""" QUI, NEL NORD """
L’avrei incrociata lungo il mio percorso per un certo tempo, breve per lei, in cui riuscì però a donarmi qualcosa.
Qualcosa che non conoscevo, non avevo mai posseduto.
Potrei paragonarlo ad un semplice prisma di cristallo che, attraversato da un fascio di luce, ne viene scomposto in un fantastico balenio di colori…
Delicata e fragile quanto il cristallo, poliedrica nelle sue infinite sfaccettature, trasparente e catturante, possedeva la capacità di trasformare la realtà di un raggio di sole in un magico arcobaleno.
Ci saremmo incontrati sempre qui, nel Nord. Dove il freddo ghiaccia l’acqua, dove l’acqua sommerge la terra, dove il cielo, quando non è imbiancato dalla sua coperta compatta di nubi, trilla d’azzurro, lasciando brillare lo specchio dei canali ove barche e case si riflettono contendendosi la vivacità dei verdi, dei rossi, e del cobalto intenso, limpido, dell’aria spazzata dal soffio perpetuo del vento.
Qui lei mi avrebbe raggiunto volando, decollando e poi atterrando, lasciando lontana la sua casa, chiudendo così la porta alla sua vita. Unico legame, un figlio.
A me non interessava la sua vita, né l’esistenza di quel bimbo.
Mi piaceva lei. La sua pelle color dell’oliva. I suoi occhi, che colpiti dal sole o affogati nelle lacrime, si screziavano di verde. La sua bocca, morbida, sensuale, dal sorriso dolce e invitante. Le sue gambe tornite, che svettando su dei tacchi, attiravano sguardi. Inevitabilmente.
Desideravo un’amante, solo questo.
Non sono un seduttore, tendenzialmente sono schivo, pur invidiando quegli uomini che senza difficoltà riescono a conquistare. Mi limito a osservarle, le donne, nei loro svariati aspetti affascinanti, ma sempre ad una certa distanza, eterno spettatore, lasciando inespresso e nascosto il mio desiderio.
Anche per questo, forse, quando lei divenne la mia amante, il desiderio tanto contenuto si trasformò in un fiume in piena che travolse me per primo, di conseguenza lei pure.
Mi trovai a fronteggiare qualcosa di sconosciuto, incontenibile a quel punto, inarrestabile.
Insicuro nel mio ruolo virile, inesperto di relazioni se non quelle consuete di coppia, come la stessa che trascinavo stancamente da anni, questa situazione mi esplose fra le mani quando, sorpreso e vinto, mi imbattei nel suo caldo abbandono, nel suo accoglimento, nella sua natura sensuale, nel suo darsi senza resistenze, senza reticenze, così pienamente femminile ed obliante…
La realtà improvvisamente assunse altri significati. Cambiarono le priorità a cui ero ben ancorato, persi il senso dei valori che erano i saldi argini in cui scorreva la mia esistenza. Monotona, ma con le sue chiare certezze.
La passione avrebbe mutato i connotati a quel tratto di vita che mi sarei trovato a percorrere amando i sensi e amando i guizzi variopinti della sua gonna da gitana.
Potrebbe lo spirito libero e selvaggio di una zingara che ama danzare scalza, cessare di muovere il proprio corpo nello spazio, per recitare il rosario di donna dedita all’ordine e alla materia, con gesti uguali e ripetuti nella giusta misura?
Per uniformarsi.
Temendo la solitudine per l’intima diversità, finisce per violentare la propria essenza, obbligandosi a seguire dei binari senza riuscire a restarvi. La sua stessa natura la spinge oltre: a sfidare, a scoprire, a cambiare.
Insofferente ai limiti. All’usuale. A ciò che è scontato.
Non uguale, ma simile fu il motivo per cui fuggii recuperando i già noti binari e rinnegando la forza vitale che mi aveva spinto a deragliare. Dovevo scappare da una realtà che sarebbe stata al di fuori dei canoni usuali dell’ambiente in cui vivo.
Avrebbe protestato. Avrebbe detto di amarmi, amarmi! Mentre avrei ripetuto, invece, che la nostra storia si era compiuta. Troppo diversi, io e lei.
Troppo.
Sembrava parlare un altro linguaggio: non capiva, non accettava. Così il suo spirito ribelle avrebbe messo a nudo la sua caparbia, la propria passione inasprita, la collera contro il rifiuto, rendendomi terribilmente spinoso e difficile quel delicato momento per rientrare nella normalità. In un simile frangente avrei preferito avere di fronte una donna che umilmente comprendesse e si facesse quindi da parte trattenendo il proprio dolore, come io stesso curavo il mio.
