forma, dimensione e chimica elementare. Con questa metodica si sono analizzati moltissimi campioni prelevati da soggetti colpiti da patologie come varie forme di cancro, leucemie, linfomi: tutte malattie di origine ignota ma che, da queste nuove osservazioni, parevano avere spesso in comune la presenza di polveri inorganiche.

Nel 2002 esplose vistosa anche in Italia, fra i nostri soldati impegnati in quella che era stata la Jugoslavia, la cosiddetta “sindrome dei Balcani”, un insieme di sintomi, spesso gravi, apparentemente assai difficili da correlare. A quel tempo i mass media indicavano nell'uranio impoverito, certamente tossico e blandamente radioattivo, usato per costruire bombe, il possibile responsabile. Nascevano quindi associazioni che chiedevano, e tuttora chiedono a gran voce, la sua eliminazione come mezzo di distruzione.
A quel tempo diverse domande si potevano porre, domande che, però, nessuno pensò di proporre: se è l'Uranio impoverito a causare queste patologie, come mai non si ammala anche chi passa la giornata a lavorare al tornio la punta d'uranio delle bombe? E poi, come fa un materiale debolmente radioattivo a causare patologie di organi non raggiungibili dalla debole radioattività? Ancora, come mai lo stesso materiale provoca alcune volte tiroiditi, altre leucemie, altre volte ancora diverse forme di cancro? E come mai si ammalano anche alcuni soldati nei poligoni di tiro dove, però, non si spara Uranio impoverito? E continuando, come mai esistono patologie simili fra persone (civili) che non sono mai andate in guerra? Perché scomodare inneschi diversi per patologie simili, ad esempio, cancro?
Nel dibattere quei quesiti, pensai che se era l'Uranio impoverito, con la sua pur modesta radioattività, a causare i problemi di salute, questo doveva necessariamente trovarsi nei tessuti patologici.
Cominciai allora ad analizzare alcuni tessuti di soldati ammalati o deceduti dopo la malattia che li aveva colpiti al ritorno dalle loro missioni.
Nei 42 casi esaminati di campioni di soldati (alcuni deceduti, altri ammalati e poi guariti), non mi accadde mai di trovare l'Uranio impoverito, ma qualcosa, a mio avviso, di più pericoloso: l'inquinamento bellico.
Che cosa significa? Quando bombe come quelle all'Uranio impoverito o al Tungsteno esplodono contro un bersaglio, sviluppano temperature molto elevate: più di 3000°C per l’Uranio, un dato che trovai in un rapporto redatto dalla base militare statunitense di Eglin, Florida, nel 1978, assai di più per il Tungsteno.
A queste temperature, tutto quanto si trova nell'intorno del punto di scoppio, viene fuso e vaporizzato. Si forma così un aerosol che viene disperso finemente in atmosfera, in ogni direzione.
Questa polvere finissima contiene tutti gli elementi che si trovavano all'interno dell'esplosione, però ricombinati in un modo che può essere anche completamente diverso da quello originale. Ad esempio, se si è colpito un carro armato, tutti gli elementi chimici che in questo erano presenti vengono fusi e ridotti a polvere finissima. I soldati si trovano in zone distrutte, devastate, dove, però, aleggia ancora questa polvere che non viene mai misurata e che può restare sospesa per tempi lunghissimi.
Una volta creato questo inquinamento, chimicamente e fisicamente impossibile da eliminare, non abbiamo strumenti per prevedere quando si depositerà al suolo e nemmeno dove lo farà, ma, una volta depositato sul terreno trasportato da pioggia e neve, basterà un minimo soffio di vento per risospenderlo di nuovo. In pratica, il comportamento di queste polveri è molto simile a quello di un gas e, dunque, come un gas vengono inalate ed entrano nei polmoni per uscirne entro poche decine di secondi e finire nel sangue.
Al momento, per loro non sono stati individuati meccanismi di eliminazione. Le barriere fisiologiche, compresa quella ematoencefalica che protegge il cervello, non riescono a trattenerle e a sbarrarne il cammino. Dunque, trasportate dal sangue, queste particelle finiscono in ogni organo o tessuto, dove sono trattate come corpi estranei e dove, per questo, danno luogo a forme infiammatorie croniche che hanno la possibilità, senza che questa costituisca una matematica certezza ma resta confinato alla probabilità, di trasformarsi in tessuti tumorali. Dato, poi, che queste polveri contengono pure tanti elementi chimici diversi, è ovvio che alcuni di loro, l’Arsenico, il Mercurio, il Piombo, ad esempio, saranno tossici per loro stessa natura e questa tossicità sarà ovviamente espletata a carico dell’organismo.
Corpi estranei di dimensioni così ridotte possono contaminare anche lo sperma, i cui campioni analizzati provenienti anche da alcuni soldati deceduti hanno mostrato queste presenze estranee che possono esercitare una tossicità locale sugli spermatozoi.
Ma la cosa più sorprendente che si è dovuta constatare è che, donando il seme alla partner, questa ne resta contaminata e sviluppa a livello vaginale piaghe sanguinanti molto dolorose, ribelli ad ogni trattamento farmacologico o chirurgico, una patologia nuova denominata “malattia del seme urente”.

Quindi, si deve constatare che l'inquinamento creato da bombe sofisticate, oltre ad essere inalato o ingerito mangiando, ad esempio, vegetali cresciuti nelle zone colpite, può essere "assimilato" e , ritornando a casa, trasferito alla partner, contaminandola. La malattia brevemente descritta trova la sua spiegazione se si considera che detriti essenzialmente metallici (Cobalto, Antimonio-Cobalto, Acciai, Piombo, ecc.) di dimensioni al di sotto del micron, a contatto con la mucosa vaginale e uterina, per la loro non biocompatibilità, inducono bruciori, infiammazioni e, nei casi più gravi, anche necrosi cellulare.
Occorre poi considerare che, mentre nel soldato la concentrazione di particelle nello sperma diminuisce ad ogni eiaculazione, la partner le accumula e si contamina sempre di più. La difesa americana consigliava ai propri soldati di non procreare per un anno (ora sembra che il consiglio sia esteso a 3 anni) dopo il ritorno dalla missione. Questa precauzione, tuttavia, non risolve il problema, poiché, se il seme contaminato rimane in situ, ha la possibilità di estrinsecare la sua tossicità sia sugli spermatozoi sia sui tessuti circostanti, mentre se viene donato, il paziente se ne libera ma contamina la partner. Un'eventuale fertilizzazione, poi, avverrebbe in un sito contaminato e non si può assicurare che l'embrione risulti sano.
La cosa più sicura e consigliabile è, allora, evitare contatti con quello sperma usando un preservativo.
Questa precauzione deve essere suggerita subito, perché non deve essere consentito di portare la guerra in casa senza che il padrone di quella casa ne sia consapevole e conceda la propria autorizzazione.

Ricordiamo il numero di conto corrente per la sottoscrizione in favore delle vittime dell'Uranio Impoverito:
conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao
ABI 7601 - CAB 3200 Cin U"


Commento postato da Sergio (“Memorie) il 2.6.07 -
"Da qualche tempo gli organi di informazione (radio,giornali,televisione) hanno preso l'irresponsabile abitudine di riempirci di "notizie sensazionali" che non fanno altro che generare tra la gente timore e panico, creando altresì gravi danni al commercio e all'industria, e modificando le abitudini della gente. Pertanto, mentre è corretto conoscere la realtà sui pericoli che corrono coloro che agiscono in zone di guerra, è assolutamente idiota spaventare i cittadini solo per vendere di più. Pensate, solo per fare un esempio recente, ai danni che si sono creati con l'allarmismo per la "mucca pazza" o per l'influenza "aviaria". Ora esce l'ennesima imbecillità sulle polveri di cocaina diffuse nell'aria. A parte il fatto che la quantità di droga che spesso si trova sul denaro che maneggiamo è di gran lunga superiore, e che la cosa non provoca alcun rischio perchè nessuno di noi mangia gli euro, nessuno vi ha informati che dovreste vivere e respirare per ben 20.000 anni prima di assorbire una, dico una, dose di cocaina dall'aria!"

