15 novembre 2006

--- TRADIMENTI ---

La maestra: - Bambini ora vi do il compito di matematica. Chi lo farà bene sarà premiato. Allora state attenti a non farvi copiare, perchè solo il più bravo riceverà il premio!-
Il compagno di banco: - Mannaggia... non sono capace! Non mi ricordo le tabelline... Guarda Giovanni come è bravo!! ...è così preso dai suoi conti che non mi vede... quasi quasi sbircio...una bella copiatina e risolvo il problema! Che male c'è? Tanto nessuno se ne accorge... -

Ho voglia di parlare dei Tradimenti.

Termine che evoca immediatamente l’immagine dei tradimenti amorosi, dei tradimenti sessuali, dei tradimenti coniugali, e delle famose “Corna”.
A me non interessa questo aspetto!
Il tradimento lo intendo molto più profondo e doloroso quando è un tradimento di amicizia, di fiducia amichevole affettiva, un tradimento ad una complicità stretta fra due persone, il tradimento ad un’intesa…
È difficile con le parole rendere un sentimento, è difficile introdurre delle emozioni con la razionalità di una spiegazione. La razionalità, e la stessa vita che scorre, conducono verso la libertà di ogni essere, svincolato da impegni che non siano quelli strettamente doverosi, o manifestamente riconoscibili, a cui comunque è possibile trovare fuga, esattamente come recita il detto: “Fatta la Legge, trovato l’inganno”.
Quindi parlo di una silente concordia di lealtà e fiducia, insita nell’amicizia, nei rapporti complici di segreti e affetti. Parlo di quel sentimento che può legarmi affettivamente (anche l’amicizia profonda è affetto) ad una persona a cui mi piace sentirmi legata! E sottilineo: mi piace, partendo dal presupposto che non c'è obbligo nel ritenermi legata a qualcuno! (Né c'è obbligo nell'Altro, questa è la libera scelta!)
Parlo di un legame, di un’amicizia, di una complicità che non vorrei offendere, visto che è nella mia libertà scegliere, e quindi rendermi anche consapevole che “il tradimento” a quell’amicizia e a quel legame sarebbe, prima di ogni cosa, un tradimento a me stessa. Segnalerebbe una grossa carenza di libertà di movimento nella mia vita, e una viltà verso me stessa, che pagherei in un conflitto interiore, prima o poi alla luce della mia consapevolezza.

Annaspando nell'esprimere fino in fondo ciò che provo, e mirando ad allargare il discorso ristretto fin qui ad una visione troppo personale, ricorro ad un articolo (Rassegna Stampa de La Repubblica-12/3/2000) di LUCIANA SICA sul libro della sociologa Gabriella Turnaturi, ("Tradimenti", Feltrinelli, 2000). Libro, scrive L. Sica nel sottotitolo del suo articolo: “sulla fragilità dei rapporti di fiducia”. E continua:Quanti modi ci sono di essere sleali con gli altri? Nella sfera degli affetti come delle professioni in ogni relazione umana c'è il rischio dell'abbandono”

“Se l'Altro esiste indipendentemente da noi, se prima ancora di calcare altri prosceni e coltivare innumerevoli rapporti ha innanzitutto una relazione con sé in buona parte inconsapevole, allora il tradimento è sempre possibile. E noi stessi, determinati a difendere improbabili progetti con l'Altro, non siamo in grado di prevedere i possibili mutamenti dei nostri percorsi (mai lineari), escludendo ogni forma d' inganno. Non ci conosciamo mai abbastanza, non sappiamo quale sogno o quale accidente sconvolgerà l'algoritmo obbligato della nostra esistenza quotidiana! Altrimenti l'Io sarebbe padrone in casa propria, cosa che così non è - si sa. Le interazioni sociali, non essendo imbalsamate, congelate in una luttuosa immobilità, contengono sempre una dose - fors'anche minacciosa - d'imprevedibilità.
Ogni volta che si forma un Noi - rappresentato da una coppia come da un gruppo o da una comunità-, ogni volta che c'è la condivisione di un affetto, di un segreto, di un ideale, di un fine c'è sempre la possibilità di una lacerazione, di una rottura, di un abbandono.

Mettiamo, ad esempio, la storia di Elisabetta I e il conte di Essex raccontata da
Lytton Strachey (“Elisabetta e il conte di Essex”/ Tea), considerata come la messa in scena di "una delle più tragiche rappresentazioni del tradimento". La tempestosa relazione tra la regina, ormai sessantenne, e il giovane passionale Robert Devereux conte di Essex, vive nella doppia cornice dell'intimità amorosa e delle rigide regole di corte. In una doppia appartenenza, dunque, dove i Noi si conciliano male e finiranno col frantumarsi senza che nulla possa essere salvato, dopo una ridefinizione improvvisa e violenta di aspettative e comportamenti. Lei non è solo una donna invaghita di un irruento giovanotto: è innanzitutto la sovrana, la "sua" e di tutti gli altri, lui è il favorito della regina ma è comunque un suddito. Ci sono troppi ruoli da interpretare contemporaneamente, troppe occasioni di conflitto. E infatti, sarà la diffidenza reciproca a prevalere. Quando lei lo schiaffeggerà di fronte a una corte ammutolita dallo sconcerto e lui avrà l'ardire di definirla "una vecchia carcassa", il libero corso che lasceranno alle emozioni - ira, orgoglio, rabbia - si concluderà in una terribile recita di potere: il conte tenta di destituire Elisabetta dal trono, la regina lo fa decapitare.
Ci sono modi più sottili di tradire, naturalmente, e appartengono alla vita quotidiana di tutti, nella sfera degli affetti come delle professioni. Ci sono ambienti in cui patti di lealtà espliciti o impliciti, pur senza chiamare in causa "vecchi" codici generali basati sull'onore, rimandano alla necessità di un comune riserbo, se non proprio alla condivisione di un segreto, e dove quindi è la "confessione" a diventare imperdonabile.
Così la Turnaturi sintetizza uno degli aspetti di fiducia e lealtà: "Ci rendiamo affidabili, seppure parzialmente, così come ci fidiamo degli altri settorialmente. E quindi di nuovo fiducia e lealtà non sono declinazioni virtuose, ma comportamenti strumentali o parziali".

Privi di un'etica collettiva, i soggetti della modernità si muovono come viandanti leggeri e fluttuanti, assai poco radicati e inclini a interpretare le forme del tradimento senza un particolare sentimento di colpevolezza, ma anzi come un segno della propria libertà. Del resto, è la stessa organizzazione dell'economia che tende a considerare non funzionale, se non proprio un ostacolo, il radicarsi e la possibilità di sviluppare rapporti fiduciari verso le singole persone, le organizzazioni, le istituzioni.
Ecco come l'imperativo della flessibilità si riflette sulla famiglia di un manager intervistato dal grande sociologo americano
Richard Sennett (L'uomo flessibile, Feltrinelli): "Non puoi immaginare quanto mi sento stupido quando dico ai miei figli che è importante dedicarsi a qualcosa... Per loro si tratta di una virtù astratta: non la vedono da nessuna parte".”

Qui l'articolo si conclude, e così anche ciò che volevo esprimere... il resto (del mio desiderio di parlare di Tradimenti) sta alla libera interpretazione delle parole, e al proprio modo di vedere la vita, le relazioni, e di fare i conti con se stessi...


3 commenti:

Anonimo ha detto...

ma io un commento l'ho fatto

danDapit ha detto...

@ C-
i tuoi commenti sono sul post dove li hai fatti

Anonimo ha detto...

ma li avevo fatti qui. o no?