Così doveva essere.
Anche oggi, a distanza di tempo, sento riemergere la durezza di allora per poter uscire da quella situazione a cui era impossibile dare seguito.
Impossibile.
Dall’attonito stupore il suo volto sarebbe mutato chiudendosi in furiosa ribellione, dando battaglia con inesauribile energia alla parola con cui inesorabilmente condannavo a morte il nostro insieme.
Ineluttabile.
Non sbagliavo.
Ora che finalmente ne percepisco l’animo, cogliendo così il dono della sua bellezza, ora che mi approprio della veste multicolore con cui danzava nell’immaginario e con cui avrebbe dipinto anche i miei scenari lungo il tragitto in cui mi sarei lasciato stregare, posso dire con certezza che la mia anima omeostatica, sedentaria e borghesemente conforme alla norma, non avrebbe potuto seguire i passi senza meta dell’amata zingara.
Passi che vagabondando leggeri l’avrebbero portata qui, nel Nord, dove il mio sguardo velato di ambigua trasgressività avrebbe intercettato il suo, occhi in cui la sfida brillava beffarda. Allora, con candida naturalezza sarebbe scivolata nell’alcova e avrebbe finto, femminilmente, d’essere l’ingenua preda, lasciandomi felicemente fremere di desiderio e di misteriosa sorpresa.
Sarebbe partita e poi tornata.
L’avrei aspettata catturato dal ricordo, punto da penetranti emozioni.
Ogni volta l’incontro sarebbe stato più dolce, più complice, più profondo, in caduta libera giù, ancora più giù, nel pozzo obliante dei sensi, in uno spazio ad esatta misura dei corpi nudi, vibranti, consci solamente di carezze e baci elargiti dalla nostra specifica ormai unica entità.
La simbiosi avrebbe abbracciato la nudità che ci apparteneva immersa nel liquido tiepido e cullante dell’acqua. Acqua che ci avrebbe contenuto, bagnato, scaldato, mentre lavandomi, sorridente e seduttiva, avrebbe fatto scivolare le sue mani sulle mie membra, come avrei ripetuto io su di lei, mentre gli aliti si sarebbero confusi e le labbra sigillate le une sulle altre, mentre le pelli avrebbero emanato lo stesso odore, mentre il mondo per noi sarebbe diventato sempre più distante e alieno, mentre la metamorfosi simbiotica avrebbe modificato le forme originali e l’intimo mentale, staccandoci dalla realtà circostante e lasciandoci sospesi nella nostra rarefatta atmosfera.
Sintesi degli elementi naturali, lei emergeva prioritaria ed essenziale.
Era terra umida e fertile, limpida acqua placante l’arsura della sete, acqua che scorre e leviga trascinando con sé. Era aria respirata per trattenerne l’odore, e fuoco, le cui fiamme guizzanti alimentate dal soffio istintuale, sarebbero divampate in falò sensuale.
Sarei riuscito a rimettere ordine nel caos emozionale lasciandole prendere il posto della legittimità, permettendo così agli interessi della ragione il loro lento processo per sottomettere la prorompenza della natura.
Ora, qui, nel Nord, una sua lettera.
Qualcosa che non conoscevo, non avevo mai posseduto.
Potrei paragonarlo ad un semplice prisma di cristallo che, attraversato da un fascio di luce, ne viene scomposto in un fantastico balenio di colori…
Delicata e fragile quanto il cristallo, poliedrica nelle sue infinite sfaccettature, trasparente e catturante, possedeva la capacità di trasformare la realtà di un raggio di sole in un magico arcobaleno.
Ci saremmo incontrati sempre qui, nel Nord. Dove il freddo ghiaccia l’acqua, dove l’acqua sommerge la terra, dove il cielo, quando non è imbiancato dalla sua coperta compatta di nubi, trilla d’azzurro, lasciando brillare lo specchio dei canali ove barche e case si riflettono contendendosi la vivacità dei verdi, dei rossi, e del cobalto intenso, limpido, dell’aria spazzata dal soffio perpetuo del vento.
Qui lei mi avrebbe raggiunto volando, decollando e poi atterrando, lasciando lontana la sua casa, chiudendo così la porta alla sua vita. Unico legame, un figlio.
A me non interessava la sua vita, né l’esistenza di quel bimbo.