Julien (scienziato) risponde a Sergio il 4.6.07:
"Caro Sergio
conosco un poco questo problema delle nanopolveri che viene ad essere agitato da qualche anno negli ambienti scientifici. Personalmente sono più propenso ad attribuire all'uranio stesso (che è dannoso per l'organismo anche a prescindere dalla carica radioattiva)la sindrome balcanica. Certamente la situazione logistica dei soldati in quei posti pone anche un altro problema: le distruzioni dei bombardamenti hanno riguardato anche centrali elettriche, depositi di munizioni, industrie chimiche, depositi di carburante e quant'altro di pessimo si possa immaginare, liberando in aria ogni sorta di sostanze nocive, in concentrazioni che si devono per forza essere mantenute per mesi molto al di sopra di qualunque standard di sicurezza, senza contare la contaminazione del suolo (e quindi delle culture) e quella delle falde acquifere. In tali condizioni non è difficile immaginare che le tante componenti ambientali negative abbiano esercitato un sinergismo (cioè un reciproco potenziamento degli effetti) con l'uranio stesso. Non sono d'accordo con l'idea che le nanopolveri possano risollevarsi per azione meccanica. Anche se alcuni scienziati sostengono questa tesi, io penso che si tratti di una pseudo-teoria, asservita a chi, per politica (e cioè per non fare nulla), vuol sostenere la non risolvibilità del problema. Il fatto è questo: le particelle sospese rimangono in aria per tempi lunghissimi (molti mesi) perché hanno una carica elettrica che ne impedisce l'aggregazione (cioè si respingono ed è come se rimbalzassero le une contro le altre). Questa carica però viene neutralizzata nel tempo perché si verificano trasferimenti di carica alle molecole dell'aria o perché si incontrano molecole di carica opposta, particelle, pareti o ioni o quant'altro che le neutralizzano. A questo punto le nanoparticelle si aggregano, raggiungono dimensioni critiche e precipitano al suolo per forza di gravità. Non è pensabile che il calpestìo o il passaggio di veicoli eserciti una forza puntuale sufficiente a disaggregare il pulviscolo. La polvere alzata dal vento o dai veicoli può contenere tante schifezze ma è grossa (cioè vari millesimi di millimetro) e ricade rapidamente o, se respirata, si ferma alle prime vie aeree (naso, bronchi), senza raggiungere gli alveoli polmonari che sono il punto di scambio tra l'ambiente ed i fluidi organici. In altre parole ciò che non raggiunge gli alveoli viene espulso dall'organismo per via meccanica e non fa danno.
Per quanto riguarda la cocaina hai perfettamente ragione. Se la massima concentrazione trovata è di un decimo di nanogrammo per metro cubo (un nanogrammo è un miliardesimo di grammo)occorrono cento milioni di metri cubi d'aria per fare i dieci milligrammi che corrispondono ad una singola "sniffata" di un consumatore molto "moderato". Ognuno può fare i suoi conti ma il risultato è comunque che chi pensasse di farsi una bella sballata facendo jogging per villa Borghese resterebbe deluso.
Julien"


I Link che aggiungo come ampliamento sono:
“Unimondo.org”: articolo del 28 febbraio 2006;
e “INDICIUS: Not war for oil!”, menzionato in apertura post (se non altro guardate le foto, se vi siete stancati di leggere!)

Concludo: La vita è la nostra!

30 maggio 2007

"Legami" ( "Andreina"/continua...)


Squillava il telefono, lo sentiva oltre la porta di casa.
Le dita annaspavano nel cercare le chiavi nella borsa, e più tentavano d’individuare la conosciuta forma, più afferravano oggetti diversi.
Si spazientì, rovesciò il contenuto sul pianerottolo mentre pensava:
“Cosa mi affanno a fare, potrebbero richiamarmi sul cellulare!”
Eppure l’abitudine a correre allo squillo del telefono, il mistero di chi lo stesse facendo trillare, l’indussero a spingere la chiave nella serratura, spalancare di furia la porta e lanciarsi in picchiata sul telefono di casa:
- Pronto?-
- Ah, stavo per riagganciare! -
- Oh, Gaia sei tu… -
- Sì, evito il cellulare, costa… -
- Lo so, lo so… Come stai? –
- Bene, tutto bene. Senti mamma, io questo week-end partirò. Non ci sarò per la festa di Aury… –
- Ah, bene!! Dove andrai di bello? –
- Veramente, mamma, … no, in effetti non parto! –
- Gaia, che dici? Ma di cosa parli? –
- No! La verità è che non mi va di venire alla festa di Aury. Però non fare storie! E’ semplice: non mi piacciono i suoi nuovi compagni di classe, non mi piace l’età dei dodici anni! Hanno tutti l’aria da bulletti. Coattelli che si danno arie e sono degli ignoranti!-
- Gaia, sei insopportabile quando ragioni così! Aury ci resterà male! –
- Quando torna da scuola? La chiamo dopo, glielo spiego! –
- Le dispiacerà, sei sua sorella, ci tiene! –
- Non voglio sentirmi a disagio solo per fare presenza! Fra l’altro lei sarà circondata dai suoi amici, quindi se non ci sarò neppure se ne accorgerà! Quest’anno va così! L’anno scorso avevi organizzato la caccia al tesoro ed io e Sonia ci siamo divertite a guidare le squadre su e giù per il parco! –
- È vero! L’anno scorso è venuta anche Sonia. Infatti con te e Sonia che mi avete aiutata a trasportare bottiglie, cibo, e tavolino da casa fin sul prato, la fatica s’è dispersa nel divertimento! E se non vieni tu, naturalmente non verrà neppure Sonia: è la tua amica! –
- Ah, non lo so! Prova a chiederglielo… Ci risentiamo dopo, così parlo con Aury. C'è un’altra cosa: mi ha chiamata nonna. Già due volte. Vuole parlarti e si lamenta ché non ti trova mai a casa. Mi ha chiesto di dirti se la richiami. –
- Va bene –
Andreina lanciò un sospiro appoggiando lentamente la cornetta.
La mano immobile lì.
Parlare con la madre al telefono assomigliava all’affrontare un’immersione subacquea. Prendere fiato, ossigenarsi con attenzione, senza sapere se il respiro sarebbe stato sufficiente per la durata dell’apnea. In genere annaspava dopo poche battute.
Meglio chiamare subito, altrimenti non lo avrebbe più fatto.
Raccolse gli oggetti sparsi sul pianerottolo, chiuse la porta di casa.
Ritornò a sollevare la cornetta, come alla propria missione.
Nel comporre il numero, il pensierò volò a Gaia che sarebbe mancata al corale e primaverile festeggiamento d’Aurora. Ciò le dava un certo amaro sapore.
Alzò le spalle mentre l’orgoglio si inalberava: ce l’avrebbe fatta da sola!


Respirò profondamente:
- Pronto, mamma? –
- Andreina, finalmente! Ho provato tante volte oggi a chiamarti! -, la voce si sospese in attesa d’una giustificazione all’assenza.
Andreina tagliò dritta per la scorciatoia:
- Sì, me l'ha detto Gaia. Eccomi! -
- Volevo dirti… che io e zia il dolce per la festa te lo facciamo, però non veniamo a Villa Pamphili… -
Andreina restò in silenzio, sapeva che c’era un seguito.
- ...Sai, ha telefonato tuo fratello, e mi ha detto che i bambini non vogliono venire perché non conoscono gli amici di Aurora: si annoierebbero… così lui non viene. Poi, quando tuo padre ha saputo che Giorgio e i nipoti non ci saranno, ha deciso di non venire neppure lui! Pensa: io e zia lo avevamo pure invitato a pranzo, così dopo saremmo venuti insieme! Ma se né tuo padre, né tuo fratello vengono, non veniamo neppure noi! Il dolce però te lo faccio, puoi passare a prenderlo. -
- Neanche Gaia viene. Non ho aiuti per portare tutta la roba, in aggiunta ora devo passare da te per prendere il dolce! –
- Beh, allora fai meno roba da mangiare! –
- Come?? Mamma! Sono le bottiglie che pesano, devo lasciare tutti assetati sotto il sole della Villa? ...Tu reagisci sempre così quando ti metto al corrente delle mie difficoltà! Come hai esordito? “Fai meno roba da mangiare”?? Infatti è da me imbandire banchetti luculliani da matrona preoccupata d’elargire cibo a volontà! –
- Scusa, ma di cosa t'arrabbi? Ti ho solo fatto presente che io non posso certo aiutarti con le mie gambe zoppicanti! –
- Mamma? Tu mi hai detto un’altra cosa, che suonava diversamente da “io zoppico e non posso aiutarti” –
- No, io ho detto che zoppico! Ti ho detto questo! –
- Va bene. Domani all’ora di pranzo passerò a prendere il dolce. Grazie. –
- Ho un regalino per Aurora… -
- Salirà lei a prendere il dolce, io l’aspetterò in auto. –
- Così le do il regalino… -
- C’è un avviso di chiamata, devo riattaccare …
Pronto?
- Buongiorno. Sono il papà di Sara, una compagna di classe di Aurora. –
- Ah, buongiorno! Sono Andreina, la mamma di Aury. Diamoci del “tu”. Sara verrà alla festa? –
- Sì, chiamo per questo infatti. Sara verrà, ...però sai, ci sono i genitori un po’ preoccupati. Tutti questi bambini nella Villa, non è che si perdono? –
- Ma no! Sono anni che Aury fa la festa nel parco, se non è accaduto nulla quando erano piccoli, ora a dodici anni vuoi che si smarriscano? E poi io sarò lì! –
- Ah, sì certo… È che, sai, fra l’altro la villa non è nel quartiere, se magari la facevate al giardino qui vicino… Nel parco potrebbero anche incontrare qualche pedofilo… -

- Mi dispiace che ci sia tanta preoccupazione! Veramente sono anni che facciamo la festa lì, è molto bello il parco! Anzi, per le feste precedenti ho anche organizzato delle cacce al tesoro! Ora però sono grandi e li lascerò correre e divertirsi a modo loro! Ti assicuro che non c’è da preoccuparsi! –
- Va bene... Ma puoi capire, no? I genitori sono tutti preoccupati e mi hanno chiamato chiedendomi di telefonarti. Io sono il rappresentante di classe, sai… Però li ho avvertiti che per le cose private mica funziono come rappresentante di classe…!
- Ah, capisco… ma cosa hanno detto: verranno? –
- Sì, verranno, erano solo un po’ ansiosi, sai… -

Andreina sentì lo squillo del suo cellulare emergere dalla tasca della borsa. Intenta a rassicurare il suo interlocutore, allungò la mano al telefonino e chiuse la comunicazione della chiamata entrante.

Pochi secondi e il cellulare riprese a trillare.
- Scusa, ho il cellulare che continua a suonare, allora d’accordo! ...A domani! -

- Pronto, papà?
- Ciao Andreina, è la seconda volta che chiamo, poco fa è caduta la linea. –
- Sono già al corrente di tutto: non verrai alla festa. –
- Eh, sì, ho saputo che non viene l'uno, non viene l'altro, allora… -
- Scusa? Mamma mi ha detto che tu non vieni perché Giorgio non verrà! A questo punto allora non viene neppure lei! –
- Eh, no! Mamma a me ha detto che lei non viene visto che non verrà Giorgio! Mi aveva anche invitato a pranzo, ma cosa vengo a fare fino a Roma se poi nessuno di noi verrà a Villa Pamphili? –
- Al solito! Mamma si è rigirata la frittata! –
- Sì, infatti! La conosci! Per questo non mi opposi alla separazione! –
- Papà? La separazione è avvenuta quindici anni fa! …E poi, scusa, che c’entra? Potevi forse opporti se lei voleva separarsi…? -
- Ah, no! No, no! Se la pensi così, la prossima volta che verrai a trovarmi ti farò leggere quali cose infamanti ha scritto quella grande stronza dell’avvocatessa che proprio tu, tu!, le fornisti! –
- Oddio, papà! Avevo avuto da poco una causa legale, mamma mi chiese il numero del mio avvocato, che dovevo fare? Risponderle che non glielo davo? –
- Ah, sai che ti dico? Che è meglio se non vi sento più tutti quanti! Ti dovevo avvertire che non venivo, l'ho fatto! Guarda che le previsioni danno pioggia per domani! Ti saluto! –
Andreina restò in silenzio.
Il padre comunque chiuse.

Rimase a fissare stupita il cellulare fra le mani, allo stesso modo in cui avrebbe potuto guardare la sua vita e chiederle: “Dov’è che sbaglio?”.
Si alzò da automa e accese la televisione.
Il meteorologo tuonò: brutto tempo l’indomani su tutta Italia.


Stavolta fu lo stonato citofono a rumoreggiare dall'ingresso, e apparve Aurora nel suo radioso sorriso.
- Aury, penso sia meglio rimandare la festa. -
- Oh, no! Papà mi ha già presa in giro perché è passato un mese dal mio compleanno…! –
- E tu? Gli hai risposto qualcosa? –
- Sì, mi sono arrabbiata, certo, e gli ho detto: “Papà, falla finita! Pensi che a me faccia piacere?”. Lui è ammutolito. –
- Brava! –
Andreina l'abbracciò, e lei le si strinse al collo.
- Sarà bellissima anche se rimandiamo, mamma! Le feste che tu organizzi sono sempre belle! -





















25 maggio 2007

dedicato agli UOMINI e alle DONNE che vivono con coraggio: VINCENDO!



"Il coraggio fronteggia la paura
e quindi la domina.
La codardia reprime la paura
e quindi ne è dominata.
Le persone coraggiose
non perdono mai il gusto di vivere,
anche se la condizione della loro vita
è priva di gusto;
le persone codarde,
sopraffatte dalle incertezze della vita,
perdono il desiderio di vivere."