Mi piaceva lei. La sua pelle color dell’oliva. I suoi occhi, che colpiti dal sole o affogati nelle lacrime, si screziavano di verde. La sua bocca, morbida, sensuale, dal sorriso dolce e invitante. Le sue gambe tornite, che svettando su dei tacchi, attiravano sguardi. Inevitabilmente.
Desideravo un’amante, solo questo.
Non sono un seduttore, tendenzialmente sono schivo, pur invidiando quegli uomini che senza difficoltà riescono a conquistare. Mi limito a osservarle, le donne, nei loro svariati aspetti affascinanti, ma sempre ad una certa distanza, eterno spettatore, lasciando inespresso e nascosto il mio desiderio.
Anche per questo, forse, quando lei divenne la mia amante, il desiderio tanto contenuto si trasformò in un fiume in piena che travolse me per primo, di conseguenza lei pure.
Mi trovai a fronteggiare qualcosa di sconosciuto, incontenibile a quel punto, inarrestabile.
Insicuro nel mio ruolo virile, inesperto di relazioni se non quelle consuete di coppia, come la stessa che trascinavo stancamente da anni, questa situazione mi esplose fra le mani quando, sorpreso e vinto, mi imbattei nel suo caldo abbandono, nel suo accoglimento, nella sua natura sensuale, nel suo darsi senza resistenze, senza reticenze, così pienamente femminile ed obliante…
La realtà improvvisamente assunse altri significati. Cambiarono le priorità a cui ero ben ancorato, persi il senso dei valori che erano i saldi argini in cui scorreva la mia esistenza. Monotona, ma con le sue chiare certezze.
La passione avrebbe mutato i connotati a quel tratto di vita che mi sarei trovato a percorrere amando i sensi e amando i guizzi variopinti della sua gonna da gitana.
Potrebbe lo spirito libero e selvaggio di una zingara che ama danzare scalza, cessare di muovere il proprio corpo nello spazio, per recitare il rosario di donna dedita all’ordine e alla materia, con gesti uguali e ripetuti nella giusta misura?
Per uniformarsi.
Temendo la solitudine per l’intima diversità, finisce per violentare la propria essenza, obbligandosi a seguire dei binari senza riuscire a restarvi. La sua stessa natura la spinge oltre: a sfidare, a scoprire, a cambiare.
Insofferente ai limiti. All’usuale. A ciò che è scontato.
Non uguale, ma simile fu il motivo per cui fuggii recuperando i già noti binari e rinnegando la forza vitale che mi aveva spinto a deragliare. Dovevo scappare da una realtà che sarebbe stata al di fuori dei canoni usuali dell’ambiente in cui vivo.
Avrebbe protestato. Avrebbe detto di amarmi, amarmi! Mentre avrei ripetuto, invece, che la nostra storia si era compiuta. Troppo diversi, io e lei.
Troppo.
Sembrava parlare un altro linguaggio: non capiva, non accettava. Così il suo spirito ribelle avrebbe messo a nudo la sua caparbia, la propria passione inasprita, la collera contro il rifiuto, rendendomi terribilmente spinoso e difficile quel delicato momento per rientrare nella normalità. In un simile frangente avrei preferito avere di fronte una donna che umilmente comprendesse e si facesse quindi da parte trattenendo il proprio dolore, come io stesso curavo il mio.
Così doveva essere.
Anche oggi, a distanza di tempo, sento riemergere la durezza di allora per poter uscire da quella situazione a cui era impossibile dare seguito.
Impossibile.
Dall’attonito stupore il suo volto sarebbe mutato chiudendosi in furiosa ribellione, dando battaglia con inesauribile energia alla parola con cui inesorabilmente condannavo a morte il nostro insieme.
Ineluttabile.
Non sbagliavo.
Ora che finalmente ne percepisco l’animo, cogliendo così il dono della sua bellezza, ora che mi approprio della veste multicolore con cui danzava nell’immaginario e con cui avrebbe dipinto anche i miei scenari lungo il tragitto in cui mi sarei lasciato stregare, posso dire con certezza che la mia anima omeostatica, sedentaria e borghesemente conforme alla norma, non avrebbe potuto seguire i passi senza meta dell’amata zingara.
Passi che vagabondando leggeri l’avrebbero portata qui, nel Nord, dove il mio sguardo velato di ambigua trasgressività avrebbe intercettato il suo, occhi in cui la sfida brillava beffarda. Allora, con candida naturalezza sarebbe scivolata nell’alcova e avrebbe finto, femminilmente, d’essere l’ingenua preda, lasciandomi felicemente fremere di desiderio e di misteriosa sorpresa.
Sarebbe partita e poi tornata.