Martin Luther King


17 maggio 2007

"IL DISEGNO MURALES"


“Quando avrai 18 anni farai quello che vuoi! Ora sono io responsabile di te, e non puoi.”
“Quando compio 18 anni posso fare quello che voglio, l’hai detto mamma, hai detto così!”
“Sì, a 18 anni sono affari tuoi, ora no, e basta!”
Scalpitava Andreina, scalpitava nei suoi 17 anni e mezzo. Le mancava poco, poco…
L’estate precedente voleva partire per Umbria Jazz, con sacco a pelo e amici. No, divieto.
Ah, ma quando avrebbe raggiunto la maggiore età, non avrebbe più potuto impedirglielo. Aveva promesso e doveva mantenere.
Mancava poco ormai, poco.
Avrebbe festeggiato per l’intera giornata quel compleanno, era un traguardo che spalancava le porte alla sua vita! Voleva le amiche per condividerlo, voleva la primavera e il sole, voleva delle corse in bicicletta attraversando la città pervasa dai profumi dei fiori da captare nel vento! Voleva un vestito rosa e leggero come i suoi diciotto anni.
Mancava poco, mancava poco…
Era marzo. Si scendeva in corteo per le strade a manifestare, a gridare slogan con le sue coetanee, fra mille ragazze insieme ad una moltitudine di donne. Mimose fra i capelli, volti dipinti, sciarpe colorate, calzettoni a righe, zoccoli neri, girotondi attorno ai malcapitati:
“Maschi,
maschietti,
non state lì a guardare!
A casa ci sono
i piatti da lavare!”
…Timido, uno, sorridendo alzava la mano chiusa a pugno per manifestare la sua fede politica, quasi a giustificarsi e voler suggerire: “Dai, sono dei vostri…”

Mancano pochi giorni! Andreina è entusiasta della vita, del vento della primavera, del profumo delle mimose, dell’energia delle donne, di quei cortei variopinti e ridondanti di canti, della solidarietà che l’avvolge come un mare in cui nuotare ad ampie bracciate, felice!
Torna a casa col volto raggiante, i racconti di quella giornata scorrono, acqua vivace di torrente, verso la madre che in piedi davanti al tavolo su cui si pranza, senza alzare gli occhi, continua a comprimere il ferro da stiro, su e giù, per gli indumenti distesi sulla coperta.
Parla, Andreina, con la voce che è un canto di gaudio, nel silenzio di marmo della madre che stira in cucina. Le note felici si alzano, riportano ridenti le rime gridate a squarciagola, volano sull’intimorito ragazzo che hanno fotografato, soffiano sulla forza che l’ha pervasa: onda prorompente che si è propagata sulle ore di quella giornata fra donne unite e vocianti.
Bruscamente viene spezzato il suo assolo vibrante:
“Ah, sì? Bella libertà tutto questo! Io qui a stirare, e tu a divertirti per le strade! E la mia libertà dov’è? Potevi starci tu qui a stirare!”
L’arcobaleno che brillava nel firmamento, sottile cristallo di mera illusione, va in pezzi. Andreina ammutolisce. Preferisce chiudersi nella sua stanza mentre la madre continua a inveire.
Cerca tra i fogli, cerca i colori. Estrae un cartoncino nero, afferra i pastelli a cera, e disegna.
Disegna una donna che urla, urla col suo pugno alzato. La lotta, la lotta delle donne: la lotta per la libertà.
Quale libertà?

Piena primavera. Eccolo il giorno del compleanno!
Affittano le bici, lei e due amiche, e sotto il sole romano pedalano per i vicoli del centro, salutano l’isola Tiberina, traballano sui sampietrini di Campo di Fiori, il vento volteggia sotto il velo del vestito dai colori pastello stretto alla vita da un nastrino nero…
La sera la festa continua, e dopo la pizza con gli amici si va al Giardino degli Aranci, a cantare con la chitarra sotto le stelle.

Pochi giorni dopo, incrociando il padre in ascensore, l’uno esce, l’altra entra, Andreina dà la sua notizia:
“Papà, io a Pasqua vado in Sardegna!”
Lui, con sguardo indignato, non proferisce sillaba. Andreina sa che basta avere il permesso materno. Ora è maggiorenne, il permesso è automatico.
Zaino in spalla, parte con gli amici. Una settimana in tenda davanti al mare, vicino ad un campo dove pascolano mucche.
La libertà è iniziata, l’avventura ha sapore selvatico e sconosciuto.


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“Mamma, è fatta! Nonna mi lascia la casa! Lei va a vivere da zia, preferisce così. Ma, come ha sempre detto, mi lascia la sua casa!”
“Non ci posso credere! E’ bellissimo!”
“Sì, da domani inizio a portarmi tutta la mia roba lì. Ho preso degli scatoloni al supermercato per cominciare ad impacchettare un po’ di cose.”

Girandosi con le mani ingombre nel ristretto spazio del corridoio, Gaia urta un quadro che, sganciandosi dal chiodo, precipita a terra.
Il vetro va in frantumi.
Andreina guarda Gaia che già sbuffa contrariata:
“Ecco, lo sapevo che prima o poi finiva a terra! In questo spazio così piccolo il quadro è in pericolo!”
“Tu ce l’hai con questo quadro, non ti è mai stato simpatico!”
“E’ vero. La faccia di questa donna mi ha sempre messo paura!”
“E’ un disegno che ho fatto moltissimi anni fa, quando avevo 18 anni…”
“Lo so, lo conosco bene! Anche se per molto tempo lo hai lasciato chiuso in una cartella. Però è inquietante…”
“Ma non è vero! Non fare la bambina!”
“Oh, ma che bambina!! Anzi, mi devo spicciare, ho poco tempo. Devo inscatolare, e anche togliere i vetri dal pavimento… Scusami, mi dispiace di averlo rotto, più tardi passo a comprare un altro vetro, così si può riappendere.”
“Sai, Gaia… Mi sta venendo in mente una cosa… Potrei dartelo da portare nella tua casa…”
“Mamma? Dai i numeri? Non mi piace! Mi inquieta, te l’ho detto! Ed è una cosa tua: ha significato per te.”
“È vero… fa parte della mia storia. Pensavo di dartelo come regalo... ma in effetti è stupido, mica parti per l’Australia! E poi... ci sono molto legata. Non avrebbe alcun senso darlo a te! E’ un disegno che racconta tutto ciò che ho sempre avuto dentro... ”
“Senti, scusami, adesso non ho tempo, devo mettere un po’ di cose negli scatoloni.”
“Sì, va bene, ho capito. Vado di là.”

Andreina, con in mano il suo trentennale disegno impresso dai pastelli di cera, si siede sul bordo del letto, restando ad osservarlo come fosse una foto sfumata nell’ocra del seppia, l'ambrata tinta d'infinite storie intrecciate.

C’era la sua rivoluzione in quelle sagome che spiccavano dal fondo nero: il suo urlo, il suo pugno alzato. Sagome che raccontavano della capacità di raziocinio nelle donne non presa in considerazione quanto le loro sinuosità. Era la denuncia al mondo del Mercato che utilizzando le forme femminili su di una bottiglietta, richiamava al consumo, rendendo famosa la bibita contenuta nel corpo di vetro.
C’era il cammino del vivere delle donne cantato da Edoardo Bennato.
La Fata, bella odalisca dalle generose forme, che con una mano sfornava un bebè, e con l’altra aveva già preparato il pranzo sul vassoio. Senza alterare la sua bellezza, senza perdere procacità.
C’era il corteo delle donne che unendo fra loro l’indice e il pollice delle due mani, urlavano: “Io sono mia!”.

C’era ciò che Andreina aveva coltivato dentro nel suo lottare verso una libertà che a 18 anni era solo pallidamente iniziata, sempre in procinto di essere inghiottita ad ogni passo dell’esistenza, ad ogni nuovo amore, ad ogni nuova lotta.
Era un murales quel quadro, disegno dai graffiti di cera, linee scolpite dalla durezza di pastelli senza punta.

“Mamma? Sei di là?”
Andreina sente la porta di casa che sbatte.
“Eh? Che c’è?”
“Guarda, sono già tornata con il vetro nuovo. Mi servivano altri scatoloni, e ne ho approfittato.”
“Ah, grazie! Così lo riappendo subito.”
“Meno male che hai deciso di tenerlo… Poco fa stavo ripensando al tuo volermelo regalare, e l’ho immaginato in camera da letto: sai che paura svegliarsi con quella faccia davanti? E poi mi fai scappare tutti i ragazzi!!”
“Ma quanto sei spiritosa!”
“Mamma, dammi retta! Questa è roba vecchia!!”
“Gaia, sei una sbruffona! Se certe lotte non fossero state fatte… Ancora oggi il rapporto tra uomo e donna è molto difficile, ma tu neppure immagini la mentalità che c’era trent’anni fa!”
“Va bene! Tagliamo corto! Ecco il vetro. Tu la pensi a modo tuo, io a modo mio, e quel quadro in camera da letto mi farebbe avere gli incubi!”
“Infatti lo rimetto qui, nel corridoio stretto, e cerca di non farlo cadere di nuovo.”

Gaia ritorna a riempire gli scatoloni.
Andreina assicura il quadro ai chiodi. Controlla che sia dritto. Resta per qualche secondo pensierosa, poi si dirige verso la libreria da cui estrae un album. Cerca una fotografia.
Sorride.
La storia ha camminato, e Gaia è già questo cammino.


°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

"e tu regina o fata tu
non puoi pretendere di piu'

e insegui i sogni da bambino
e chiedi amore e sei sincera
non fai magie, ne' trucchi, ma
nessuno ormai ci credera'
c'e' chi ti urla che sei bella
che sei una fata sei una stella
poi ti fa schiava, pero' no,
chiamarlo amore non si puo'"

12 maggio 2007

VOCI NEL SILENZIO



Post di segnalazione


VociNelSilenzio mi ha invitato a visitare il suo blog, e a mia volta io invito chi passa di qui a visitare il loro blog e a leggere il post dal titolo:
"FIGLI DI UN DIO MINORE???????"

Importante è "sapere".
E' il primo passo, senza il quale non nascerebbe alcuna sensibilità nei confronti dell'ambiente che ci circonda, delle problematiche e dei disagi infiniti che vivono attorno a noi.
Siamo una Società.
Siamo Leggi.
Siamo Politica.
Siamo disfunzione.
Siamo esseri umani con più o meno vantaggi che viviamo "insieme", nel caos e nell'affrontare.

Una clickata per allargare la conoscenza della battaglia di Carlo e Luisa
.

08 maggio 2007

\\\\\///// dialogo \\\\\/////



Un uomo e una donna seduti di fronte.
E’ notte.
E’ il loro incontro, sempre, di notte.
Incontro clandestino.

“Sono sposata, sei sposato. Quanto può durare così?”
“Va bene, va bene così. Proprio in questo modo può funzionare.”
“Non è vero”.
“Sì, invece. Non può essere altrimenti. Se non fosse così sarebbe già finita.”
“Dev’esserci un altro modo”
“No, questa è la vita”.
“Così non mi piace”
“Ti piace quando ti scopo”
“Smettila!”
“E’ così. Ti piace per questo. E lo sai bene.”
Lo osserva.
Sguardo fisso nello sguardo.
“Mi piace la nostra passionalità. Sì. Ma voglio anche altro.”
“Altro ce l’hai. Con tuo marito. Io con mia moglie.”
“Siamo squallidi.”
“No. Siamo fortunati!”
“Ma che dici? Dov’è questa fortuna?”
“Qui, fra i nostri sensi…”
L’uomo avvicina la mano sulla pelle della donna, le sfiora una gamba, piano sale verso la coscia.
Lei trasale. Occhi negli occhi, legge il desiderio tra le profonde pupille e le nere iridi. Se ne sente catturata.
Avrebbe voglia di mordergli le labbra, di baciarlo. Si trattiene.
“Fermati”, gli dice.
“E perché? Vedi come ti piace?”
“Sei un bastardo, stai fermo. Non siamo soli”
“E’ come se lo fossimo. Qui nessuno ci conosce, un posto pubblico lontano dai nostri luoghi.”
“Devi fermarti lo stesso. Non puoi. Se non siamo soli non puoi.”
“Ecco, tesoro. Mi fermo. Come vuoi...”
Le sorride beffardo.
“Anche dopo, quando saremo soli, dovrò stare fermo? …Farai tutto te, tesoro?”
Il suono della voce si sofferma sull’ultima parola, l’accarezza con voluttuosità, lasciandola cadere e strusciare come un serpente che scorra su di un tronco…
Lei sorride. L’ambiguo gioco l’ha afferrata:
“Così ti piacerebbe, vero?”
“Certo! Molto…!”
Cadono vischiosamente le note dell’esclamazione, come zucchero liquefatto che lasci scia.
“Sei proprio un bastardo! …Volevo parlare. Non finire come sempre.”
“Sei noiosa, troppe parole. Non capisci quanto tempo prezioso perdiamo?”
“Tempo? Ah! Mi parli di tempo! Proprio tu che vuoi restare in questi spazi ristretti. Senza sole, prati, senza mare, senza sogni, senza aperture. Solo clandestinità!”
“Fra noi è nata così. Lo sai. Solo così è possibile. Non conviene cambiare le cose.”
“Non voglio continuare a fingere. Amo te, non colui con cui vivo. E’ te che desidero. Ti desidero sempre, e tu non ci sei”
L’uomo si alza.
“Andiamo.”
“No, parliamo.”
Lei resta seduta.
“Andiamo. Non abbiamo abbastanza tempo, andiamo adesso. Ti desidero! Le parole non servono. Lo sai. Discorsi ripetuti. Vecchio carosello trito e ritrito. Noi dobbiamo amarci. Non parlare.”
La fa alzare.
In piedi l’afferra alla vita premendola su di sé. Tiepido l’alito le soffia all’orecchio:
“Ti voglio scopare. Ora. Subito!”
Sente le sue mani attraverso il sottile vestito. Mani esperte. Calde palme che sanno accarezzarla, pelle sapiente del piacere da elargire, sfioranti tocchi che aprono vallate e sanno far scorrere ruscelli di dolcezza.
E sa, sa lei, di non poter rinunciare! Come nessun bambino sa negarsi d’affondare la lingua nella soffice panna appena deposta, o il dito nella glassa di cioccolata ancora molle e appena sfornata…
Cede. E le ginocchia cedono con lei, così come ogni brivido prende a scorrerle lungo il corpo. Perciò lo segue, aderendo a lui e pregustando la caduta d’ogni piccolo frammento di stoffa, fremente, fremente nell’ansia che sia ormai solo il silenzio delle pelli a guidare, a gridare, ad intrecciare.

Amanti e null’altro.

Le parole non dette non daranno tregua.
Finirà.
Sì, finirà.

Lui dà piacere. Insolente lui, dà piacere ai corpi.

Ai corpi. Non al cuore.

04 maggio 2007

------- La catena dei 5 libri importanti ---------

Ricevute le consegne da Assu, ecco i cinque libri scelti come significativi nelle varie tappe di vita.



L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE - Milan Kundera

"L'idea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri ci abbiano trovato la morte fra torture indicibili."