L’avrei aspettata catturato dal ricordo, punto da penetranti emozioni.
Ogni volta l’incontro sarebbe stato più dolce, più complice, più profondo, in caduta libera giù, ancora più giù, nel pozzo obliante dei sensi, in uno spazio ad esatta misura dei corpi nudi, vibranti, consci solamente di carezze e baci elargiti dalla nostra specifica ormai unica entità.
La simbiosi avrebbe abbracciato la nudità che ci apparteneva immersa nel liquido tiepido e cullante dell’acqua. Acqua che ci avrebbe contenuto, bagnato, scaldato, mentre lavandomi, sorridente e seduttiva, avrebbe fatto scivolare le sue mani sulle mie membra, come avrei ripetuto io su di lei, mentre gli aliti si sarebbero confusi e le labbra sigillate le une sulle altre, mentre le pelli avrebbero emanato lo stesso odore, mentre il mondo per noi sarebbe diventato sempre più distante e alieno, mentre la metamorfosi simbiotica avrebbe modificato le forme originali e l’intimo mentale, staccandoci dalla realtà circostante e lasciandoci sospesi nella nostra rarefatta atmosfera.
Sintesi degli elementi naturali, lei emergeva prioritaria ed essenziale.
Era terra umida e fertile, limpida acqua placante l’arsura della sete, acqua che scorre e leviga trascinando con sé. Era aria respirata per trattenerne l’odore, e fuoco, le cui fiamme guizzanti alimentate dal soffio istintuale, sarebbero divampate in falò sensuale.
Sarei riuscito a rimettere ordine nel caos emozionale lasciandole prendere il posto della legittimità, permettendo così agli interessi della ragione il loro lento processo per sottomettere la prorompenza della natura.
Ora, qui, nel Nord, una sua lettera.
Attraverso parole scolpite dall’amarezza, la vedo in un frammento della sua esistenza mentre trascina sofferente un pesante corpo di donna, di donna qualsiasi, schiacciata da un ruolo che non le appartiene, ma che ha cercato ad ogni costo di adattarsi a vestire.
Inconsapevole zingara, la sua figura si staglia adesso nettamente sullo sfondo della mia memoria e del suo presente carico di un animo soffocato, prigioniero del respiro che non ha luogo.
I ricordi viaggiano dileguandosi come nubi nel cielo.
Una lettera per fermare.
Scriverle forse della gitana rivelatasi ai miei occhi, svelargliene il fascino, sussurrarle di abbandonare ciò che non le appartiene per tornare a indossare i panni suoi cangianti…
Scriverle.
Da qui, dal Nord, scriverle.
Scriverle… che comunque la vita ha il suo corso.
Ineluttabilmente.
9 commenti:
POSTILLA:
-Racconto scritto nel 1996-
Complimenti.
Un onda di sentimenti che arriva e spazza via tutto, per poi ritirarsi nel mare che l'ha generata.
ciao Sara!
Benvenuta!
E grazie per il tuo commento.
Non capisco se i complimenti sono ironici o reali...ma fa lo stesso!!
Ciao!! ;))
Assolutamente non ironici. Sei brava davvero.
Mi piacerebbe saper scrivere bene, non è tra le mie doti, perciò tanto di cappello a chi lo sa fare!
Ciao
Grazie Sara!
Grazie anche della "specifica"!
Sai che il tuo blog è proprio bello?? Per non parlare della musica..."Roxanne".......
L'argomento ultimo ha catturato MOLTO il mio interesse...
A PRESTO!!
Uh, il mondo è piccolo davvero, perchè dal blog di Krepa sono passata pure io.
;-)
olà!!
Ti è arrivato il mio e-mail?
@Rokko
Come no!!
ora ti rispondo!
Grazie per aver segnalato il link nel blog di Assu... non ci sarei mai arrivato altrimenti.
E' un racconto bellissimo, non mi stupisco affatto che quando l'hai fatto leggere ad un tuo amico abbia avuto quella reazione. Non è una storia, è l'archetipo dei sogni maschili, l'incontro con la donna misteriosa e sfuggente giocato sull'eros... Perché è questo che prende gli uomini: la capacità tutta femminile di trasformare un rapporto in qualcosa di sublime, di creare situazioni avvolgenti, dolci, torbide, di giocare sui sentimenti e le sensazioni.
Quando è messa su questo piano, difficilmente un uomo può non sentirsi invischiato, esattamente come è vero il contrario: mettendola sul piano della razionalità gli uomini perdono interesse, e se non c'è interesse semplicemente si allontanano.
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