Un libro che ha fatto storia!
E mi ha lasciato segni di riflessione quasi insoluti.
Me lo prestò un'amica, la stessa che più avanti menzionerò perchè collegata ad un altro libro tra quelli scelti.
Mi piacque talmente, che lo regalai a molte persone, senza mai comprarlo per me!
Ho poi però acquistato e letto molti altri libri di Kundera, infatti è nella mia indole: quando scopro un autore che mi piace, voglio leggere quasi tutto di ciò che scrive! (Se possibile o se, giunta ad un certo punto, non me ne sento ormai sazia!)
Sono passati vent'anni da quando lo lessi, forse era la primavera in cui scoppiò la Centrale di Cernobyl.
Contiene innumerevoli spunti di riflessione, punti di vista sulla vita! P
ersino la personalità di Tomas mi ispirò per tracciare e percepire una linea guida sul comportamento maschile! Probabilmente non fa onore (agli uomini), ma la sentii realistica nella sua umanità ricca di sentimenti, dubbi davanti a scelte del cuore, e ricerche di strade lungo il vivere.
Oltre a questo, il significativo è racchiuso nel mio restare profondamente colpita dalle due figure femminili protagoniste: Tereza, la fedele, la compagna che ama e che ha bisogno di essere amata, fragile, ma a cui il protagonista -malgrado la sua "insostenibile leggerezza"- resta legato fino alla fine, morendo insieme; e Sabina, l'indipendente, l'artista, l'amante cercata e ricercata, forte e sicura delle sue scelte, autonoma nei suoi movimenti di vita libera.
La seconda mi affascinava, sentivo di voler essere così, eppure mi sentivo anche Tereza.
Riflessioni che restano insolute: nella vita si sceglie, se scegli la faccia della medaglia contrassegnata con "A", non vivrai ciò che è sul lato contrassegnato con "B".
L'eterna amante, libera e forte, Sabina, vive oltre la fine del romanzo, non muore con esso come Tomas e Tereza, e mentre il suo sguardo accarezza, in una silenziosa visione serale, le finestre illuminate delle case da cui sente emanare il richiamo degli affetti, ecco che accusa la nostalgia d'un sapore che, seguendo il suo cuore libero, non ha scelto e non si è data.
Questa immagine mi è restata scolpita dentro, e devo dire che dopo vent'anni potrei anche riconoscermi più facilmente in una delle due donne, sebbene continui a restare entrambe: Tereza nel mio intimo, e Sabina come scelte di vita!
O il contrario?


LE ETA' DI LULU' - Almudena Grandes

"Suppongo che possa sembrare strano, ma quell'immagine, quell'immagine innocente, alla fine risultò il fattore più illuminante, il colpo più violento.
I due, i loro bei volti, affiancavano il protagonista, che sul momento non riuscii a identificare, tanta era la confusione in cui mi aveva sprofondato, in precedenza, quel radioso amalgama di corpi. La carne perfetta, splendente, sembrava affondare soddisfatta in se stessa senza alcun trauma, soggetto e oggetto di un piacere completo, assoluto, autonomo, così diverso da quello che suggerisce l'ano, meschino, corrugato, permanentemente contratto in una smorfia dolorosa e irreparabile."


Questo è solo l'incipit! Poi andando avanti...è molto peggio!!
Nove pagine in un'escalation da voyerismo erotico che lascia gli occhi sgranarsi mentre lo sguardo non smette di leggere incredulo chiedendosi dove ti vuole condurre l'autrice e quale libro ti sia mai capitato in mano!
Mi fu regalato per il mio compleanno: sedici anni orsono dall'amica che mi prestò il mio primo di Kundera.
Almudena Grandes era al suo esordio, e io non sapevo di cosa si trattasse; ma neppure l'amica che me lo regalò per poi chiedermelo in prestito, e restituirmelo immediatamente dopo poche pagine (forse le prime cinque/sei?), riconsegnandomelo con il viso contratto dal disgusto.
Superato il primo impatto (che non mi ricordavo! L'ho ri-scoperto ora per scrivere l'incipit!) il libro mi rapì completamente!
Era capitato nella mia vita in un momento particolare, ad un bivio, mentre avveniva una frattura, e un amore passionale che si dilatava fra Roma e L'Aja sembrava finire, mentre andavo svelando molto del mio essere donna.
Il dolore che provavo per una fine che accadeva attorno al mio compleanno e allo sbocciare della primavera, si lasciò risucchiare dall'eros e dalla passione della storia di Lulù: si sublimò nei forti eventi della sua vita, una vita che si emancipava dall'educazione ricevuta sotto il regime franchista attraverso una fuga disperata per le strade più libertine e sordide, fin alle estreme conseguenze, ma anche fino a ritrovare il suo amore.
Pure la mia storia tra Roma e L'Aja ricominciò dopo poco, il libro però mi lasciò un segno profondo.
In seguito ho letto tutti i libri della Grandes, quasi tutti!
Di così erotici non ne ha scritti altri; l'erotismo qui ha una collocazione precisa, regalando al romanzo un carattere incisivo, forte, necessario.


OCCHI BLU CAPELLI NERI - Marguerite Duras

"Una sera d'estate, dice l'attore, sarebbe al centro della storia.

Non un soffio di vento. E già, spalancata davanti alla città, con vetrate e finestroni aperti, fra il cupo rosseggiare del tramonto e la penombra del parco, la hall dell'hotel de Roches."


Questo è l'incipit.
Aggiungo le parole dell'autrice sul verso di copertina:

"E' la storia di un amore, il più grande e terrificante che a me sia stato concesso di scrivere. Lo so. Lo si sa per sé soli.

Si tratta di un amore che non ha nome nei romanzi e non ha nome neppure per quelli che lo vivono. Di un sentimento che in qualche modo non sembra avere ancora vocabolario, costumi, riti. Si tratta di un amore perduto. Perduto, da perdizione.

Leggete il libro. In ogni caso, anche se gli siete ostili, per principio, leggetelo. Non abbiamo niente da perdere, né io né voi da me. Leggete tutto. Leggete tutti gli intervalli che vi indico e quelli dei corridoi scenici che avvolgono la storia e la placano e ve ne liberano mentre li percorrete. Continuate a leggere e, all'improvviso, è la storia che avrete attraversato, con le sue risa, la sua agonia, i suoi deserti.
Sinceramente vostra
Duras"


Ero indecisa se scegliere questo o "L'Amante".
Ho scelto questo perchè fu il primo libro che lessi della Duras, per la quale poi nacque un grande amore!
Mi fu regalato ancora una volta per un compleanno, due anni dopo "Le età di Lulù".
Ne ho parlato anche in un post di novembre 2006:
QUI.
Il libro, regalato da un ragazzo, fu accompagnato da dei foglietti scritti per me (sul link ho riportato il contenuto dei foglietti), che avevano il sapore delle parole incise in "Occhi blu, capelli neri": amore impossibile.

Scoprii così Marguerite Duras, poi lessi molti suoi libri.
La sua scrittura mi ha sempre scavato dentro, nell'anima. Un modo di scrivere che mi ricorda lo scalpello d'uno scultore, ad ogni colpo emerge l'anima dalla pietra che prende forma, vita. Una vita impossibile.
Il dolore dei colpi: la precisione di dove devono cadere, battere, cosa si vuole graffiare, imprimere lì, in quel punto. Nella vita, nell'anima, all'interno di ogni impossibilità, di stravolgimenti, di folli perdite, riconsegnando un senso che non è materiale, ma formato dagli anni scolpiti, dalla vita stessa che ha lasciato i suoi segni, come nel volto devastato... (incipit de "L'Amante").

Una sera dalla cucina sentii al telegiornale la notizia che Marguerite Duras era morta.
Andai verso i libri sugli scaffali, estrassi "L'Amante", e sul frontespizio segnai: "Marguerite Duras è morta il 3 marzo 1996".


DONNE CHE CORRONO COI LUPI - Clarissa Pinkola Estés

"La fauna selvaggia e la Donna Selvaggia sono specie a rischio.
Nel tempo, abbiamo visto saccheggiare, respingere, sovraccaricare la natura istintiva della donna. Per lunghi periodi è stata devastata, come la fauna e i territori selvaggi. Per alcune migliaia di anni, e basta guardarsi indietro perchè la visione si ripresenti, resta relegata nel più misero territorio della psiche. I territori spirituali della Donna Selvaggia, nel corso della storia, sono stati saccheggiati o bruciati, le caverne sono state distrutte, i cicli naturali costretti a diventare ritmi innaturali per compiacere gli altri."


In realtà questo è l'incipit dell'Introduzione, che ha anche un suo titolo: "Cantando sulle ossa".

Non è un romanzo.
E' il frutto di un lavoro di ricerca che ha svolto l'autrice, psicanalista ed etnologa, sulle origini dell'istinto e dell'anima femminile attraverso le analisi delle più antiche fiabe popolari sparse nel mondo.
Non sono mai riuscita a leggerlo interamente, è un libro enciclopedico, a cui si ricorre per curare l'anima, e per ricercare nel profondo di sè risposte che abbiamo voluto evitare cercando di ignorare il nostro sguardo allo specchio.

Riporto anche le parole di Pinkola Estés nella Prefazione:
"Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vegognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe".

Anche questo libro è legato ad un compleanno! Incredibile, ...ma è un caso. (ovvero: il criterio di scelta non era certo questo!)
Lo avevo visto in libreria in un periodo in cui ero molto in bolletta (come sempre), e gli avevo lasciato gli occhi addosso!
Ciò succedeva in prossimità del mio compleanno. Quando esso arrivò, accadde che le colleghe di lavoro come regalo mi fecero un libro che già avevo, lesta ne approfittai per chiedere di cambiarlo con questo. Fu così che mi portai a casa il mio cimelio!!!
Una sorta di Bibbia!
Ogni favola viene analizzata nei suoi significati più reconditi, aprendo scenari inimmaginabili.
Per me le favole sono sempre state molto importanti, il nutrimento della mia infanzia, il nutrimento della mia fantasia e del mio immaginario da adulta.
Mi hanno sempre aiutato a sviluppare l'immaginazione, a creare anche fughe liberatorie da un quotidiano a volte troppo pressante.
La favola contiene l'infinito universo dei segni, delle possibilità, delle trasformazioni, degli umani significati del vivere, e della necessaria metamorfosi/evoluzione dell'esistenza!
Questo libro è prezioso come il cofanetto d'un tesoro, e ricco di favole mai ascoltate!
Significativo nella mia vita? Lo scelsi in un momento importantissimo. Metaforicamente parlando: stavo scendendo da un treno per prenderne uno nuovo e sconosciuto, la cui destinazione era oltre la linea dell'orizzonte.

Ho scritto un post -a dicembre 2006- su una delle favole contenute in questo libro, è
QUI.


L'ARTE DELLA GIOIA - Goliarda Sapienza

"Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono né alberi né case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il bruciore acuto delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio primo ricordo così com'è: non mi va di fare supposizioni o di inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente."

Uno scambio: mi è stato dato in prestito da circa tre anni (o quattro? Chissà!) da un'amica a cui in cambio io ho dato "La passione secondo G.H." di Clarice Lispector.
Non ci siamo ancora resituite le reciproche proprietà!
Dopo anni in cui è rimasto chiuso, appoggiato in un angolo della stanza, ad agosto 2006 l'ho aperto e l'ho scoperto!
Ne sono rimasta così affascinata che gli ho dedicato due post a settembre
UNO, e DUE (in questo post riporto un articolo sull'autrice).
Eppure ancora non l'ho finito.
Per vari mesi mi sono bloccata nella lettura (l'ho anche tradito, iniziando un altro libro, interrotto ugualmente).
Ora sto per finirlo.
Mi accorgo che corona perfettamente questa scelta di libri in cui il mio punto focale -lo noto giungendo qui- è "la donna". La ricerca del significato di esserlo e viverlo nella sua peculiarità arricchente, e non secondo i canoni tradizionali, ovvero secondo una certa educazione sociale che spoglia e impoverisce la creatività, l'estro, l'immaginario del femminile: dall'istintualità alla capacità d'amare.

La protagonista è nata il 1° gennaio 1900, in Sicilia.
La sua autrice, che si chiamava Goliarda (da genitori anarchici), le ha dato nome "Modesta".
Modesta cavalca la storia italiana amando, ma attenta a non cadere mai nella facile prigione dell'amare. Lei precede quelle che saranno le idee femministe, ma senza alcun idealismo, al contrario: le pratica realizzandole nella sua stessa vita.
Io sono giunta alla fine della seconda guerra mondiale...vi farò sapere!


STRETTA LA FOGLIA, LARGA LA VIA, RACCONTA LA TUA CHE' Io HO RACCONTATO LA MIA!

Lascio l'eredità della catena ad altri cinque bloggers se desiderano raccogliere:

(ovviamente chiunque può partecipare anche se non nominato!)

Daniela
Pier Pioggia
Cilions
Alba
Rosex
So'

26 aprile 2007

^^^^ RESILIENZA ^^^^


RESILIENZA
è
la proprietà che hanno i metalli di tornare alla loro forma iniziale.

Questa proprietà non è solo dei metalli, può essere anche degli esseri umani.
Spesso viene detto, e si perpetua come cosa nota e legge dell'esistenza, che gli eventi della vita possono cambiare il nostro modo d'essere...

Un paio di post fa ho argomentato intorno a tale tematica, associando alla pubblicazione del post anche il testo della canzone di Fiorella Mannoia: "Come si cambia per non morire".
Il mio intento era parlare della trasformazione come un'evoluzione e un miglioramento: la metamorfosi del bruco in farfalla.
C'è un altro tipo di cambiamento che non è evolutivo: quando si rinucia a se stessi piegati dagli eventi.
Anni fa, leggendo "La Repubblica" incappai in un articolo di Umberto Galimberti molto interessante.
Mi piacque così tanto che lo copiai parola per parola su Word, e lo inviai a delle persone per condividerlo!
Ultimamente ripensavo a quell'articolo, ma non riuscivo più a trovarlo tra i file sul Pc.
Piccola ricerca su Google, ed eccolo che riemerge!

E' così interessante che stavolta lo condivido con "tutti voi", e qui lo pubblico!
E' tratto da La Repubblica del 24 febbraio 2003.

(Per leggere direttamente il link dal sito in cui l'ho trovato cliccare 8
QUI)

SEGUITE IL VOSTRO CUORE
LA BUSSOLA E' NEI SENTIMENTI
di Umberto Galimberti

Oggi si chiama "resilienza", una volta si chiamava "forza d'animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l'espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés". Il sentimento non è il languore, non è la malcelata malinconia, non è struggimento dell'anima, non è sconsolato abbandono.
Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perchè in una scelta piuttosto che in un'altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai ad essere stranieri nella propria vita.
La forza d'animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perchè altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l'animo si indebolisce, si ripiega su se stesso nell'inutile fatica di compiacere agli atri.
Alla fine l'anima si ammala, perchè la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.
Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d'animo.
Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra OMBRA. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo. Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perchè l'ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l'ombra cede la sua forza. Cessa la guerra tra noi e noi stessi.
Siamo in grado di dire a noi stessi: "Ebbene sì, sono anche questo."
Ed è la PACE così raggiunta a darci la forza d'animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche. Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore. Quello proprio, quello altrui. Perchè il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d'uscita. Eppure la cerca, perchè sa che il buio della notte non è l'unico colore del cielo.
Di forza d'animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perchè non siamo sostenuti da una tradizione, perchè si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perchè si è smarrito il senso dell'esistenza e incerta s'è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi.
Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l'abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perchè il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche:
"Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute."
Perchè ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa.
Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perchè il contatto con noi stessi s'è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell'ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sè. Nulla del coraggio del navigare che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore.
Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinchè le idee divengano attive e facciano storia.
Una storia più soddisfacente.

20 aprile 2007

]]]]°°° LE CHIACCHIERE STANNO A ZERO °°°[[[[


"Le Chiacchiere stanno a zero"


Un post aperto alla primissima impressione d'impatto.

Un post per aprire un confronto.
Una frase come un quadro, affissa alla parete:
quale l'emozione che suscita?

Superata la prima associazione libera,
come sul lettino dello psicanalista,
seguono delle domande per correlare ogni peculiare vissuto di chi qui passa
e desidera lasciare il suo pensiero,
per me prezioso nella mia profonda curiosità!


Domande come:
L'avete mai usata?
Ve l'hanno mai detta?
Può avere un significato utile e di valore?
In quale contesto secondo voi potrebbe essere usata?
Ha un connotato gentile, sgradevole, o neutro?

Non aggiungo altre domande,
il resto lo lascio alla vostra ispirazione,
e potete rispondere anche un poema,
non per forza due righe sintetiche!!


Ovvero:

Chiacchierate pure,
per me
le chiacchiere non sono a ZERO!


...E buon week-end a tutti!!

17 aprile 2007

@@@** Come si cambia per ricominciare **@@@



Disegni in bianco e nero
tra i volti
le forme che si formano
fra luci che s'incontrano.
Si specchiano angolature
nel ritorno...

Catturata
l'immagine fuggente
d'un'età
d'un sorriso
d'uno sguardo
e
per sempre, sempre
fermata.

Per sempre,
fin a
fin a sbiadire...


Ero una persona che tendeva ad esser "precisa".
Disordinata, caotica, ma intollerante verso la distrazione che mi causava un confronto tra la stupidità e la non autonomia!
Se c'erano degli impegni da ricordare, la buona memoria non difettava di certo!
E quando c'era da organizzare una partenza riuscivo a non dimenticare nulla di ciò che poteva essere utile!
Perfino prima di partire per un viaggio itinerante di due settimane in Corsica preparai ogni cosa per tre persone in vista d'una vacanza da campeggiatori: viveri, pentole, sacchi a pelo, fili per stendere e relative mollette, tutto nei minimi particolari; restai in piedi l'intera notte di vigilia di partenza per riempire scatoloni e per prendere le ultime cose.
All'ora "X" diedi la sveglia! Caricammo l'auto e, iniziato il viaggio, crollai addormentata sul sedile affidandomi a chi guidava.
Che perfezione!
Quale autonomia, con la mente che cerca di spaziare a prevedere ciò che può servire per non far mancare mai nulla!
Fare la spesa prima che finisca tutto, pagare le bollette prima delle scadenze, ricordarsi gli appuntamenti, le promesse, non lasciare mai nulla indietro, sebbene, mentre la vita si espande, le cose da tenere a mente aumentino e la memoria faccia sempre più fatica.
Ci sono i cellulari con i promemoria, e il mio trilla in continuazione, per la delizia di chi mi sta accanto!

Ma nella vita si cambia!

Così cantava Fiorella Mannoia:

"Come si cambia
per non morire
come si cambia
per amore
Come si cambia
per non soffrire
come si cambia
per ricominciare"

Sì, e anch'io non sono più così efficiente e perfetta!
Ho scoperto di cominciare ad essere un disastro, un po' alla volta.

Ho inizato a capirlo proprio con le fotografie!
Una vita colma di album fotografici, la passione degli scatti immortalati, delle immagini catturate, a colori o in bianco e nero, volti o natura.
Ogni vacanza: numerosi rollini da sviluppare.
Partivo, previdentissima, già con i rollini nella borsa!
In una delle ultime estati alla volta del Veneto, andai con il proposito di dedicare un vero servizio alla bella casa di mio nonno, casa abbondantemente fotografata nel corso degli anni, instancabilmente a cercare nuovi angoli da cogliere con l'obbiettivo.
Trascorsi giorni e giorni a scattare foto.
Non ricordavo da quante pose fosse il rollino in macchina.
Superai le 24.
Arrivai a 36. Il rollino continuava ad avanzare.
Alla quarantesima fotografia mi assilì un ragionevole dubbio che avevo scartato categoricamente... Con attenzione, al buio, lentamente aprii lo sportellino della macchinetta: il vano era vuoto!
40 scatti nel nulla!
Quaranta foto studiando l'inquadratura, le luci, cambiando i momenti delle giornate! 40 fotografie inesistenti!

Ero disordinata, ora vivo fra le nuvole: sono distratta.
E' il cambiamento nella vita quando si cerca di ascoltare più sé stessi che un'efficienza da automa, quando la vita ti chiede di cambiare e ogni volta di ricominciare...

E ogni volta si ricomincia,
lasciando sbiadire ciò che è passato,
e si è trasformato...



"Come si cambia"
(testo canzone)

Un pomeriggio della vita
ad aspettare che qualcosa voli
indovinare il viso di qualcuno
che ti passa accanto
tornare indietro
un anno un giorno
per vedere se per caso c'eri
e sentire in fondo al cuore
un suono di cemento
mentre ho già cambiato uomo
un'altra volta

Come si cambia
per non morire
come si cambia
per amore
Come si cambia
per non soffrire
come si cambia
per ricominciare

Con gli occhi verdi e brillantina
sei tu il duemila certo che verrà
acida è la pioggia
sopra le mie spalle nude
e dentro un taxi nella notte
avere freddo e non sapere dove
sopra un letto di bottiglie rotte
strapazzarsi il cuore
e giocare a innamorarsi come prima

Come si cambia
per non morire
come si cambia
per amore
Come si cambia
per non soffrire
come si cambia
per ricominciare

Quante luci dentro ho già spento
quante volte gli occhi hanno pianto
quante mie incertezze
ho già perso, o no...

Come si cambia
per non morire
come si cambia

Sentire il soffio della vita
su questo letto che tra poco vola
toccarsi il cuore con le dita
e non aver paura
di capire che domani
è un altro giorno

Come si cambia
per non morire
come si cambia
per amore
Come si cambia
per non soffrire
come si cambia
per ricominciare

(1984 - M.Piccoli-R.Pareti)

10 aprile 2007

ALDA MERINI # 2 poesie °* 3 immagini °* molti pensieri nascosti °*


Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
Malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio si meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite.


Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.



03 aprile 2007

***** la Ventesima e la Settantesima *****



La voce a te dovuta


[XX]
I giorni ed i baci
sono in errore:
non hanno termine dove dicono.
Ma per amare dobbiamo
imbarcarci su tutti
i progetti che passano,
senza chiedere nulla,
pieni, pieni di fede
nell'errore
di ieri, di oggi, di domani,
che non può mancare.



[LXX]
Le senti come chiedono realtà
scarmigliate, feroci,
le ombre che forgiammo insieme
in questo immenso letto di distanze?
Stanche ormai di infinito, di tempo
senza misura, di anonimato,
ferite da una grande nostalgia di materia,
chiedono limiti, giorni, nomi.
Non possono vivere più così: sono alle soglie
della morte delle ombre, che è il nulla.
Accorri, vieni, con me.
Insieme cercheremo per loro
un colore, una data, un petto, un sole.
Che riposino in te, sii tu la loro carne.
Si placherà la loro enorme ansia errante,
mentre noi le stringiamo avidamente
fra i nostri corpi,
dove potranno trovare nutrimento e riposo.
Si assopiranno infine nel nostro sonno
abbracciato, abbracciante. E così,
quando ci separeremo, nutrendoci
solo di ombre, fra lontananze,
esse
avranno ormai ricordi,
avranno un passato di carne ed ossa,
il tempo vissuto dentro di noi.
E il loro tormentato sonno
di ombre sarà, di nuovo, il ritorno
alla corporeità mortale e rosa
dove l'amore inventa il suo infinito.



PEDRO SALINAS

"LA VOCE A TE DOVUTA", è una raccolta di settanta componimenti pubblicata nel 1933, momento di piena maturità del suo autore.